Home - orizzonti - Sì, cambiamo la scuola (davvero)! - 2.Le competenze e le responsabilità dei soggetti adulti

Cidi TorinoSì, cambiamo la scuola (davvero)!

19/05/2015

2.Le competenze e le responsabilità dei soggetti adulti

Gli adulti che a titolo diverso e nella specificità dei rispettivi ruoli concorrono alla positiva realizzazione del progetto educativo hanno responsabilità delicate nei confronti delle nuove generazioni e dell’intera collettività. La loro cooperazione è indispensabile al buon funzionamento del sistema scolastico del Paese.

Il mestiere dell’insegnare  ---vai--->
Il miglioramento della scuola si realizza in primo luogo con la valorizzazione e la crescita della professionalità degli insegnanti. L’insegnamento è una professione riflessiva e collegiale e non si può sviluppare con la competizione: si basa sulla competenza e la responsabilità individuale in un ambito di cooperazione. Fondamentale è la qualità della formazione iniziale e di quella in servizio centrata sulla ricerca didattica e educativa.

La funzione del dirigente scolastico ---vai--->
Il dirigente scolastico è il “garante del progetto di Istituto”; non è un manager perché la scuola non è un’impresa commerciale. Nel dirigere e governare il complesso sistema-scuola promuove e sostiene la capacità del collegio dei docenti nella costruzione e messa in pratica del progetto culturale, didattico e educativo della scuola.

Il patto scuola-genitori  ---vai--->
È necessario ricostruire il rapporto tra gli insegnanti e i genitori centrato sulla mutua valorizzazione. Il patto di corresponsabilità educativa dovrebbe rappresentare il termine di un percorso di condivisione, non solo delle regole di convivenza, ma anche degli obiettivi e delle finalità dello stare a scuola.

La città educativa
 ---vai--->
Il territorio è risorsa per la scuola e la scuola è risorsa preziosa per il territorio. Scuola e territorio sono luoghi di apprendimento, di costruzione di una società inclusiva, di vita per i ragazzi, le famiglie, gli operatori dei servizi. È fondamentale rilanciare iniziative condivise tra tutti i soggetti per la costruzione di “Patti formativi territoriali”.



Il mestiere dell’insegnare
Il miglioramento della scuola si realizza in primo luogo con la valorizzazione e la crescita della professionalità degli insegnanti. L’insegnamento è una professione riflessiva e collegiale e non si può sviluppare con la competizione: si basa sulla competenza e la responsabilità individuale in un ambito di cooperazione. Fondamentale è la qualità della formazione iniziale e di quella in servizio centrata sulla ricerca didattica e educativa.

È necessario superare la sterile contrapposizione tra un approccio che vorrebbe l’insegnamento come «libera professione» (nella vecchia concezione del “docente di storia e filosofia nei licei”) e uno opposto che lo ridurrebbe a un'attività impiegatizia.
Si può pensare di superare questa antinomia operando verso un’idea di «professionalità in un progetto» in cui sia evidenziata la dimensione di vera professione più legata alla qualità della prestazione che all’orario di servizio, senza però perdere il carattere sociale, nella prospettiva di intellettuali e di professionisti che operano collegialmente in un progetto formativo condiviso.
Il vero problema della professionalità degli insegnanti non è allora riducibile alla ricerca in astratto di una definizione bensì all’individualizzazione di campi, azioni, percorsi che la possano far decollare e far corrispondere ai bisogni della crescita della scuola.
Si può continuare a fare riferimento alla definizione contenuta nello stato giuridico degli insegnanti (che risale alla legge delega n. 477 del 1973 e al relativo DPR 417 del 1974, poi inserito nel testo unico n. 297 del 1994): «La funzione docente è intesa come esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità ».

