Test invalsi. Odiati, temuti, talvolta sovrastimati. E boicottati. Si stanno svolgendo questa settimana in tutte le scuole d’Italia. Martedì è toccato alle scuole superiori, dove si misura il livello di conoscenze del secondo anno. Duecento domande, fascicoli anonimi, ma al nome corrisponde un codice a barra e dunque gli studenti e le classi di appartenenza sono facilmente identificabili, 90 minuti per i test di italiano, 90 per quelli di matematica. Servono a misurare il livello di conoscenze degli studenti, finiscono per valutare scuole e insegnanti.
Premessa: agli Invalsi si risponde prima di tutto decidendo come affrontarli. Alcune scuole rispettano l’indirizzo ministeriale. Sono prove che servono a valutare – del resto, sostengono, un sistema deve pur esserci – dunque si fanno. E dal primo giorno i ragazzi sono sollecitati a fare test, esercitazioni on line, acquistano volumetti a parte. Ci sono insegnanti che considerano gli Invalsi una prova disciplinare, e mettono persino il voto sul registro (ma questo non è proprio il massimo della correttezza, secondo me). Altre scuole, o meglio altri insegnanti, li rifiutano categoricamente: nessuno ci può misurare, nemmeno Tu (Ministero, Indire o Chicchesia). Ma se c’è un ordine di servizio, i docenti devono prestare assistenza e svolgere le operazioni di segreteria e non possono rifiutarsi. Se ci riescono, orientano i ragazzi al boicottaggio (e neanche questo è corretto, secondo me). Comunque non c’è bisogno di arrivare a tanto, in genere i ragazzi fanno da soli. Nel senso che decidono da soli di boicottare. Oppure non si presentano, come è accaduto in molti istituti.
Bisognerebbe inviare al Ministero, oltre ai risultati delle prove anche i fascicoli boicottati. Dove sono stati sbarrati i codici a barra, ma anche, soprattutto, riempiti da altre scritte. E per quello che sono riuscita a leggere, dal vero o tra i vari post su fb, ogni volta mi sono fermata per chiedermi se si trattava di: a. concentrato di idiozia; b. trattato di sociologia; c. genialità allo stato puro.
Qualche esempio può servire a capire di che cosa stiamo parlando:
Qua e là compaiono slogan pubblicitari, disegnini stilizzati di omini sovente suicidi o omicidi si trovano negli spazi riservati agli esercizi di matematica. Alle domande in cui si chiedeva di spiegare, ancora, una statistica Istat o l’esito di una equazione, in molti hanno risposto così: “mi fido dell’Istat”, “dò (con l’accento) fiducia a chi ha fatto il calcolo”. Chiudono il fascicolo, ca van sa dir, inserti autobiografici del tipo: “ho copiato tutto”, “non ho capito niente”, e una cascata di XD (che dovrebbe essere un sorriso smagliante).
Allora, questa scuola vogliamo prenderla sul serio o no? Vale per chi fa i test, vale per chi risponde alle domande in questo modo. Dovremmo chiederci qualcosa di più su questi studenti, chiedere loro qualcosa di diverso.