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a cura di insegnarePer una fase costituente

01/06/2020

ANP e Confindustria: dalla scuola della Repubblica alla scuola del “sistema Italia”

di Luigi Saragnese

Se, come diceva Agatha Christie “un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”, la pubblicazione concomitante, il 25 maggio, del documento dell’Associazione Nazionale Presidi  e della lettera al Corriere della sera di Giovanni Brugnoli, vicepresidente di Confindustria per il Capitale umano (sic!) intitolati rispettivamente “ Le proposte ANP per la riapertura delle scuole a settembre” e “Istruzione, un patto pubblico-privato", non è ancora una prova, ma può essere considerata ben più di una coincidenza, se non altro perché, seppure da punti di vista diversi, entrambi i documenti concorrono a disegnare un progetto di scuola che “metta al centro la riforma del sistema educativo”, affidandosi ad un patto pubblico-privato che fa a meno della Costituzione.

Per questo credo necessario che i due testi vadano analizzati assieme, per coglierne l’ispirazione e gli intenti comuni.  Il punto di partenza nei due documenti è l’utilizzo dello stato di emergenza imposto dall’epidemia del Covid-19 per cogliere le “opportunità di cambiamento” al fine di “riconsiderare il ruolo e l’organizzazione delle istituzioni scolastiche”. Da questo punto di vista, niente di nuovo sotto il sole: le grandi crisi non sono mai state per le classi dominanti semplici parentesi per tornare, una volta superate, allo status quo ante, ma opportunità per introdurre trasformazioni politico-economiche, profondi mutamenti organici o strutturali, al fine di rafforzare il proprio potere.
La crisi economico-sociale determinata dal Covid-19 viene vista come occasione per far avanzare nella scuola un “progetto condiviso pubblico-privato” e per, come dice più esplicitamente l’ANP, “ridefinire i ruoli del personale scolastico, nonché le forme di relazione e comunicazione da intessere con studenti e famiglie, con enti locali e agenzie territoriali”.  Dunque, nessun semplice ritorno alla scuola preCovid, come molti ingenuamente auspicavano, ma una chance per avanzare un progetto organico di riforma del sistema di istruzione che risponda ad una “domanda di erogazione di servizio (sic!) che produca apprendimento”. Tralascio ogni commento sul lessico impiegato, che mostra la distanza concettuale tra questa concezione capitalistico-mercantile dell’istruzione e quella della scuola come diritto, elemento costituente della Cittadinanza.

I due documenti sono certo differenti per temi affrontati e finalità. La lettera del Vicepresidente di Confindustria per il Capitale umano, dopo aver richiamato l’esigenza di un “ceto dirigente coraggioso e capace di orientare”, si concentra sul problema della formazione dei giovani in un’“epoca in cui l’intelligenza artificiale sfida il lavoro dell’uomo” e individua nella situazione presente, con le aule “diventate off limits” l’opportunità per vedere i limiti dei nostri sistemi educativi e cogliere l’occasione per il cambiamento, occasione che viene fondamentalmente individuata nello sviluppare le attività di formazione promosse da Confindustria: l’alternanza scuola-lavoro, che viene esaltata sottolineando i meriti delle oltre 1.000 imprese di Confindustria che hanno ricevuto “attestati di eccellenza” per “l’alternanza di qualità” e hanno offerto (bontà loro) a 40.000 studenti un percorso d’orientamento, la formazione degli adulti e a cui si aggiungono gli ITS-Istituti Tecnici Superiori e le università private, come la LUISS [1]. La conclusione è illuminante: serve fare di più e questo di più, per Confindustria, si può realizzare con il già richiamato “progetto condiviso”, che metta in “connessione privato e pubblico, in particolare quella parte del ceto dirigente cui è affidata la responsabilità politica e amministrativa sull’istruzione”. È un auspicio e un esplicito appello a chi ricopre funzioni dirigenti nella scuola pubblica, Ministero e Dirigenti Scolastici, a unire le forze, a lavorare assieme per  perseguire il disegno comune di una “riforma del sistema educativo” che connetta “intelligentemente società e ceto dirigente”.

