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a cura di insegnarePer una fase costituente

23/05/2020

Fase 2.0: Contributi sub-acquei

di Giorgio Bancale e Laura Casulli 

L’emergenza, modificando le routines, ci ha imposto la riflessione. Dopo più di due mesi - come esseri umani, adulti, genitori, cittadini, insegnanti – possiamo ragionare in modo meno congestionato su nuovi apprendimenti individuali e collettivi. Scrivere, condividere, ri-creare orizzonti, ri-ordinare e ri-connettere le azioni tra realtà e futuro. Costretti a ri-pensarci, scoprirci operatori riflessivi, ri-declinare il concetto socratico di cura - secondo i suggerimenti di Foucault - nell’imperativo “occupati di te stesso, fonda te stesso in libertà, attraverso la padronanza di te”.

Abbiamo provato a mettere ordine nel groviglio di pensieri, emozioni, attese, considerazioni, emersi anche nei momenti scolastici collegiali. Di cui la nuova veste on line limita drasticamente i ragionamenti condivisi, a favore dell’imperante pensiero polarizzato, referendario, che spinge verso posizioni manichee a discapito dell’argomentazione e della negoziazione. Sempre più assente - tra noi e con gli studenti - un pensiero riflessivo, liminale, lento. Al di fuori della logica dei like, del sondaggio estremo.

Rispondiamo pertanto solleciti alla richiesta di Marco Guastavigna di approcci “sub-costituenti” che vadano oltre i muri, anche delle singole scuole. Sub-acquei, in un certo senso. Perché solo sott’acqua sembra si possa ancora nuotare liberamente, alla ricerca della struttura-che-connette. A zigzag tra teoria e pratica. Da discutere, ampliare, rilanciare.

Innanzitutto, alcune considerazioni generali: 

1. La normalità non tornerà. Il filo non si riavvolge. Va compreso quali nuovi scenari si disegneranno, dal punto di vista sia della Scuola e della sua organizzazione, sia della Società nel suo complesso, le situazioni esistenziali ed economiche di famiglie e studenti.

2. È imprescindibile riconoscere, accendere e sviluppare competenze non solo individuali ma organizzative. Per lavorare nell’incertezza, in tempi sospesi, bloccati, rallentati, accelerati. Sollecitare condivisione su senso e direzione del nostro lavoro per un paradigma ecologico di tutela della salute in chiave non solo sanitaria.

3. La Scuola, a differenza del privato che sa di dipendere dal “fuori”, rischia di configurarsi come servizio autosufficiente. I cui destinatari - la sua ragion d’essere – restano in penombra di fronte al ripensamento critico e alla ridefinizione operativa. La Scuola rischia di chiudersi nel momento in cui è vitale invece incrociare sguardi. è invece importante evitare e superare visioni autoreferenziali e sviluppare interconnessioni nuove e generative, con famiglie, territorio, istituzioni.

4. La Scuola deve essere baluardo contro le diseguaglianze – per primo il digital divide – e traghettare verso la consapevolezza culturale ed economica dei processi che stiamo attraversando e in cui stiamo agendo/reagendo.

5. È più che mai necessario che la Scuola - affetta negli ultimi anni da una deriva tecnicistica, dalla riduzione dell’iniziativa collegiale alla mera approvazione di “griglie” - sia riferimento credibile di resilienza, ascolto, generatività. Soprattutto poiché in molti casi ne sembra purtroppo aliena e addirittura incapace di desiderare di esserlo. Se la fiducia nel futuro - nell’altro che incrociamo per strada - barcolla, che la Scuola possa ri-essere luogo e volano della fiducia. Con le nostre libertà più schiette sospese, che la Scuola si interroghi su come essere forse non più il luogo ma il tempo della libertà. Non intendiamo aderire alla “retorica della opportunità”, ma evidenziare l’ennesimo salto quantico che rischia - se sottovalutato pigramente, con l’arroganza del giudizio che precede la comprensione - di precipitare la Scuola nel vuoto.  Dobbiamo riscoprire come si prendono decisioni culturali autonome e coraggiose, che una comunità educante deve essere libera e democratica, luogo di vita, non di controllo. Che ciascun insegnante dà il proprio meglio se segue le sue inclinazioni. Se riceve e costruisce fiducia. Che questo tempo per gli insegnanti non sarà inutile solo perché non documentato da videolezioni, riunioni collegiali on line e firme su registri: la Scuola è istituzione molto particolare, luogo dell’apprendimento e, dunque, del cambiamento.