La professionalità in un progetto educativo pubblico

Certo bisogna tener presente le competenze che sono alla base del fare scuola e dei processi necessari per formarle e svilupparle, avendo però sempre in primo piano la dimensione cooperativa e collegiale in cui si esercitano e il ruolo sociale dell’insegnamento.
La professionalità in un progetto educativo pubblico
Le competenze del docente
Queste competenze possono ricondurre prevalentemente a sei aree.
- Le competenze disciplinari, ovvero quel bagaglio culturale che ogni docente deve possedere relativamente alle materie di insegnamento. Tali conoscenze dovranno essere solide, ben strutturate, da aggiornare continuamente. Non c’è relazione o mediazione didattica che funzioni se il docente non possiede le competenze disciplinari necessarie per insegnare.
- Le competenze epistemologico-didattico-disciplinari, che corrispondono alla capacità di utilizzare le competenze disciplinari per fini educativi: saper padroneggiare il proprio sapere a seconda dell’età dei ragazzi, degli obiettivi stabiliti, dei ritmi di apprendimento di bambini e ragazzi, dei loro interessi.
- Le competenze psico-pedagogiche, necessarie per entrare in rapporto con gli allievi, per realizzare una positiva comunicazione didattica e una proficua relazione educativa; per riconoscere i problemi tipici delle varie fasi di età, le dinamiche e i conflitti che nascono all’interno della classe, tra gli alunni o tra alunno e insegnante; per riconoscere i problemi e saperli gestire.
- Le competenze relative alle tecnologie didattiche, importanti per organizzare l’apprendimento in aula e, specificamente per l’uso del computer e della rete, per insegnare ai ragazzi come selezionare il materiale scaricabile da internet, come avvalersene per un apprendimento sistematico e duraturo, oltre che per tutte le operazioni didattiche che con tali tecnologie si possono mettere in atto.
- Le competenze organizzative e di relazioni tra pari, fondamentali per costruire il proprio percorso di lavoro con i colleghi del Consiglio di classe, di un Dipartimento disciplinare, di un gruppo di programmazione, con i propri alunni, con l’extrascuola. È decisiva, infatti, per una maggiore efficacia educativa, la capacità di lavorare insieme ai propri colleghi, anche di ordini di scuola precedenti e successivi, in funzione dell’attuazione del curricolo verticale.
- Le competenze di ricerca e sperimentazione, indispensabili a individuare i percorsi didattici più efficaci, le metodologie e le strategie più utili, anche ai fini del sostegno e del recupero, dell’approfondimento e del perfezionamento di conoscenze e abilità. Tali competenze andrebbero sviluppate anche in raccordo con l’università.
Le competenze del docente
La figura professionale dell’insegnante, liberata da definizioni astratte e ideologiche, si coniuga con gli obiettivi e le funzioni della scuola: le scelte a questo livello sono determinanti e discriminanti per ragionare sul mestiere dell’insegnante. L’impegno per una scuola pubblica, laica e pluralista è certamente centrale e non è affidabile a dei “dover essere”. Rimane invece importante ragionare sulla libertà di insegnamento, purché assuma la funzione di garanzia costituzionale della stessa libertà (al pluralismo, alla laicità) degli studenti: il diritto/dovere all’istruzione appartiene ai giovani cittadini in crescita e al patto costituzionale di convivenza sociale; gli insegnanti sono i garanti della piena realizzazione di tale diritto/dovere e la loro piena libertà culturale ne misura il livello di garanzia. La libertà di insegnamento come garanzia del diritto di apprendere
In un’accezione di questo tipo la dimensione “individuale” non entra in contrasto con quella “collegiale”, ne diviene invece l’elemento di base indispensabile che proprio nella collegialità può esprimersi in modo compiuto.
Alla personale dimensione culturale, espressa attraverso una libertà d’insegnamento consapevole, si affianca la partecipazione alle scelte culturali delineate dal progetto nazionale e a quelle definite dal progetto dell’unità scolastica in cui si opera.
Si tratta allora di operare sulle condizioni e gli strumenti che consentono di sviluppare la dimensione collegiale della professionalità degli insegnanti valorizzando quella individuale, di costruire e attivare momenti organizzativi intermedi tra il collegio docenti e il lavoro individuale nelle classi, di far crescere il protagonismo degli studenti, di scegliere infine quale forma di gestione sociale della scuola sia in grado di superare la scarsa significatività degli attuali organi collegiali.
C’è da tenere presente che proprio la scuola dell’autonomia ha ampliato il terreno della funzione docente: l’art. 6 del Regolamento dell’autonomia, (Dpr 275/99) - che caratterizza le scuole come centri di ricerca in materia di innovazione metodologica, disciplinare e didattica, e come sedi di progettazione educativa – riconosce ai docenti un ruolo centrale, strategico e autonomo nelle decisioni e nelle scelte culturali, didattiche, organizzative e gestionali.
Dimensione individuale e collegialità nella scuola autonoma
È dunque necessario e urgente porre mano alla definizione e alla stabilizzazione di un percorso universitario dedicato all’insegnamento non solo per gli effetti che ne potranno derivare sull’insieme del sistema scolastico, ma perché il ritardo in questo settore rischierebbe di alimentare nuove forme di precariato con conseguenti sanatorie, concorsi riservati, disparità di trattamento per gli accessi nella scuola e l’ abbassamento della qualità e dell’efficacia del sistema scolastico stesso. È stato sufficientemente descritto quanto la condizione di precarietà di chi insegna abbia influito negativamente sulla qualità del sistema di istruzione: la mancanza di continuità didattica, l’incertezza del futuro, la scarsa motivazione ad aggiornarsi e a collaborare con gli altri colleghi hanno rappresentato e rappresentano indubbi fattori di debolezza. La formazione iniziale
Il rapporto tra Università e Scuola è un aspetto determinante nel ripensamento della formazione iniziale. Nell’attuale situazione la scuola non possiede sedi di riferimento per sviluppare l’autonomia di ricerca prevista dall’art 6 del DPR 275/99. In tali condizioni il rapporto Scuola-Università si riduce al rapporto tra singoli insegnanti e l’Università e il ritorno per la scuola è contenuto nel potenziamento delle competenze del singolo insegnante e dalle eventuali e casuali disseminazioni di tali competenze.
D’altra parte un reale intreccio tra Scuola e Università può costruirsi solo se ciascuno dei due soggetti risulta, nei confronti della ricerca didattica, portatore di una propria e distinta identità con compiti e funzioni specifiche. Alcuni problemi rimangono ovviamente aperti: in cosa consiste la ricerca nella scuola? Come si colloca/relaziona con la ricerca in Università sul terreno delle didattiche disciplinari? Quali sono le sedi di ricerca nella scuola? Per costruire un proprio ambito efficace di ricerca, la scuola deve essere messa in condizione di poterlo definire e sostenere (quali spazi, tempi, competenze, relazioni di rete e con soggetti esterni) per evitare che si finisca di dar vita ambienti marginali e votati all’improvvisazione.
Negli anni passati l’esperienza dei corsi di laurea per gli insegnanti primari e delle scuole di specializzazione per gli insegnanti secondari ha certo sperimentato un livello alto del rapporto tra l’Università e singoli insegnanti (ai quali viene riconosciuto un ruolo “istituzionale”) ma la scuola non è ancora riconosciuta come un soggetto autonomo per svolgere ricerca.
Si può aprire un ragionamento orientato alla prospettiva che veda l’Università responsabile/titolare della formazione iniziale e la scuola responsabile/titolare di quella in servizio (cura del sé professionale). È una prospettiva problematica che può rappresentare una vera svolta nella dimensione della reale collaborazione tra Scuola e Università, proprio perché si individuano le diverse responsabilità e competenze da sviluppare.
Si potrebbe dire schematicamente che l’Università, responsabile della formazione iniziale, ha bisogno della scuola e quindi ne cerca la collaborazione (laboratori, supervisori, tutor); nel contempo la scuola, che deve pensarsi e realizzarsi pienamente come sede di ricerca didattica, ha bisogno dell’Università e quindi ne cerca la collaborazione.