Il documento dell’ANP, sin dalle prime righe della Premessa, fa capire come il suo intendimento non sia quello di redigere una sorta di promemoria delle cose da fare per la ripartenza a Settembre, ma si presenta come un progetto organico di riforma della scuola,  all’interno di un non ben definito “welfare generale” in cui pubblico e privato si scambiano ruoli e compiti, con tutti i soggetti “portatori di interesse”, imprese, soggetti privati ed enti locali in primo luogo, che partendo dall’emergenza Covid, dall’esperienza della didattica a distanza (DAD) e dello smart working, si propone di intervenire su ogni aspetto del sistema scolastico . L’ANP, nonostante rappresenti una parte ultraminoritaria del mondo della scuola (ma sindacato di maggioranza relativa tra i DS con il 40% delle deleghe), approfitta così del silenzio dei partiti di Governo, dei confusi balbettii della Ministra e del sostegno dei massmedia, dei quali è diventato l’opinionista di riferimento, consultato in ogni occasione quale “portavoce del mondo della scuola”.

È sufficiente dare una occhiata ai titoli dei paragrafi [2],  in cui il documento è suddiviso, per capire che l’obiettivo cui tendere non è solo un ridisegno del sistema scuola in cui siano rafforzati all’estremo la figura e i poteri del Dirigente scolastico, ma un’operazione egemonica in cui, per dirla con Gramsci, al rafforzamento della componente del dominio (liberazione del “ruolo dirigenziale da vincoli e costrizioni”, svuotamento degli organi collegiali sino a renderli irrilevanti, gestione completa del personale e delle risorse economiche, introduzione del cosiddetto middle management, “collaboratori” scelti e fiduciari del dirigente etc..) corrisponde la ricerca del consenso, della fiducia dei “subalterni”, cioè di quanti - famiglie, studenti, stakeholders - sono coinvolti nel sistema di Istruzione.
In questo senso, credo, vanno letti i paragrafi dedicati alle misure volte a incentivare le “moderne tecnologie per sostenere il lavoro dei docenti, per migliorare l’apprendimento da parte degli studenti”, “l’efficace integrazione con gli altri enti e agenzie coinvolti, la corresponsabilità educativa con le famiglie e la sicurezza”, “la partecipazione attiva, autonoma, consapevole e responsabile al percorso di apprendimento,[…] per sviluppare le competenze digitali fondamentali e imprescindibili per utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della società dell’informazione”, “la soddisfazione delle richieste formative provenienti dalle famiglie e dal territorio”.
A rafforzare l’idea di un progetto egemonico presente nel documento dell’ANP stanno i riferimenti alla revisione dei curricoli per “sviluppare finalmente una didattica per competenze” con l’adozione di un “approccio multiprospettico” agli insegnamenti delle discipline, alle tematiche dell’inclusione, alle misure specifiche per i diversi ordini di scuola, alla rimodulazione di spazi, orari e periodi didattici e alla formazione degli insegnanti.
Certo nel documento dell’ANP hanno un peso decisivo le proposte dirette al rafforzamento dei poteri del DS , sino a farne - come rilevato da più voci - un dominus, la cui autorità non è bilanciata da alcun organismo collegiale. L’ANP, consapevole della debolezza teorico-pratica del fronte democratico, coglie l’occasione dall’esperienza dell’emergenza (“quando hanno dovuto rapidamente decidere”) per cercare una sorta di resa dei conti finale nei confronti di tutto ciò che ancora resta nella scuola odierna delle riforme politiche e delle conquiste sindacali degli anni ’70; è una scuola, quella dell’ANP, che tradisce una concezione proprietaria delle istituzioni scolastiche, quanto più possibile lontana dalla Costituzione, termine che non a caso non compare mai nel testo, se non come aggettivo riferito all’“obbligo” della riapertura delle scuole a Settembre.

Che fare? La necessaria denuncia non basta, la richiesta delle risorse indispensabili e di nuovi investimenti non sono sufficienti: occorre unire all’azione di contrasto di questo progetto la discussione e l’elaborazione di un disegno alternativo di scuola democratica ed emancipante per l’Italia del dopo coronavirus.

Note

1. La LUISS di Roma, fondata da Confindustria, riceveva  però già otto anni fa cinque milioni e mezzo di euro  di contributi versati dallo Stato; la Bocconi dal canto suo, sempre nello stesso anno ne riceveva 14.945.000; cfr. "Decreto criteri di ripartizione del contributo a favore delle università non Statali per l’anno 2012".
2. Sono questi: TECNOLOGIA, FORMAZIONE, ORGANIZZAZIONE LOGISTICA, ORGANIZZAZIONE DIDATTICA, INCLUSIONE, SPECIFICITÀ DEL PRIMO CICLO DI ISTRUZIONE (Scuola dell’infanzia, Scuola primaria Scuola secondaria di primo grado) , LE SCUOLE DEL SECONDO CICLO DI ISTRUZIONE .
 

