Home - la rivista - cultura e ricerca didattica - Conoscenze storiche e riscritture

temi e problemicultura e ricerca didattica

31/10/2021

Conoscenze storiche e riscritture

di Rosanna Angelelli

Una interazione difficile se mancano la curiosità civile e gli strumenti per cercare.

Il passato richiede allo storico uno sforzo di prove e un rigore narrativo mai pienamente in grado di delineare dalla complessità del reale quel quadro (che per altro in natura non esiste), quel senso il più possibile stabile e fededegno a fatti e fenomeni ritenuti significativi della e per la vita umana. L’individuazione di una possibile trama non è certo lineare, data la non linearità e la relatività dei rapporti spazio temporali, situazione che ci fa riconoscere ed estrarre a fatica i fatti dai gomitoli a più fili degli universi possibili. Oltre tutto, un’accertata significatività  può sfumare in irrilevanza sia perché sono comparse altre evidenze prima nascoste o non calcolate come importanti, sia perché gli intenti di lettura sono cambiati, legati come sono non tanto al complesso trascorrere delle culture antropologiche, quanto all’acquisizione di apparati tecnologici con cui si intende migliorare la vita ma anche sostenere sistemi economici e di potere.

Tutto questo, inoltre, segna un paradosso evidente della conoscenza umana: la comprensione/spiegazione del presente/futuro è mossa dalle domande che si è in grado di porre al passato. E viceversa. Nella buona sostanza ci moviamo in una collocazione mentale altamente delocalizzata, apolidi in cerca di agganci salutari.
Quanto alla storia (ma sarebbe meglio parlare di storie) talvolta la rilettura/ riscrittura, sia pure necessarie a rappresentare il farsi/disfarsi della vita  da angolature diverse e sempre più raffinate, spinge gli esiti della ricerca lontano da una precedente sistemazione/divulgazione consolidata, e allora diventa impegnativo per il “lettore” di queste novità, spesso imprevedibili nei loro intenti profondi, reagire criticamente “ad armi pari”, vale a dire con motivazioni comuni e adeguati strumenti di controllo e di verifica. Ma può anche accadere che il disagio si  trasformi  in attraente sorpresa soprattutto se una revisione verrà abilmente comunicata sulla base non tanto di un’analisi e di fatti nuovi quanto di una divulgazione seducente ed emozionante. Spesso gli storici sono più potenti scrittori comunicatori che umili studiosi.

Tutto ciò ci dovrebbe indurre a farci riflettere sull’eventuale impoverimento della responsabilità civile dello storico e sulla estetizzazione della sua ricerca, ma in realtà la verifica è ostacolata da difficoltà intrinseche alla stessa condizione analitica e alla complessità del dire.

Il discorso è molto delicato, ma sembra proprio che la cultura contemporanea (il così detto Post-post modern) abbia preso strade di relativismo se non di scetticismo non proprio immotivate. Innanzitutto, per quanto riguarda il passato, è evidente che la lontananza dai fatti e dai soggetti, anche quando si è forniti di tracce e riscontri fattuali evidenti, richiede per la loro messa in scena una buona dose di immaginazione. Perché, se la distanza dovrebbe togliere l’enfasi alla testimonianza diretta e alla soggettività partigiana, è anche vero che l’anacronismo, l’abuso dell’analogia, ma soprattutto la libertà dell’immaginazione sono sempre presenti nella ricognizione del passato, di ogni passato. Il “come se” per l’analista di storie è molto pericoloso, ma sul “come se”, sul “facciamo finta che”  si dispongono le prime domande da parte dei bambini per configurare il mondo in cui sono immersi. E sulla teoria dei mondi possibili  la scienza moderna ha costruito interi sistemi di sapere.
La seconda difficoltà è intrinseca alle caratteristiche della memoria: si sa quanto essa sia labile e influenzata dalla soggettività di chi ricorda - sia che si sia un testimone a priori, o un interprete a posteriori-, quanto diversa importanza si assegni ai ricordi, come essi si ridisegnino in una costruzione dei fatti continua ma con obbiettivi variabili.
Terzo svantaggio: le trappole implicite nella narrazione. Le parole, infatti non corrispondono alle cose (celeberrimo il saggio in proposito di Michel Foucault, ma anche le riflessioni di Umberto Eco sui limiti dell’interpretazione), bensì a concetti e i concetti sono interpretazioni/costruzioni parziali di una realtà pur sempre sfuggente perché contingente e “senza struttura”.  La narrazione oltre tutto può orientarsi non verso un resoconto il più possibile oggettivo, ma accendersi di fiamme emotive verso scopi eclatanti e indottrinamenti nascosti. Che vanno senz’altro disambiguati per il loro altissimo valore suggestivo/cognitivo, in grado di porsi come indistinguibile realtà virtuale, come segnalò mirabilmente Marc Bloch, a proposito dei resoconti di taluni eventi, letteralmente inventati, della II guerra mondiale.
La quarta difficoltà è data dalla crisi di identità dell’oggetto-realtà che accade e “permane” indipendentemente dal soggetto animale, tra cui annoveriamo l’uomo. Il dubbio di fondo che il Novecento ci ha lasciato in eredità poggia per l’appunto su questa domanda: esiste la realtà o ciò che noi chiamiamo tale è solo una costruzione umana? Parziale e labirintica, senza una sua configurazione permanente, e padroneggiata con strumenti innaturali, in primis quelli della tecnologia artificiale e artificiosa.
Anche se di recente si è tornati a rifondare  una datità dell’essere che lascia tracce da scoprire e utilizzare (per un riesame di questi concetti si veda Mario De Caro e Maurizio Ferraris, a cura di, Bentornata realtà – Il nuovo realismo in discussione, Einaudi, 2012), la scienza si arrabatta su quali aspetti  di “natura” possa mirare l’indagine e l’eventuale descrizione storica del suo “bio”, ma allorché la scelta riguarda l’identità umana, chi la studia  è destinato a cadere nel probabilismo scientifico.