Il rapporto fra scuola e università e la scuola come ambito di ricerca

In tutte le indagini sull’argomento si rileva come la formazione in servizio per una professione come quella dell’insegnare debba rappresentare il cardine determinante per lo sviluppo, la crescita e il consolidamento delle competenze dei docenti per il miglioramento e per il miglioramento dei risultati di apprendimento. È probabile che l’enfasi e l’attesa riposte verso la formazione in servizio possano risultare eccessive, superiori alla loro reale valenza nel determinare il cambiamento, ma è sicuramente vero che la carenza che si sta riscontrando è tra le cause dell’arretramento della scuola nel soddisfare ai nuovi bisogni di istruzione.
Proprio nella capacità di riattivare negli insegnanti la dimensione della formazione continua come dato intrinseco alla professione può misurarsi l’efficacia di un processo innovativo da rimettere in azione. La formazione in servizio ha vissuto negli anni ottanta e novanta un momento di attuazione assai importante, ma sta ora segnando fortemente il passo e rappresenta uno degli indicatori più allarmanti dei guasti che la politica scolastica attuale sta producendo e produrrà nei prossimi anni.

La formazione in servizio

Anche a causa di questa disattenzione istituzionale, un po’ didascalicamente serve ricostruire i livelli su cui è necessario rilanciare la formazione in servizio, livelli che è possibile tenere distinti perché corrispondono a finalità diverse e necessitano di strumenti e dispositivi diversi:
- l’aggiornamento culturale per l’attività di ripensamento e consolidamento professionale inteso come perfezionamento dell’accesso alla complessità del sapere contemporaneo attraverso l’ottica specifica delle proprie competenze disciplinari;
- la formazione in servizio coerente con progetti nazionali o di Istituto relativi ai processi d’innovazione o al miglioramento della qualità dell’insegnamento/apprendimento, che può ulteriormente essere distinto in queste attività:
- attività di formazione finalizzata a sviluppare le competenze professionali disciplinari, transdisciplinare, psicopedagogiche e relazionali;
- attività di formazione finalizzata a sviluppare competenze organizzative e di cooperazione.
- la ricerca-azione intesa come riflessione/studio supportata dalla sperimentazione didattica, che rappresenta il vero nodo per la ricostruzione della professione dell’insegnare.
La progettazione della formazione in servizio può essere realizzata a livello nazionale, regionale, provinciale o di Istituto (con eventuale supporto dell’Università o delle associazioni professionali); deve essere però assunta dal Collegio dei docenti all’interno del piano di ricerca e aggiornamento dell’Istituto.