6. “Tenere la barra dritta” è stata reazione immediata quanto caotica. Ma è importante andare oltre. La mancanza di corporeità è stata sconcertante, un duro colpo per la didattica “umanistico-affettiva”. Perché la lezione, seppur orgogliosamente “trasmissiva” - a discapito della tendenza a rendere tale aggettivo dispregiativo -, si nutre di movimento, incontro, imprevedibilità, contatto. È stata la fine della danza.

E l’inizio della Didattica a distanza.

DIDATTICHE A DISTANZA

Il prossimo anno scolastico si potrà davvero ri-configurare come laboratorio di azione e riflessione, solo se ora riusciamo a sviluppare un orizzonte teorico il più possibile condiviso e attitudini coraggiosamente esplorative. Non improvvisazione né applicazione di modelli mutuati dall’esterno, ma analisi e scelte collegiali consapevoli e partecipate. Lo scenario da più parti ipotizzato prevederebbe una fase di didattiche a logistica mista e/o alternata nel tempo, in parte tradizionale in parte digitalizzata. Con tempi e modi imprevedibili.  La prossimità sarà prezioso recupero della lezione autentica, dialogata e autenticamente trasmissiva. Ma anche delle basi di pratiche didattiche significative in modo più focalizzato, organizzato, documentato.  Di un linguaggio re-suscitato, di parole generative, ancorate a un orizzonte di senso ma anche ad agentività vera.

In questa prospettiva, alcuni punti cardine di tipo didattico, collegati tra loro:

1. Nella contrazione di tempi e modi gli apprendimenti generati devono essere significativi. Costruire e ri-costruire fiducia e libertà a Scuola significa coltivare la consapevolezza che un apprendimento significativo va contestualizzato e situato, con teoria e pratica sempre in azione. E quindi oggi non serve produrre griglie e programmi ma, poiché il processo di apprendimento è per sua essenza non lineare – ma iterativo, ricorsivo e talvolta caotico –, problemi, migliorie e cambiamenti si determineranno nei diversi contesti (classi e consigli di classe, seppur virtuali).

2 Creare/conservare caparbiamente una forte base dialogica. Per capire come stanno studenti e famiglie. Per ri-costruire non solo fatti, possibilità di connessione, ma anche timori e emozioni.

3. Centrarsi sulla natura attiva dell'apprendimento. L’emergenza restituisce “la palla” agli studenti, ri-chiedendo loro – opportunamente guidati – un rinnovato protagonismo dei propri apprendimenti.  La formazione all'autonomia è anche consapevolezza cognitiva del proprio percorso, delle caratteristiche e delle criticità. Insomma, delle competenze agite e desiderate. La pianificazione deve essere evolutiva, riflessiva e collaborativa.  Se gli allievi sono co-protagonisti del processo (progettazione partecipata) gli obiettivi non possono essere prefissati ora, ma emergono nello sviluppo dei processi di apprendimento (progettazione emergente).

4. Capovolgere le classi (flipped classroom). Oggi l’insegnamento si è capovolto da solo. In questa emergenza - nel massimo rispetto dell’ora di lezione, del racconto dialogato, di conoscenze senza le quali le competenze non possono dispiegarsi -, tale pratica didattica assume un valore autentico: suggerire percorsi, movimentare pensieri e iniziative, raccogliere, integrare, ascoltare, rilanciare. La distanza ci permette di farlo meglio.  

5. Focalizzare punti di incontro intra e interdisciplinare. Lo storytelling professionale può diventare realtà. In alcuni casi magari con rinuncia a parti del programma a favore di stimoli nuovi, scoperti di caso in caso, diversi in ogni contesto classe, secondo alleanze disciplinari immaginate, contestuali e situate. Un’occasione anche per recuperare brandelli di conoscenze estromesse o mai entrate a pieno titolo nella Scuola.

