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di Maurizio Muragliastereotipando

09/04/2014

Se lo promuoviamo...

... che segnale mandiamo ai suoi compagni?

Si avvicinano gli scrutini finali e gli insegnanti si ritrovano alla prese con la valutazione dei ragazzi. Proliferano criteri, elaborati nel mese di maggio dai Collegi dei docenti, che danno la parvenza dell’oggettività e tacitano la coscienza laddove è evidente che siamo davanti al trionfo comunque della discrezionalità, perché valutare, con buona pace dei docenti docimologi, rimane un atto discrezionale compiuto da un organo collegiale, appunto il Consiglio di classe.

Gli scrutini sono un ottimo punto di osservazione dei miti e dei riti linguistici della scuola, perché dietro la decisione di promuovere, di dar debiti o addirittura di bocciare si annidano le scuole di pensiero professionale più disparate, si battono a duello rigoristi e permissivisti, selettivi e inclusivi, cultori del programma e sostenitori del curricolo. E dove vi è dialettica dei punti di vista, fino al conflitto, non possono mancare gli stereotipi, ovvero quelle pedagogie implicite che ogni tanto vengono tirate fuori da qualcuno che si ascrive finalità educative di alto profilo.

Tra questi sacerdoti dell’educazione ci sono i cultori del segnale, di cui ho avuto modo di ragionare altrove, a proposito di note disciplinari [1]. A questo proposito, nella Palermo in cui opero, causa diffusione di incresciosi video hard tra gli studenti dei nostri Licei, hanno cominciato a proliferare circolari prodotte da presidenze preoccupate che intimano a tutti i docenti un giro di vite sull’uso dei cellulari a scuola. Come dire: ehi, voi grassoni che abusate di cibo, guardatevi dalle forchette e dai coltelli! Ma il segnale di cui qui vorrei trattare è quello che desta la preoccupazione di alcuni di fronte alla promozione di un alunno che… insomma… non lo meriterebbe: “Se lo promuoviamo che segnale mandiamo ai compagni?”. Giusto: che segnale mandiamo? Ragioniamoci un attimo.

Perché un gruppo di insegnanti decide di promuovere o bocciare un alunno? La madre delle domande resta questa. Ci sono varie risposte possibili, ma tutto sommato riducibili a due prospettive valutative: lo promuoviamo se i suoi risultati numerici non scendono al di sotto della sufficienza in nessuna materia oppure lo promuoviamo se, pur configurandosi questo intoppo in qualche disciplina di studio, la considerazione del trend positivo fatto registrare dall’allievo consente di prevedere, come recitano le stesse circolari ministeriali sugli scrutini (da sempre certa scuola è stata più realista del re!), che l’anno successivo il “fanciullo”  possa reggere l’impegno scolastico. Come dire valutazione di prodotto oppure valutazione di processo.

Eppure, a quanto si può constatare, esiste anche la valutazione di facciata, o di immagine, o di consenso che dir si voglia. I compagni, le loro attese, il loro spirito comparativo, hanno un loro peso nella valutazione. Che segnale mandiamo loro? Anche a fronte di ragioni educative e didattiche tali da far ritenere che l’alunno numericamente insufficiente in qualche settore del sapere possa essere valutato positivamente nella sua globalità, che figura ci facciamo davanti a quei carnefici dei compagni che si aspetterebbero la giusta mannaia sul collo del compagno fannullone?

Si ha la sensazione che parole quali visibilità, consenso, competizione, immagine non riguardino soltanto i “pischelli” abbarbicati sui cellulari, ma attraversino anche gli schemi discorsivi dei loro censori cattedratici, che a un certo momento sentono la necessità di declinare la loro giustizia distributiva in modo inequivocabile. Pensate  cosa succederebbe se Pierino venisse promosso! Si scatenerebbe il putiferio tra i compagni. Quale incentivo avrebbero d’ora in poi a studiare? Vero, è proprio vero, sembrerebbero ritenere i cultori del segnale: gli studiosi della motivazione scolastica avrebbero dovuto pensarci, una delle ragioni fondamentali per studiare consiste nel veder bocciato il compagno scansafatiche e veder così ripristinata la giustizia dai sacerdoti del merito. Come se agli studenti passasse davvero la voglia di conoscere, di apprendere, di studiare quando vedono gli scansafatiche andare avanti. Invece pare che possa diventare esaltante far parte di quella cerchia di eletti meritevoli che arriva al quinto anno delle superiori come in un day after in cui risultano sopravvissuti in dieci o dodici. Dunque quando si scrutina si tiene conto di questi aspetti, per così dire, sociopedagogici in modo da evitare di fare delle scelte che producano demotivazione. 

In tal modo si otterrà la giustizia. Proprio come nell’antichissimo Israele biblico raccontato da un libro come il Levitico, in cui lo scrittore sacro che invitava a lapidare i peccatori chiosava il suo zelo educativo con la frase “Così estirperai il male da Israele!”. Ecco, un alunno può esser bocciato anche perché venga estirpato dalla classe dei meritevoli. Non solo, come sarebbe assolutamente plausibile, perché i suoi livelli di apprendimento non sono valutabili sufficientemente e nessun segnale di progresso si è visto durante l’anno, ma anche perché la sua promozione determinerebbe un’alterazione nello spazio sacro della classe, che non potrebbe mai ammettere un simile scempio.

Pertanto, occhio al segnale. La valutazione finale sia attenta ai segnali che invia. Non perda di vista l’opinione pubblica e le sue attese. Non trascuri l’immaginario del senso comune, sempre pronto a fare giustizia (del vicino di casa). La valutazione scolastica non si attardi a scrutare i contesti di apprendimento, i gap socioculturali, i riscontri positivi nei processi cognitivi, le ansie da prestazione che impediscono la restituzione delle conoscenze e lo sviluppo di competenze. La valutazione scolastica utilizzi sapientemente la calcolatrice e si ricordi che se Pierino ha preso un quattro a marzo ed un sei a maggio non è perché a maggio è riuscito a risolvere alcuni problemi di apprendimento, ma perché a marzo era uno scansafatiche ed il suo peccato originale va opportunamente punito con la media del cinque. Sì, perché quattro più sei fa dieci che diviso due dà cinque e se uno arriva con cinque alla fine dell’anno avrà fatto tutti i miglioramenti che vuoi ma… che segnale mandiamo ai compagni?

 

 

 

Note

1. M. Muraglia, Segnaletica di autorità a scuola, Scuolainsieme 3/2012.

Di che cosa parliamo

Traendo spunto da espressioni molto popolari negli ambienti scolastici, la rubrica scava nelle logiche implicite di certe affermazioni e lascia intravedere quale concezione di scuola e di didattica a esse soggiace. È un’occasione per rimettere a fuoco alcuni fondamentali della professione tentando di smascherare le pedagogie implicite che si annidano dietro i miti e i riti linguistici della scuola.

L'autore

Insegna Lettere in un Liceo di Palermo. In qualità di esperto di questioni educative e didattiche svolge attività di formazione per le scuole e scrive su riviste specializzate. È  anche opinionista de "la Repubblica" di Palermo sugli stessi temi. I suoi interessi riguardano soprattutto il rapporto tra curricolo, saperi e competenze. Sul curricolo nel 2011 ha pubblicato un libro per Tecnodid.

www.mauriziomuraglia.com