Livelli e finalità

Solo riconoscendo alla professione la dimensione della ricerca (propria del fare scuola e collegata, non sostitutiva, con quella accademica) è possibile pensare di dare agli insegnanti e alle scuole con autonomia la reale strumentazione per produrre innovazione e farsi carico delle esigenze formative che la società pone alla scuola. Del resto, la stessa possibilità di mettere in atto procedure e cicli di miglioramento dell’offerta formativa all’interno dei processi di autovalutazione può essere realizzata solo facendo leva su attività di ricerca-azione e di formazione continua, che all’interno delle scuole consentano l’individuazione dei problemi e le strategie da adottare per risolversi. Ricerca, formazione e miglioramento dell’offerta formativa
Le difficoltà nel costruire proposte di “carriera” non sono legate alla ostinata resistenza dell’integralismo egualitarista: esiste un’obiettiva difficoltà a definire e a riconoscere un processo di sviluppo professionale all’interno della professionalità docente.
Forse proprio questa sottovalutazione unitamente alla ricerca di scorciatoie semplificatrici che trasferiscono alla scuola criteri di professionalità non coerente con una istituzione educativa ha impedito il necessario processo di riconoscimento e valorizzazione dell’insegnamento.
L’obiettivo da raggiungere non è la “carriera” (che significa cambiare profilo professionale e quindi funzione) ma, all’interno della funzione insegnante, aumentare la responsabilità e l’autonomia nel gestire il compito di lavoro: la vera crescita del professionista riflessivo è legata alla progressiva autonomia e padronanza nel decidere come raggiungere il risultato richiesto.
Per questo motivo, per gli insegnanti, è molto più significativo e praticabile parlare di sviluppo professionale come valorizzazione del ruolo e della funzione docente, ovvero di uno sviluppo inteso come capacità sempre più compiuta e articolata di insegnare ad apprendere, senza far uscire dalla centralità del lavoro in classe l’insegnante al quale si riconosce un incremento di professionalità
Ovvero lo sviluppo della professionalità va sempre pensato come sviluppo della maestria/competenza nell’essere insegnante (le competenze professionali), che corrisponda al miglioramento dei risultati di apprendimento, attraverso la progettazione, la pratica e il governo dei processi di apprendimento.
Lo sviluppo della professionalità docente
Nelle tante proposte contrattuali sulla carriera insegnante si sono sempre contrapposte due posizioni.
La prima prevede l’assunzione esclusiva del fare scuola, ovvero del lavoro in classe, ma in assenza di criteri per valutare il bravo insegnante, si accettava l’automatismo dell’anzianità, anche se di automaticamente connesso al passare degli anni vi è solo il diventare più vecchi e non più bravi. E ancora, nella difficoltà di misurare l’abilità di insegnare si sono cercati indicatori complementari (test, libri scritti, titoli accademici o di aggiornamento...).
La seconda posizione afferma che il lavoro in classe non è tutto (oltre che difficile da misurare) e quindi è opportuno legare lo sviluppo di carriera ad attività altre, ma determinanti per il sistema scuola: figure di sistema, funzioni obiettivo/strumentali e quant’altro serve alla scuola.
E a peggiorare la situazione, si intende commettere l’errore di proporre lo sviluppo della professione in situazione di concorrenza tra gli insegnanti, limitando ad una percentuale il passaggio di livello, pur nello svolgimento della stessa funzione. Ci si è avvitati su questa contrapposizione e bisogna uscirne poiché il terreno è ormai minato e i danni possono essere maggiori dei vantaggi.
Invece, riconoscendo che lo sviluppo e l’articolazione della professione hanno sempre come base il miglioramento dell’insegnamento/apprendimento si potrebbe contemporaneamente operare su modalità diverse di riconoscimento dello sviluppo professionale.
Due posizioni contrapposte
Anzitutto il riconoscimento di una progressione di carriera con se stessi (e non contro i colleghi), legata allo sviluppo delle competenze necessarie atte a migliorare l’insegnamento/ apprendimento, sorretta da una coerente organizzazione della scuola e che si esplica anzitutto nell’attività di ricerca e sperimentazione (svolta con i colleghi o individualmente, in raccordo con le altre scuole, con le università, con i dipartimenti dei territori). La progressione personale di carriera
Quindi il riconoscimento dell’assunzione di responsabilità collegiali, per le quali si possono prevedere percorsi di formazione specifica: coordinamento di dipartimenti, organi di programmazione, commissioni fino al coordinamento della didattica per il Collegio dei docenti …. Le responsabilità collegiali
Infine il riconoscimento di attività “aggiuntive” come le funzioni strumentali maggiormente collegate e funzionali al progetto di scuola (ad esempio l’orientamento, la gestione della biblioteca, la formazione e la cura dei giovani insegnanti...). Queste attività rimangono interne al profilo professionale di tutti (e progettate dal collegio) ma non possono essere svolte da tutti ed anche in questo caso sono da prevedere percorsi di formazione mirata. Le attività aggiuntive
Dovrebbe inoltre essere valorizzata la formazione in servizio sia quando è rivolta a temi legati all’approfondimento disciplinare, sia alle strategie didattiche per rinnovare il modo di insegnare. La formazione può svilupparsi all’interno dell’Istituto scolastico, oppure partecipando a iniziative organizzate, nel territorio, anche da associazioni professionali accreditate. Va orientata verso la dimensione partecipata, di ricerca-azione, di rapporto con la didattica in classe, favorendo la costruzione di comunità professionali (limitando l’esorbitare della formazione on line). E taluni possono assumere il ruolo di formatori su temi specifici, pur rimanendo in servizio attivo o usufruendo di impieghi part-time.
Alcuni di tali incarichi, a loro volta, potrebbero costituire credito per passare, a richiesta, ad altre funzioni o ad altri ‘mestieri’ (supervisore nelle università, dirigente scolastico, coordinatore di dipartimenti e reti territoriali, ecc.).
La formazione in servizio
Su un altro piano può essere fortemente tenuta in conto la variabile tempo, prevedendo una triplice collocazione retributiva e giuridica sulla base del tempo scolastico scelto:
- tempo parziale (a domanda, e comunque obbligatorio per chi esercita la libera professione o assume incarichi esterni);
- tempo normale (rideterminando il rapporto docenza/altri impegni);
- tempo potenziato (che comprende una presenza a scuola in orario antimeridiano e pomeridiano, anche per compiti di supporto organizzativo e tecnico-progettuale; il tempo potenziato dovrebbe essere obbligatorio per chi fa parte dello staff di direzione).
La variabile tempo
La scuola, in quanto istituzione educativa richiede uno sviluppo della professione inteso non in opposizione agli altri colleghi ma disposto nel rispetto del lavoro collegiale e cooperativo, dove la competenza di un docente è a disposizione di tutta la scuola, con ricadute immediate sulla qualità della didattica. In questa prospettiva non vi è uscita dal profilo professionale dell’insegnare ma vi è realmente il riconoscimento di ogni responsabilità e ogni competenza acquisita e messa in atto nel migliorare il processo di insegnamento/apprendimento.
Semplificando si potrebbe dire: in competizione con se stessi e in collaborazione con i colleghi per costruire una comunità professionale in continua crescita.
In competizione con se stessi e in collaborazione con gli altri
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