Alcune di queste considerazioni sono presenti nel saggio dello storico medievista Tommaso di Carpegna Falconieri intitolato Nel labirinto del passato, 10 modi di riscrivere la storia, Laterza, 2020.
É difficile sintetizzare questo libro rendendo giustizia alla complessità del suo assunto. Che sfida il lettore a partire dal titolo: l’immersione in un passato labirintico che, come è detto nel sottotitolo, la storia riscrive in vari modi, dieci nel caso specifico,  tanti quanti sono i suoi capitoli.
Sulla prima di copertina, molto elegante nei suoi chiaroscuri sfumati, campiscono a sinistra un arciere vestito di bianco su cavallo anch’esso candido e in alto a destra un cavaliere in lucida corazza nera con la spada sguainata. Il cavallo rossiccio che lo sorregge nello slancio della corsa fuoriesce  dal margine. Il paesaggio è indeterminato, tranne che per uno stagno che riflette il cavaliere nero. In alto sulla scena incombe una specie di nimbo grigiastro presumibilmente necessario per incastonare la luminosità di una sacra apparizione…
Nel corso della lettura del libro si capisce il perché della scelta di questa immagine: essa è un particolare di una “fantasia” religiosa su Santa Caterina a opera di Hans Memling: l’artista mette in scena la celebrazione con una riscrittura di carattere iconico-immaginativo, pervenendo in questo modo  a una “ maniera” del medioevo per la verità alquanto improbabile, dati il decoro cromatico e l’armonia complessiva della rappresentazione, che Carpegna taccerà per l’appunto di “medievalismo”.

 Il medievalismo è dunque un sistema culturale frutto di ricostruzioni artatamente ingannevoli: più che bugiarde esse sono abili falsificazioni con vari scopi tra cui quelli ideologici e politici (siamo molto vicini alle fake del nostro presente!), oppure riscritture  “con l’evidenziatore”, volte a rimarcare taluni aspetti del passato confinandone nell’ombra altri di per sé tuttavia non meno importanti, in una manipolazione-contraffazione storica che arriva fino all’oggi. Il Medio evo, infatti, si è di volta in volta letto dai destinatari di queste “ri-costruzioni” (pensiamo alla scuola in primis, ma anche alla gente comune) come epoca di passatismo, ma anche di svolta verso la modernità, di superstizione irrazionale, di caccia alle streghe, di falsi clamorosi, ma anche di lotte eretiche, di rivendicazioni laiche, ecc. Sì da costruire una suggestiva immagine riflessa in un eclettismo di cui si sono impadroniti la letteratura, l’architettura, la cinematografia, la musica, perfino il marketing moderni.