 

 

Apriamo uno spazio di analisi, confronto ed elaborazione condivisa, finalizzato a raccogliere idee, interpretazioni e proposte per la salvaguardia e la ridefinizione dei presupposti fondanti della scuola pubblica, quale dovrebbe derivare dal mandato Costituzionale.

Perché questa esigenza

Va da sé che se si sente questa esigenza è perché si ritiene che
- la scuola non riesca da tempo ad assolvere al proprio compito istituzionale;
- non siano adeguate, se non controproducenti, le stesse ipotesi di cambiamento adottate o emerse  in questi ultimi anni;
-  le recenti drammatiche vicende legate all'emergenza sanitaria e al modo di fronteggiarla abbiamo prodotto ulteriori danni;
- le prospettive per il futuro, come si vengono profilando, non facciano che alimentare perplessità e preoccupazioni.

Lo spazio è aperto a chiunque voglia partecipare alla riflessione, a partire da alcuni punti fermi che andremo esponendo nei primi contributi di orientamento e messa in campo dei problemi.

Il fine ultimo è ridare forza, senso e prospettiva alla funzione istituzionale, democratica ed emancipante della scuola pubblica, che è stata duramente messa alla prova da decenni di impoverimento di risorse e di inquinamento del suo ruolo costituzionale. Il processo stesso con cui ne è stata sancita l'autonomia istituzionale  ha avviato un processo di involuzione deistituzionalizzante e la scuola non è mai sata così asservita alle logiche esterne, ai processi di mercificazione di ogni sua componente, ai portatori di altri interessi, come da quando è, almeno e del tutto solo formalmente, "autonoma".

Lo stato di crisi e le conseguenze dell'emergenza sanitaria

Alti tassi di abbandono, profonde disuguaglianze distribuite tra e dentro i territori, canalizzazioni diseguaglianti precoci e rigide, esiti nel complesso insoddisfacenti rispetto a parametri diversi, confusione estensiva sulle finalità da perseguire e le metodologie da adottare, sistema di valutazione ossessivo sempre più orientato al condizionamento e meno alla ricerca: la scuola italiana presentava lacune anticostituzionali anche prima dell'emergenza sanitaria e della conseguente chiusura delle scuole come spazio fisico e relazionale in condizioni di prossimità.

Questa circostanza e il modo con cui è stata gestita non ha fatto che peggiorare le cose.

E ora, appare assai elevato il rischio che qualcuno voglia costruire il futuro usando le macerie dell'emergenza, alcune inevitabili altre meno, come pietre miliari del mondo nuovo, senza una adeguata riflessione critica sulle macerie che già avevamo alle spalle, sulle contraddizioni dell'esistente,  su ciò che le ha prodotte, su quanto è davvero avvenuto e sulle teorie e gli interessi che si propongono di reiterarlo.

Il ragionamento sull'incidenza dell'uso delle tecnologie dell'informazione, della comunicazione e, secondo alcuni, anche dell'apprendimento non vorremmo  fosse il centro della discussione. Anzi, se esasperato e ridotto a schieramenti contrapposti, diventa un falso problema, ma inevitabilmente, per la stagione che stiamo vivendo, è un passaggio ineludibile. Forse anche un punto di partenza.

Prima, durante, dopo...

Il "prima" non era certamente sempre e ovunque una condizione verso cui desiderare un ritorno senza cambiamenti; il "durante" è stato traumatico e limitante ma certamente anche nelle emergenze si può imparare; per il "dopo" è bene diffidare sia di chi ha già individuato nell'emergenza soluzioni prêt-à-porter, sia di chi nega ogni eventualità di cambiamento indotto da ciò che abbiamo attraversato. Ciò che conta, forse, è guardare al tutto nella prospettiva di una nuova normalità da riconquistare, magari migliore della precedente, in parte  nuova, ma che non abbia i tratti di una eterna emergenza. E soprattutto non sia un trucco per intensificare alcune costrizioni dell'emergenza, spacciandole per ormai radicate o immodificabili. A partire dal "distanziamento".

Da ogni tipo di distanziamento, umano, sociale, politico, tecnologico e culturale in primis.  Il primo obiettivo da cui liberare noi tutti, e anche la scuola e le sue didattiche, sarà proprio la distanza imposta o obbligata, per riconquistare nuove forme di vicinanza, di lavoro cooperativo e di equità, nella quali la solitudine o la separatezza siano scelte reversibili e non imperativi o stati di necessità. 

23 maggio 2020 - Mario Ambel, Marco Guastavigna, Luigi Tremoloso

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