La funzione del dirigente scolastico
Il dirigente scolastico è il “garante del progetto di Istituto”; non è un manager perché la scuola non è un’impresa commerciale. Nel dirigere e governare il complesso sistema-scuola promuove e sostiene la capacità del collegio dei docenti nella costruzione e messa in pratica del progetto culturale, didattico e educativo della scuola.

L’autonomia funzionale ha segnato la vita delle scuole degli ultimi 15 anni. Molte potenzialità non sono state utilizzate, sia per responsabilità dirette della scuola, che non sempre ha praticato e sviluppato le prerogative dell’autonomia; sia per responsabilità politiche, in quanto l’autonomia è stata spesso mortificata da tagli alle risorse economiche e da un rinnovato centralismo. Basti pensare alla mancata attuazione dell’organico funzionale com’era previsto nel DPR 833 del 1998 in attuazione dell’autonomia.
È necessario rilanciare lo sviluppo “virtuoso” dell’autonomia per un’organizzazione che si ponga lo scopo di valorizzare i soggetti anziché imbrigliarli in una macchina “perfetta” e impegni tutte le energie nella qualità dell’apprendimento.
L’autonomia non può essere intesa come autoreferenzialità, che porta alla disaggregazione, ma va declinata come cultura della responsabilità ed esercizio democratico della libertà di insegnamento. L’autonomia della scuola, infatti, è funzionale, in quanto finalizzata a garantire il raggiungimento del mandato istituzionale, cioè assicurare a tutti il successo formativo, costruendo un’ambientazione didattica e un’organizzazione flessibile con adeguate combinazioni di tempi, spazi, relazioni, tecnologie, ecc., che possano garantire a tutti il diritto di apprendere, l’acquisizione di competenze e dare risposte a una pluralità di bisogni formativi, per realizzare la scuola della Costituzione, attraverso una didattica veramente inclusiva e adeguata a una società sempre più complessa.
In tale prospettiva, il dirigente scolastico riveste un ruolo determinante nel rendere l’autonomia didattica, organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo lo strumento essenziale per favorire la crescita dell’azione educativa efficace.
L’autonomia funzionale

 

