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a cura di insegnarePer una fase costituente

30/06/2020

Restituzione e analisi dei dati. Indagine su fine e inizio di un anno scolastico

di Luigi Tremoloso

Pubblichiamo il primo paragrafo del lavoro di analisi e commento dei dati emersi dall'indagine del

Cidi-Torino. 2020

Fine e inizio di un anno scolastico. Verso quale idea di scuola e del lavoro docente       

Il testo integrale è scaricabile qui

 

Lo stress-test della scuola

Quando qualcosa si può fare anche a casa vuol dire che sta diventando socialmente irrilevante. Il tempo che vi si dedica perde valore e con esso la persona. Lo sanno bene le donne, che sono sempre state considerate senza valore, senza riconoscimento di alcun tipo. Il tempo e quindi il lavoro per la cura dei figli e per le attività domestiche sono sempre valsi meno di zero. Le donne hanno acquistato storicamente il loro ruolo politico e sociale nel momento in cui sono uscite di casa e hanno raggiunto i propri posti di lavoro come gli uomini. Il tempo da quel momento è stato misurato in minuti anche per loro.

Il tempo dedicato al lavoro è stato fino a non molti anni fa preziosissimo. Chi ripercorresse le cronache politico-sindacali di questo Paese riferite a non più tardi di un decennio fa scoprirebbe ad esempio che si è dibattuto anche aspramente tra industriali e operai sul tempo dedicato alla mensa e ai bisogni fisiologici. Nella fattispecie, i contratti dei metalmeccanici per la Fiat a Melfi e per l’Alfa Romeo a Bagnoli. E il tema è ancora vivo adesso per chi si occupa di consegne, sia che lavori nel food delivery sia che trasporti merce. Solo che il tempo è caricato su di loro. Sulle loro spalle.

Il meccanismo economico-politico contemporaneo, che amministra la vita e il tempo delle persone, è infatti onnivoro e vorace e divora il tempo di chi è subalterno. Tutto e tutti devono andare sempre più in fretta, allo spasimo, fino all’usura. L’ideale è trasformare qualsiasi lavoratore, in qualsiasi luogo, in imprenditore di se stesso, ingranaggio di un meccanismo che deve produrre profitto senza tregua e sosta. Ciò per altro non viene nascosto: viene anzi rivendicato in qualsiasi occasione. Questa è la cornice economico-politica che inquadra le vite di oggi e quelle future.

Essere padroni del tempo significa essere padroni delle vite. Questo, detto in estrema sintesi, potrebbe essere il senso di ciò che viene definito neoliberismo; laddove il padrone non ha nome o faccia, ma viene chiamato neutramente: mercato. È la logica del “mercato autoregolato”, signori.

Poco importa se la vita degli esseri umani non è più in accordo con i tempi della vita sul e del pianeta. Il mercato autoregolato, come una divinità onnipotente, è oltre. Punta già verso Marte.

C’è un termine che sempre più frequentemente viene utilizzato in campo economico-finanziario: stress-test. Letteralmente si potrebbe intendere come “arrivare al limite di rottura”, studiare il limite in condizioni di difficoltà. È un termine che dobbiamo imparare, perché riguarderà sempre più da vicino le nostre vite. 

È certo che la pandemia, da qualche parte, è già studiata come un enorme stress-test. Il lavoro a casa, il tempo a carico di chi lavora sono già stati considerati come futuro scenario La sirena del lavoratore autonomo, dell’imprenditore di se stesso già si sente aleggiare molto da vicino.

Anche la scuola viene guardata sotto questa luce, c’è da starne certi. Perché la scuola più di tutto contraddice il concetto del tempo, non solo per chi ci lavora - che potrebbe farlo da casa, e le donne più di tutti dovrebbero stare attente -, ma anche per chi apprende. Così come è attualmente strutturata infatti, la scuola non va affatto veloce. La crescita, la conoscenza profonda hanno bisogno di tempi distesi e lunghi (oltre che di condivisione).

Ma se l’apprendimento venisse trasferito su ciascuno, se ci si convincesse che occorre spingere sempre più precocemente verso il self teaching, l’autoapprendimento.…

Le tecnologie durante lo stress-test si sono fatte trovare con molta facilità a disposizione per sperimentare anche questo. Raccogliendo i dati per capire. Come dice Naomi Klein: “Il futuro che prende corpo considera le nostre settimane di isolamento … un laboratorio permanente e altamente redditizio di un futuro senza contatto fisico”[1] .

Qualche riflessione, in questo discorso, è da riferire al ruolo della politica. Che è per molti versi di adesione convinta a quella logica e/o di connivenza. Quando non è tale, si configura solo una colpevole assenza, una cecità, un inutile blaterare sul nulla.