6. Considerare le TIC non in un’ottica funzionale: fa capolino il rischio di considerarle come strumenti neutri, nella logica dell’alfabetizzazione informatica, avulsa dall’orizzonte di senso della Scuola.  Un tranello indotto dall’emergenza è distrarre la valutazione dal contenuto al mezzo. Un paradosso grottesco è poi la chiamata di noi insegnanti, espressione tra le più plastiche della galassia Gutenberg, a valutare le competenze digitali degli studenti. La smania valutativa della Scuola non deve arrischiarsi su questo territorio. Se non si può prescindere dal valutare, si può quantomeno rimanere culturalmente e intellettualmente credibili.
La finalità dell’utilizzo delle TIC in ambito didattico è piuttosto il “diritto di cittadinanza” a cui è ispirato il costruttivismo sociale, ossia la pratica didattica cultural-situazionista della “partecipazione periferica legittimata”. Mai come in questo momento, in cui l’utilizzo della DAD non è una scelta ma un vincolo, risulta fecondo progettare, produrre, riflettere e costruire significati con pratiche condivise di risonanza sociale. Nel riconoscimento che anche il meno esperto attore della comunità ha uguali diritti di appartenenza, piena legittimazione a partecipare alle sue pratiche, ai suoi discorsi, al completo accesso alle sue risorse, anche tecnologiche. Una prospettiva che richiama il concetto di "zona di sviluppo prossimale” di Vygotskij, zona cognitiva metaforica in cui uno studente svolge con il sostegno di adulti o di pari più capaci compiti che non sarebbe in grado di realizzare da solo. In questa direzione, gli strumenti tecnologici possono essere preziosi strumenti per progettare, organizzare e sviluppare la nostra comunità scolastica anche nel futuro.

7. Sospendere i voti numerici. La proposta – già argomentata in profondità sulle pagine di "insegnare" –, tenendo presente la peculiarità delle classi conclusive, è piuttosto un giudizio formativo, sintetico, discorsivo, che tenga conto del rendimento espresso nell’intero anno scolastico, in funzione del recupero che dovrebbe scandire l’avvio del prossimo anno. I consigli di classe mantengono centralità proprio potendo ri-esprimere vicinanza agli studenti, perché il filo principale che ci collega a loro non può essere la valutazione: prima che giudici siamo complici del loro apprendimento.

8. Avviare graduali processi di auto-valutazione. L’autovalutazione formativa può diventare elemento strategico, procedura che aiuta la costruzione progressiva, non solo di prodotti attesi, ma anche dell’immagine di chi sta costruendo la propria identità di persona impegnata nel processo di apprendimento. Questa modalità non è in linea di principio alternativa o in competizione con l’etero-valutazione pura - prerogativa dell’insegnante - o con la co-valutazione - che ha una dimensione di socializzazione -, che invece potrebbero e dovrebbero integrarsi. Autovalutarsi è un’operazione squisitamente metacognitiva, non soltanto darsi un giudizio al termine di un lavoro o di un corso di studi. È implicata sin dalla pianificazione, cioè dalla scelta di obiettivi, metodologie, materiali e attività prima del compito; e continua nel monitoraggio, nella valutazione da parte del discente su come sta procedendo durante il compito e sugli aggiustamenti resisi via via necessari; e prosegue ancora, quando occorre decidere come procedere. è davvero “formativa” solo se interessata anche a processi e dimensione nascosta della competenza, a percorsi e strategie che hanno portato ai risultati, a come e perché. Si vuole comprendere l’impatto delle differenze individuali su sviluppo di competenze, stili di apprendimento, intelligenze, convinzioni, atteggiamenti e motivazioni, insieme a difficoltà, problemi emersi, modi e strumenti con cui sono stati affrontati, punti di forza e di debolezza.

Altrimenti, l’autovalutazione rischia di trasformarsi in pratica vuota, ennesima occasione sterile di elaborare ossessive griglie di valutazione in gruppi di lavoro che ambiscono ad una pratica unica, generalizzabile - se non addirittura “oggettiva” -, come se nell’apprendimento “uguaglianza” fosse sinonimo di “giustizia”. È in gioco ben più di una scheda: ruolo di insegnanti e studenti, livello di autonomia promosso in classe, clima di fiducia reciproca, di cooperazione, sfida e nel contempo sostegno che l’insegnante propone. Per questo avere dei momenti di didattica live sarà una risorsa fondamentale, per poter sollecitare un clima di classe non giudicante, cooperativo e basato su reciproca fiducia. 