La scuola con autonomia deve dunque configurarsi come una comunità professionale e di pratica che condivide valori e un progetto educativo e che ha ben chiara la sua identità e le sue finalità; pertanto, il dirigente scolastico deve saper costruire relazioni basate sul consenso e la condivisione e deve promuovere, coordinare, valorizzare tutti i soggetti coinvolti, secondo il modello della learning organization, che, pur in presenza di “legami deboli” – o forse proprio grazie ad essi – è un modello ampiamente modificabile, flessibile e ridefinibile a seconda dei contesti e delle situazioni. Una comunità professionale e di pratica
Proprio il modello dell’organizzazione che apprende, che riflette su se stessa, in cui tutti svolgono correttamente il loro ruolo, assumendosi le rispettive responsabilità, e condividono l’idea di scuola che deve rispondere compiutamente al mandato assegnatole dalla Costituzione, può contribuire alla crescita della scuola stessa e alla professionalità di docenti e dirigenti. In tale contesto è possibile costruire una cultura della valutazione che consenta a tutti i membri della comunità scuola di osservare e governare i processi volti al raggiungimento degli scopi istituzionali e che conduca alla valutazione non dei singoli docenti, ma della professionalità docente. L’organizzazione che apprende
Poiché il modello organizzativo di una scuola non è neutro, ma incide sulla qualità degli apprendimenti bisogna riflettere sulla governance delle scuole e sul ruolo del dirigente scolastico. Punto di riferimento imprescindibile rimane l’art. 16 del D.P.R. 275/99, che disegna un tipo di governance guidata da una visione unitaria del progetto di scuola, sostenendo in modo netto l’intreccio delle competenze e delle funzioni diverse ed integrate affidate a soggetti diversi e delle responsabilità decisionali e di governo della singola scuola.
Pertanto la scuola deve operare non tanto come un sistema burocratizzato e miniaturizzato al suo interno, con compiti ben definiti e ripartiti, quanto come un’“organizzazione che pensa”, una comunità di pratiche che definisce, valuta, contestualizza, controlla e modifica continuamente il proprio operato per adattarlo al difficile compito. Per poter rendere effettivo un siffatto sistema il dirigente scolastico, più che pensare ad una line organizzativa di tipo “corto”, con compiti semplificati e programmati, deve poter contare su una rete di collaborazioni valorizzate e ben integrate nel tessuto sociale ed organizzativo, sia interno che esterno, capaci di amplificare e validare il difficile intreccio che si va componendo.
La governance delle scuole
La normativa (compresa quella contrattuale) che segna la nascita del dirigente scolastico va in questa direzione.
- Nell'esercizio delle competenze di cui al comma 2 il dirigente scolastico promuove gli interventi per assicurare la qualità dei processi formativi e la collaborazione delle risorse culturali, professionali, sociali ed economiche del territorio, per l'esercizio della libertà di insegnamento, intesa anche come libertà di ricerca e innovazione metodologico-didattica, per l'esercizio della libertà di scelta educativa delle famiglie e per l'attuazione del diritto all'apprendimento da parte degli alunni.
- Il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria dell'istituzione, ne ha la legale rappresentanza, è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio.
- Nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici, spettano al dirigente scolastico autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane e professionali, necessari a promuovere e realizzare il progetto di istituto.
- In particolare il dirigente scolastico organizza l'attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative ed è titolare delle relazioni sindacali, nel perseguimento dell'obiettivo della qualità dell’offerta formativa e degli obiettivi prefissati.
- Il dirigente presenta periodicamente al consiglio di circolo o al consiglio di istituto motivata relazione sulla direzione e il coordinamento dell'attività formativa, organizzativa e amministrativa al fine di garantire la più ampia informazione e un efficace raccordo per l'esercizio delle competenze degli organi della istituzione scolastica.
In sintesi il profilo professionale del dirigente scolastico non può essere ridotto a «gestore amministrativo-rappresentativo». È invece riconducibile alla direzione dell’intero sistema, all’essere il “garante del progetto dell’Istituto”. In quanto responsabile della “gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio” si rapporta in modo particolare alla valorizzazione e allo sviluppo della professionalità e della responsabilità insegnante. La funzione e la responsabilità del dirigere infatti incontra ma non sostituisce la funzione e la responsabilità dell’insegnare.
I compiti del dirigente scolastico
Nella scuola autonoma viene superata la figura del dirigente-direttore didattico. Il ruolo di dirigente non comprende maggiori competenze in riferimento alla funzione dell’insegnare, mentre comprende certamente alte competenze nel governo dell’intero sistema dell’unità scolastica e soprattutto nella valorizzazione delle competenze degli insegnanti nel costruire e nel governare il progetto/processo di insegnamento-apprendimento.
La responsabilità del dirigente scolastico opera sostenendo altre professionalità, quelle dei docenti, dotate a loro volta di responsabilità. Il rapporto tra dirigente e insegnante è infatti quello tra due competenze e quindi tra due tipi di responsabilità: la scuola con autonomia è un sistema più complesso che non può concentrare tutta la responsabilità educativa su una figura.
Il garante del progetto di istituto
Il dirigente ha così la responsabilità “dei risultati del servizio”, ma il progetto e il governo dell’intervento didattico (anche a livello del progetto complessivo) possono solo essere svolti dagli insegnanti nella dimensione di collegio. È del collegio degli insegnanti la responsabilità del progetto didattico di una scuola e allora il coordinatore non può essere una emanazione della responsabilità del dirigente perché è una emanazione della responsabilità del collegio (e delle sue articolazione).
In questa logica può essere costruita l’organizzazione dell’unità scolastica, che si esplica da un lato dallo staff del dirigente scolastico, che è interno alla funzione dirigente (e legato alla direzione del “sistema”) e dall’altro nella “rete” di responsabilità sulla didattica, che è interna alla funzione insegnante.
La responsabilità del Collegio dei docenti

Decisiva è allora la funzione di strutturare una rete organizzativa di tipo professionale e riconoscere la responsabilità del governo della didattica agli insegnanti (nel collegio dei docenti, nel consiglio di classe, nel dipartimento, nel centro di documentazione e di ricerca didattica, nel laboratorio territoriale, nell’attività tutoriale, nel costruire la memoria della scuola...).
- sostenere in modo reale e non volontaristico la dimensione collegiale del lavoro scolastico e del suo collegamento con le attività individuali, non separando lavoro nella classe e attività di ricerca, progetto, governo e valutazione, rendendo cioè “conveniente” professionalmente il lavoro collegiale,
- collegare l’incremento della professionalità degli insegnanti con il processo di miglioramento della qualità dell’istruzione,
- rendere possibile la valorizzazione della cultura e del ruolo degli insegnanti nel governo del progetto didattico complessivo delle unità scolastiche centrandoli sulla reale capacità professionale di assunzione di responsabilità.

Le responsabilità e i poteri del dirigente scolastico non vengono in tal modo sminuiti: il dirigente diventa dirigente non di “impiegati di concetto” bensì di una organizzazione di professionisti riflessivi, in grado di assumersi responsabilità nel merito del proprio ruolo professionale. É una situazione più complessa che prevede alte professionalità in grado di corrispondere a nuove e importanti responsabilità formative della scuola e delle scuole.

L’organizzazione di professionisti riflessivi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Il patto scuola-genitori  ---vai--->

È necessario ricostruire il rapporto tra gli insegnanti e i genitori centrato sulla mutua valorizzazione. Il patto di corresponsabilità educativa dovrebbe rappresentare il termine di un percorso di condivisione, non solo delle regole di convivenza, ma anche degli obiettivi e delle finalità dello stare a scuola.

Gli artt. 30, 33 e 34 della Costituzione sanciscono:
- «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli».
- «La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole».
- «La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, (…), è obbligatoria e gratuita».