La riscrittura, dunque, come falsificazione e la falsificazione come prova di una realtà “aumentata”! Non siamo molto lontani dalle manipolazioni sul web!  Nella buona sostanza c’è una permanenza dell’impermanenza, che l’autore segnala condividendo le moderne teorie del caos, senza per questo rinunciare a costruire alcuni elementi di senso in modo scientifico. Carpegna infatti non se la sente di fare affondare quella datità del reale  che, -per brevità di commento- Schopenhauer e Nietzsche cominciarono invece  a staccare dalla sua rappresentazione. Non vi vuole rinunciare, anche perché tiene a una sua fisionomia di persona e di studioso, ragionevole e responsabile curatore del passato per un suo presente/futuro.
Così, ogni tanto dal libro emergono interessanti squarci autobiografici, che  dettagliano al lettore la curiosità dello storico, un tempo bambino-scienziato in erba in cerca di tracce familiari profonde, al di là della fragile vulgata cronachistica parentale, e la passione da lui posta in certi suoi acerbi riscontri di “verità” sulla base di quelle anomalie che solo l’infanzia riesce a intercettare.
Episodi di dubbio che ci aiutano a capire quanto siano importanti quelle riletture e riscritture delle nostre storie personali nei termini di permanenze cui non rinunciare, nonostante lo spessore del tempo che passa, e di crolli da “liquidare”, perché ormai riassorbiti. In questo c’è anche   un forte buonsenso civile, perché l’autore, in questa tessitura tra medioevo del passato e medievalismo del presente, addita, con stile leggero e accattivante, mai predicatorio, ai giovanissimi scettici del presente e resi da noi adulti sconsiderati indifferenti al passato,  le ambiguità di una comunicazione e interpretazione del mondo con il vezzo e peggio ancora con il vizio di una pericolosa manipolazione e delocalizzazione
.

Quale potrebbe diventare allora un compito dello storico?
Lontano da una sbrigativa e arcigna condanna di evidenti alterazioni del reale attraverso alcuni modi di riscrittura, sebbene partiti da buone intenzioni, (tra i 10 trattati nel libro esistono anche questi!), Carpegna non cade nello scetticismo, nella derisione e nel moralismo, ma considera che la parcellizzazione e alterazione della realtà debbano essere comunque identificate ed esaminate in una loro significatività storica. Non bisogna solo sanzionare e rigettare i lati più oscuri e le ridondanze umane, i residui non analizzabili secondo logica e razionalità. Gli atteggiamenti culturali spropositati, antiscientifici, i giudizi distorti, le costruzioni di mondi immaginari spacciati per realtà, non appartengono solo al medievalismo, ma alla relatività stessa della conoscenza  e per questo potrebbero diventare  le fonti  più significative per capire criticamente  un fenomeno o un’epoca, molto più di una asettica teorizzazione socio-antropologica: perché è sorta la tal leggenda o la tale deformazione? Perché essa è stinta in politica? Perché ha fatto aggio su fenomeni economici? Perché è diventata fideismo religioso? Perché è diventata “moda”? Soprattutto perché piace oltre ogni evidenza reale tanto che addirittura si è disposti a sacrificare la vita per essa?

Apriamo una parentesi: qualche giorno fa, partecipando a una trasmissione televisiva la filosofa Donatella De Cesare si è a lungo intrattenuta sul complottismo, argomento del suo ultimo saggio (Il complotto al potere, Einaudi, 2021), dando a esso un valore, almeno in partenza “costruttivo”: esso rampolla sul dubbio, di per sé positivo, sebbene poi di questo si impadroniscano l’ignoranza e la strumentalizzazione politica. Si potrebbe aggiungere anche l’alimento da parte della paura umana: a non farcela, a non essere all’altezza della situazione, a non avere kudos, metis, peithò dalla propria parte. De Cesare, come Carpegna, auspica una lettura fine di certe aberrazioni; Carpegna (cap. II p. 23)  elenca otto “consigli” cognitivo/educativi per gli studenti che si affacciano alle avventure interpretative della ricerca. Essi sono stati stilati  nel 2017 dall’International Federation of Library Associations and Institutions e riguardano l’approccio alle testualità del web. Dopo averli elencati, Carpegna precisa:

Insomma, detto con una frase sola, “usa il pensiero critico”. Che si potrebbe anche dire (perché è quasi la stessa cosa): “Occorre sviluppare la propria prospettiva umanistica” […] Incrociare le testimonianze, verificare le fonti, la loro attendibilità e soprattutto le intenzioni di chi le ha prodotte, è il pane quotidiano degli storici.

Ma noi pensiamo che sia/debba essere il pane quotidiano di ogni cittadino democratico, purché istruito ed educato da una scuola e da una accademia all’altezza innanzitutto del proprio compito culturale. Che non può essere un ritorno all’indietro, come taluni vorrebbero, perché non si può fermare  il flusso del tempo, né sostenersi su implementi disciplinari bulimici.
 Ma questo è un altro discorso…
 

Immagini


A  lato del titolo: Hans Memling,  Trittico del Matrimonio mistico di santa Caterina o di san Giovanni , (1474-1479), conservato presso l'Hans Memlingmuseum di Bruges. Nel corpo del testo: la pala di destra, che contiene l'immagine utilizzata in copertina.

 

Scrive...

Rosanna Angelelli Di formazione classica, già insegnante di materie letterarie nei licei, è stata per anni redattrice di "insegnare".

sugli stessi argomenti

» tutti