Queste poche righe sono messe a premessa della restituzione del questionario non per caso. Perché non possiamo analizzare quello su cui si dibatte senza definire una cornice che ci permetta di interpretarlo. E la cornice è l’orizzonte ideologico che ci ingloba, volenti o nolenti, consapevoli o meno.

Apriamo uno spazio di analisi, confronto ed elaborazione condivisa, finalizzato a raccogliere idee, interpretazioni e proposte per la salvaguardia e la ridefinizione dei presupposti fondanti della scuola pubblica, quale dovrebbe derivare dal mandato Costituzionale.

Perché questa esigenza

Va da sé che se si sente questa esigenza è perché si ritiene che
- la scuola non riesca da tempo ad assolvere al proprio compito istituzionale;
- non siano adeguate, se non controproducenti, le stesse ipotesi di cambiamento adottate o emerse  in questi ultimi anni;
-  le recenti drammatiche vicende legate all'emergenza sanitaria e al modo di fronteggiarla abbiamo prodotto ulteriori danni;
- le prospettive per il futuro, come si vengono profilando, non facciano che alimentare perplessità e preoccupazioni.

Lo spazio è aperto a chiunque voglia partecipare alla riflessione, a partire da alcuni punti fermi che andremo esponendo nei primi contributi di orientamento e messa in campo dei problemi.

Il fine ultimo è ridare forza, senso e prospettiva alla funzione istituzionale, democratica ed emancipante della scuola pubblica, che è stata duramente messa alla prova da decenni di impoverimento di risorse e di inquinamento del suo ruolo costituzionale. Il processo stesso con cui ne è stata sancita l'autonomia istituzionale  ha avviato un processo di involuzione deistituzionalizzante e la scuola non è mai sata così asservita alle logiche esterne, ai processi di mercificazione di ogni sua componente, ai portatori di altri interessi, come da quando è, almeno e del tutto solo formalmente, "autonoma".

Lo stato di crisi e le conseguenze dell'emergenza sanitaria

Alti tassi di abbandono, profonde disuguaglianze distribuite tra e dentro i territori, canalizzazioni diseguaglianti precoci e rigide, esiti nel complesso insoddisfacenti rispetto a parametri diversi, confusione estensiva sulle finalità da perseguire e le metodologie da adottare, sistema di valutazione ossessivo sempre più orientato al condizionamento e meno alla ricerca: la scuola italiana presentava lacune anticostituzionali anche prima dell'emergenza sanitaria e della conseguente chiusura delle scuole come spazio fisico e relazionale in condizioni di prossimità.

Questa circostanza e il modo con cui è stata gestita non ha fatto che peggiorare le cose.

E ora, appare assai elevato il rischio che qualcuno voglia costruire il futuro usando le macerie dell'emergenza, alcune inevitabili altre meno, come pietre miliari del mondo nuovo, senza una adeguata riflessione critica sulle macerie che già avevamo alle spalle, sulle contraddizioni dell'esistente,  su ciò che le ha prodotte, su quanto è davvero avvenuto e sulle teorie e gli interessi che si propongono di reiterarlo.

Il ragionamento sull'incidenza dell'uso delle tecnologie dell'informazione, della comunicazione e, secondo alcuni, anche dell'apprendimento non vorremmo  fosse il centro della discussione. Anzi, se esasperato e ridotto a schieramenti contrapposti, diventa un falso problema, ma inevitabilmente, per la stagione che stiamo vivendo, è un passaggio ineludibile. Forse anche un punto di partenza.

Prima, durante, dopo...

Il "prima" non era certamente sempre e ovunque una condizione verso cui desiderare un ritorno senza cambiamenti; il "durante" è stato traumatico e limitante ma certamente anche nelle emergenze si può imparare; per il "dopo" è bene diffidare sia di chi ha già individuato nell'emergenza soluzioni prêt-à-porter, sia di chi nega ogni eventualità di cambiamento indotto da ciò che abbiamo attraversato. Ciò che conta, forse, è guardare al tutto nella prospettiva di una nuova normalità da riconquistare, magari migliore della precedente, in parte  nuova, ma che non abbia i tratti di una eterna emergenza. E soprattutto non sia un trucco per intensificare alcune costrizioni dell'emergenza, spacciandole per ormai radicate o immodificabili. A partire dal "distanziamento".

Da ogni tipo di distanziamento, umano, sociale, politico, tecnologico e culturale in primis.  Il primo obiettivo da cui liberare noi tutti, e anche la scuola e le sue didattiche, sarà proprio la distanza imposta o obbligata, per riconquistare nuove forme di vicinanza, di lavoro cooperativo e di equità, nella quali la solitudine o la separatezza siano scelte reversibili e non imperativi o stati di necessità. 

23 maggio 2020 - Mario Ambel, Marco Guastavigna, Luigi Tremoloso

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