«Gli insegnanti e i genitori, nonostante la diversità dei ruoli e la separazione dei contesti di azione, condividono sia i destinatari del loro agire, i figli/alunni, sia le finalità dell’agire stesso, ovvero l’educazione e l’istruzione in cui scuola e famiglia operano insieme per un progetto educativo comune. Il focus della problematicità di questo rapporto cade sul rispetto dei ruoli, delle competenze, dei compiti e delle libertà di ciascuna di queste due figure. Nell’esercizio della corresponsabilità, infatti, ciò che fa accrescere l’efficacia di questo mezzo è lo scambio comunicativo e il lavoro cooperativo. Ma ciò che mantiene vivo tale scambio è quel senso di responsabilità sociale che dovrà determinare le scelte strategiche delle scuole, connotando il loro lavoro come contributo significativo alla costruzione del sociale» ( Nota ministeriale 22 novembre 2012, prot. n. 3214).

Il rapporto con i genitori

Nell’attuale situazione sociale riformulare il rapporto tra scuola e famiglia è fondamentale. In un mondo basato sul consumo e l’individualismo le principali agenzie educative devono serrare i ranghi e metter in comune le risorse a disposizione recuperando e rispettando la piena autonomia delle scelte e le specifiche responsabilità. Per far ciò è necessario chiarire i rispettivi ruoli, le modalità di intervento, le strategie a breve e a lungo raggio. È fondamentale che insegnanti e genitori riconoscano reciprocamente i ruoli e gli ambiti di azione. Se non viene fatta questa operazione di chiarimento è in agguato il conflitto o la pretesa di subordinazione valoriale come risultato di una mancata chiarezza dei rispettivi ambiti istituzionali di azione.
La scuola può perseguire con maggiore efficacia i propri obiettivi se riesce a costruire un patto educativo non formale con i genitori. Non si tratta di rapporti da stringere solo in momenti critici, ma di relazioni costanti che si supportino vicendevolmente nelle comuni finalità educative. C’è da costruire una relazione funzionale all’intervento educativo di entrambi i soggetti. La chiave del processo da mettere in atto è riconducibile al reciproco riconoscimento e alla valorizzazione delle differenti funzioni educative.
Autonomia e riconoscimento reciproco
 Il “Patto di corresponsabilità educativa” (DPR 24 giugno 1998, n. 249, modificato dal DPR n. 235 del 21 novembre 2007-art. 5-bis) rappresenta lo strumento a disposizione delle scuole per ripensare, costruire e sviluppare un effettivo rapporto di cooperazione educativa con i genitori degli allievi.
L’insegnante deve attribuire senso e valore alle competenze e conoscenze dei genitori, deve chiedere loro la storia del figlio attraverso la narrazione dell’itinerario educativo compiuto con lui, deve rispettare la loro empatia oppure risvegliarla attraverso l’etica della collaborazione.
Questo atteggiamento è collegato al concetto di insegnante come professionista riflessivo che non pretende di sapere una volta per tutte, che si pone in discussione, che non assume solo su di sé il peso della relazione con la classe ma ottiene il supporto dei genitori che gli forniscono gli strumenti per l’individualizzazione della relazione con i figli-alunni. Si tratta di condividere con i genitori il sapere concreto, quotidiano e situato dell’esperienza. Questa conoscenza esperta può rappresentare una risorsa per il progetto educativo della scuola.
Il Patto di corresponsabilità educativa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


La città educativa  
Il territorio è risorsa per la scuola e la scuola è risorsa preziosa per il territorio. Scuola e territorio sono luoghi di apprendimento, di costruzione di una società inclusiva, di vita per i ragazzi, le famiglie, gli operatori dei servizi. È fondamentale rilanciare iniziative condivise tra tutti i soggetti per la costruzione di “Patti formativi territoriali”.

Il patto città-scuola ovvero, più in generale, autonomie locali - sistema scolastico territoriale è uno dei terreni da rendere centrale in un progetto sulla scuola. Si deve andare oltre la semplice richiesta/erogazione di servizi: il sistema formativo di un territorio si sviluppa attorno ad un progetto praticato sinergicamente da tutti i soggetti.
L’autonomia è lo strumento centrale (oltre che per la riorganizzazione del sistema “unità scolastica”) per lo sviluppo del sistema educativo territoriale. La costruzione delle reti delle scuole (art.7 del DPR 275/1997) e delle conferenze permanenti sulla scuola sono l’ossatura per far crescere la capacità di cooperazione tra le due autonomie.
Il carattere di “istituzione attiva” nel territorio consiste proprio nella capacità di ciascuna scuola di far maturare, al suo interno, convogliando istanze nazionali, territoriali e locali, una costante equilibrata azione di progettazione educativa e di ricerca didattica. Costruire il progetto di istituto, ovvero lavorare al curricolo di scuola, implica in primo luogo la capacità degli insegnanti e dei dirigenti scolastici di essere autonomi nel progettare e responsabili nel costruire apprendimento.
La scuola può diventare un motore riconosciuto di cambiamento molto rilevante per l’intera comunità locale. Si può ampliare il senso della massima educativa africana “per far crescere un bambino ci vuole un villaggio". Potremmo dire: “Per fare cambiare e crescere una scuola ci vuole una comunità, ma per far crescere una comunità ci vogliono scuole virtuose”.