Proponiamo quindi di raccogliere riflessioni auto-valutative da parte degli studenti e delle famiglie, che descrivano in modo discorsivo reazioni e criticità. Potrà costituire una base embrionale per il lavoro del prossimo anno.

DOVE SEI TU?

Gli studi sugli scenari emergenziali hanno dimostrato che le organizzazioni tendono a cadere (ad esempio i governi a seguito di terremoti), o necessariamente a ri-progettarsi. Il “formicaio perturbato” è un’ottima metafora. Le formiche sembrano in panico, ma è disordine solo apparente. In realtà, muovendo le antenne si chiedono continuamente: “dove sei tu?”. Non sono impazzite, ma in ri-organizzazione rapida. La Psicologia dell’Emergenza ci racconta come l’apprendimento fondamentale in tali circostanze sia infatti la tolleranza a movimento e cambiamento.

Innanzitutto, alcune buone domande per comprendere i cambiamenti in atto e orientare il passaggio verso una sistematizzazione delle esperienze agite finora:

1. Come si autorappresenta la scuola?

2. Sono necessari a scuola forme e luoghi diversi di ri-composizione?

3. Di quali elementi fiduciari necessita le didattiche a distanza e come si costruiscono?

4. Come innescare un processo di cambiamento collettivo generativo nella dicotomia prossimità/distanza?

5. Come si pone la Scuola nel conflitto tra obbedienza alle regole (o invenzione di nuove) e sviluppo di pensiero trasgressivo e generativo divergente? La case history delle emergenze evidenzia infatti che i nuclei resilienti sono quelli creativi e interconnessi. Che la sopravvivenza è garantita da chi ragiona. Nella Costa Concordia i tedeschi che hanno obbedito, rimanendo in cabina, sono morti. Chi cerca coerenza e certezza sotto l’emergenza crolla. Dobbiamo pertanto essere a norma ma fuori dalla norma. Comprendere le nostre possibilità dentro i vincoli. Cercare ostinatamente e coraggiosamente libertà e sopravvivenza autentica nel trattino, negli interstizi. In questo, il contatto con gli adolescenti può forse esserci di aiuto.

Pertanto, ci sembra questo il momento giusto per:

1.  Avviare un confronto puntuale su quanto davvero avvenuto nelle scuole. Su come è stata affrontata l’eventuale indisponibilità di dispositivi e di connessione, sulle pratiche didattiche a logistica digitalizzata che superano in modo magari parziale ma effettivo la distanza, sull’effettivo coinvolgimento degli studenti.

2. Sollecitare incontri di brainstorming, per la definizione di categorie concettuali di classificazione generativa (non di statiche griglie di valutazione) delle esperienze vissute, a distanza.

Giungeranno, prima o poi, indicazioni ministeriali, e chiariremo i vincoli. Ora, è urgente ragionare insieme su intenzioni e possibilità. Le DAD ci danno la possibilità di connetterci ma ci stanno abituando a una percezione frammentata che tutto riduce, siamo caselle collocate su sfondi che restituiscono brandelli di case, balconi, sconosciuti altrove. Classi e riunioni collegiali, sono solo più la somma di singole finestre, e l’insieme svanisce. Ogni collegamento sincrono è un tentativo vano e sfinente di ri-costruire un insieme di memoria. Nello sforzo di ri-comporre una percezione unitaria abbiamo perciò più che mai bisogno di consumare, sviluppare e coagulare energie trasversali. Perché quando l’emergenza sarà finita (…!), non sarà tanto di nuovi corsi di aggiornamento tecnologico che avremo bisogno, quanto piuttosto di energia pulita, della disposizione d’animo a raccontare nuove storie, insieme ai nostri studenti.

 Di ulteriorità. In barba al vuoto, alla paura, alla distanza.

Giorgio Bancale
(insegnante di Italiano e Latino - giorgiobancale@gmail.com)

Laura Casulli
(insegnante di Filosofia e Scienze Umane -  illusac@libero.it)

Apriamo uno spazio di analisi, confronto ed elaborazione condivisa, finalizzato a raccogliere idee, interpretazioni e proposte per la salvaguardia e la ridefinizione dei presupposti fondanti della scuola pubblica, quale dovrebbe derivare dal mandato Costituzionale.