 
Il patto autonomie locali-sistema scolastico territoriale
Le scuole che stanno realizzando un’autonomia di tipo “virtuoso”, hanno un banco di prova immediato e ineludibile: la scelta di non chiudersi al proprio interno, ma al contrario di aprirsi all’esterno.
Una particolare forma di apertura delle singole scuole è la scelta di fare rete con altre scuole dello stesso territorio. La rete territoriale fra scuole ha una notevole rilevanza nei processi di cambiamento. Alcuni problemi del territorio sono affrontati “insieme” e ciò agevola la ricerca di soluzioni condivise a problemi che sono dell’intero territorio. La rete di scuole consente anche di mettere insieme le risorse della formazione. Ogni scuola decide autonomamente le proprie iniziative, ma tutte vengono messe a disposizione dell’intero territorio. La rete è anche un punto di forza per i nuovi dirigenti, che qui possono attingere a un bagaglio di esperienza e di conoscenza delle realtà locali.
La costruzione di reti territoriali di scuole
I luoghi e i soggetti dell’educazione per i ragazzi e per tutti i cittadini sono molteplici e a ciascuno di questi competono responsabilità multiple, diverse e anche complementari. Le esperienze di collaborazione e di scambio fra le scuole e altri soggetti che operano sul territorio rappresentano un “motore” di cambiamento e di innovazione educativa per lo sviluppo di percorsi di insegnamento/apprendimento ricchi di richiami interdisciplinari e interculturali.
Il territorio è relazione e l’obiettivo è quello di realizzare progetti comuni basati su un patto di reciproca responsabilità. Ciò significa in particolare:
- curare i processi, le relazioni e la comunicazione, garantendo le funzioni di facilitazione, accompagnamento, animazione del processo;
- avviare la costruzione della rete attraverso la co-progettazione con chi condivide un quadro di riferimento, attivando, nel contempo, un efficace dispositivo metodologico e organizzativo;
- scegliere insieme criteri e indicatori per monitorare le esperienze che si realizzano, documentarle e renderle comunicabili anche all’esterno;
- costruire progetti educativi territoriali, le cui linee concordate nelle conferenze di servizio, comprendano le adesioni delle scuole alle attività offerte/proposte dall’ Amministrazione, dalle istituzioni (Musei, centri di ricerca, Università, realtà produttive ecc) o dagli altri soggetti del territorio (associazioni culturali, ricreative sportive ecc.).
A questo scopo possono essere utili le Conferenze annuali di territorio, la stesura di progetti integrati, la scrittura insieme (Scuola e Territorio) della premessa del POF, la costruzione di accordi e patti territoriali.
La collaborazione con altri soggetti
Nei momenti di criticità è fondamentale chiarire competenze ed individuare priorità (la disabilità grave, i bambini stranieri di recente immigrazione, i bambini rom, le nuove povertà …).
Nel passaggio di competenze dalle Province ai nuovi enti territoriali per garantire la valenza dei servizi di territorio è necessario che molti servizi, almeno quelli per il diritto allo studio, siano affidati ai Comuni singoli o associati. È inoltre necessario alleggerire gli adempimenti burocratici attraverso un unico Progetto Educativo in cui ci sia la possibilità di evidenziare quali risorse sono necessarie: insegnanti di sostegno, educatori per l’Assistenza Educativa Specialistica, trasporti, aggiornamento, strumenti didattici. Non è sufficiente un tavolo di lavoro fra dirigenti scolastici ed ente locale per distribuire le risorse sempre più scarse. Occorre rappresentare, a chi ha compiti istituzionali per sostenere il diritto allo studio, le effettive esigenze degli allievi e delle scuole. I servizi per l’integrazione non possono essere frammentati: servono organici stabili, personale in servizio dal primo giorno di scuola, in organico o in convenzione con appalti chiari che mantengano in mano all’ente pubblico il coordinamento e l’aggiornamento permanente del personale. Servono infine percorsi formativi comuni per il personale della scuola e degli enti di territorio, su alcuni temi anche rivolti alle famiglie.
Interventi sulle priorità educative

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Sì, allora cambiamo la scuola (davvero)”
Iniziativa promossa dal Cidi Torino per contribuire all’innovazione della scuola

Di che cosa parliamo


L’azione centrale di questa iniziativa pubblica è argomentare la nostra idea di scuola e costruire una campagna di ascolto, confronto e ulteriore approfondimento riuscendo a raggiungere tutti i soggetti del fare scuola.
Rimane forte l’idea di scuola come la più importante e significativa esperienza pubblica dell’infanzia e dell’adolescenza, necessaria per tutti e finalizzata alla costruzione degli strumenti culturali per affrontare gli ostacoli e le opportunità della vita adulta.
La proposta si basa sulla convinzione che:
a. è necessario cambiare la scuola perché c’è un divario tra il compito a cui è chiamata e la sua capacità di svolgerlo,
b. il cambiamento presuppone la convergenza delle azioni di politica scolastica con le azioni di innovazione del fare scuola quotidiano,
c. nelle scuole esistono le potenzialità per avviare e diffondere l’innovazione.

Chi siamo


Siamo il Cidi Torino 

Il “pubblico” nella sua accezione più autentica è il costituirsi di quell’arena simbolica, mediata dalla cultura, in cui prende forma l’autonomia individuale, in cui ha inizio quella particolare prassi sociale che è l’esercizio dei diritti: diritto di conoscere, di scegliere, di orientarsi, di agire.
(
Gianna Di Caro)


Per tornare alla bacheca