Perché questa esigenza

Va da sé che se si sente questa esigenza è perché si ritiene che
- la scuola non riesca da tempo ad assolvere al proprio compito istituzionale;
- non siano adeguate, se non controproducenti, le stesse ipotesi di cambiamento adottate o emerse  in questi ultimi anni;
-  le recenti drammatiche vicende legate all'emergenza sanitaria e al modo di fronteggiarla abbiamo prodotto ulteriori danni;
- le prospettive per il futuro, come si vengono profilando, non facciano che alimentare perplessità e preoccupazioni.

Lo spazio è aperto a chiunque voglia partecipare alla riflessione, a partire da alcuni punti fermi che andremo esponendo nei primi contributi di orientamento e messa in campo dei problemi.

Il fine ultimo è ridare forza, senso e prospettiva alla funzione istituzionale, democratica ed emancipante della scuola pubblica, che è stata duramente messa alla prova da decenni di impoverimento di risorse e di inquinamento del suo ruolo costituzionale. Il processo stesso con cui ne è stata sancita l'autonomia istituzionale  ha avviato un processo di involuzione deistituzionalizzante e la scuola non è mai sata così asservita alle logiche esterne, ai processi di mercificazione di ogni sua componente, ai portatori di altri interessi, come da quando è, almeno e del tutto solo formalmente, "autonoma".

Lo stato di crisi e le conseguenze dell'emergenza sanitaria

Alti tassi di abbandono, profonde disuguaglianze distribuite tra e dentro i territori, canalizzazioni diseguaglianti precoci e rigide, esiti nel complesso insoddisfacenti rispetto a parametri diversi, confusione estensiva sulle finalità da perseguire e le metodologie da adottare, sistema di valutazione ossessivo sempre più orientato al condizionamento e meno alla ricerca: la scuola italiana presentava lacune anticostituzionali anche prima dell'emergenza sanitaria e della conseguente chiusura delle scuole come spazio fisico e relazionale in condizioni di prossimità.

Questa circostanza e il modo con cui è stata gestita non ha fatto che peggiorare le cose.

E ora, appare assai elevato il rischio che qualcuno voglia costruire il futuro usando le macerie dell'emergenza, alcune inevitabili altre meno, come pietre miliari del mondo nuovo, senza una adeguata riflessione critica sulle macerie che già avevamo alle spalle, sulle contraddizioni dell'esistente,  su ciò che le ha prodotte, su quanto è davvero avvenuto e sulle teorie e gli interessi che si propongono di reiterarlo.

Il ragionamento sull'incidenza dell'uso delle tecnologie dell'informazione, della comunicazione e, secondo alcuni, anche dell'apprendimento non vorremmo  fosse il centro della discussione. Anzi, se esasperato e ridotto a schieramenti contrapposti, diventa un falso problema, ma inevitabilmente, per la stagione che stiamo vivendo, è un passaggio ineludibile. Forse anche un punto di partenza.

Prima, durante, dopo...

Il "prima" non era certamente sempre e ovunque una condizione verso cui desiderare un ritorno senza cambiamenti; il "durante" è stato traumatico e limitante ma certamente anche nelle emergenze si può imparare; per il "dopo" è bene diffidare sia di chi ha già individuato nell'emergenza soluzioni prêt-à-porter, sia di chi nega ogni eventualità di cambiamento indotto da ciò che abbiamo attraversato. Ciò che conta, forse, è guardare al tutto nella prospettiva di una nuova normalità da riconquistare, magari migliore della precedente, in parte  nuova, ma che non abbia i tratti di una eterna emergenza. E soprattutto non sia un trucco per intensificare alcune costrizioni dell'emergenza, spacciandole per ormai radicate o immodificabili. A partire dal "distanziamento".

Da ogni tipo di distanziamento, umano, sociale, politico, tecnologico e culturale in primis.  Il primo obiettivo da cui liberare noi tutti, e anche la scuola e le sue didattiche, sarà proprio la distanza imposta o obbligata, per riconquistare nuove forme di vicinanza, di lavoro cooperativo e di equità, nella quali la solitudine o la separatezza siano scelte reversibili e non imperativi o stati di necessità. 

23 maggio 2020 - Mario Ambel, Marco Guastavigna, Luigi Tremoloso

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