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20/10/2022

Grammatica valenziale e "Indicazioni nazionali"

di Pietro Levato

Si parla molto di grammatica valenziale e a ragione ma, a parte gli indispensabili corsi di formazione, comunque facoltativi, cosa ci dice a questo proposito uno degli strumenti più diretti a disposizione degli insegnanti, ovvero le Indicazioni nazionali per il primo ciclo di istruzione del 2012 (per tacere delle grammatiche in uso nelle scuole)?

Per incominciare le Indicazioni non nominano direttamente la grammatica valenziale, e quel poco di implicito che è possibile ricavarne, come si vedrà, è del tutto fuorviante e confuso.
A conferma di ciò, nella sezione introduttiva dedicata agli elementi di grammatica esplicita, si dice genericamente e tra parentesi che, per le strutture sintattiche delle frasi semplici e complesse, “[…] l’insegnante sceglierà il modello grammaticale di riferimento che gli sembra più adeguato ed efficace” (MIUR, 2012 p.39). Intanto come non notare l’uso del verbo “sembrare” che, fuori da ogni imbarazzo, continua a legittimare un’idea impressionistica dell’insegnamento e, ancora peggio, dell’apprendimento, in barba a ogni acquisizione scientifica sia per quanto riguarda il come si apprende sia, in questo caso, per i modelli grammaticali avvalorati dalla linguistica moderna, che mettono a ferro e fuoco buona parte della grammatica tradizionale praticata fino a ora nelle scuole italiane. E del resto, come può un insegnante sceglierli, se li ignora? E non c’è nemmeno tanto da meravigliarsi, visto che la maggior parte dei docenti di italiano ha seguito all’università corsi a indirizzo letterario più che linguistico, con qualche insufficiente integrazione dei famigerati esami per l’insegnamento, che non necessariamente si occupano di modelli grammaticali. Davvero poco per lasciarli così autonomi e nel vago. Sarebbe stato forse più utile se si fossero riportati almeno due o tre esempi di modelli grammaticali, tra cui ovviamente quello valenziale, o almeno si fosse precisato di sceglierli tra quelli più accreditati dalla ricerca scientifica (del resto, in un accenno sulle modalità di insegnamento della riflessione linguistica, lo stesso documento qualche riga più avanti evoca proprio il metodo scientifico) (Ibid.).

Ma è arrivati al punto in cui si elencano più esplicitamente gli obiettivi per la scuola primaria sulla riflessione linguistica che le cose si complicano e si fanno più incerte. Si parla di “riconoscere la struttura del nucleo della frase semplice (la cosiddetta frase minima)” (Ivi, p. 43). Questo è uno dei due passi in cui affiora il modello valenziale, da cui si prende in prestito il concetto di struttura del nucleo, ovvero di frase nucleare, che viene però indebitamente sovrapposto a quello di frase minima, fatto proprio dall’analisi logica scolastica (non è un caso, infatti, che nel Quadro di Riferimento delle prove Invalsi di Italiano del 2018, per ovviare a possibili fraintendimenti, c’è una nota esplicativa che chiarisce su cosa si intende per “frase minima o nucleare”, INVALSI, 2018, p. 12.).

Prima di continuare nell’analisi dei due concetti che qui interessano, vale la pena intanto soffermarsi sulla definizione più generale di frase semplice, che viene nominata non solo in questo passo delle Indicazioni ma anche tra gli obiettivi della scuola secondaria di primo grado, quando si parla di “riconoscere l’organizzazione logico-sintattica della frase semplice” (
Miur,2012, p.45).
In Dardano e Trifone (1995, p.96)  si trova una buona definizione: la frase semplice è un’espressione linguistica composta da un solo verbo (e in ciò si differenzia dalla frase complessa) insieme a un numero variabile di elementi obbligatori dipendenti dal verbo, gli elementi nucleari, e a un numero variabile di elementi facoltativi dipendenti dalle scelte del parlante, gli elementi extranucleari. È chiaro che in assenza di questi ultimi la frase semplice coincide con la frase nucleare, tuttavia è altrettanto evidente che i due concetti non sono sovrapponibili. Fatta questa debita premessa, si riprendano i due concetti di frase nucleare e frase minima da cui si è partiti, per esaminarli più da vicino. Il concetto di frase minima risale al linguista francese André Martinet, il quale, a differenza del connazionale Lucien Tesnière, padre della grammatica valenziale, riduce a due gli elementi costitutivi del nucleo della frase: il soggetto e il verbo [1] (Colombo, Graffi  2017, p.184). Ora, il concetto di frase nucleare è in lampante contrasto con quello di frase minima. Se quest’ultimo, ripetiamolo, ci dice che il soggetto e il verbo costituiscono la struttura nucleare della frase, l’altro corregge il tiro precisando che il nucleo della frase si forma a partire dal verbo che richiama a sé da zero a un massimo di quattro elementi necessari, i cosiddetti argomenti, il cui numero varia in base al significato del verbo stesso (da qui la classificazione del verbo secondo le sue valenze).  Quindi sono il verbo e i suoi argomenti “i costituenti primari” della frase (Sabatini, 2016, pp.113-114), di cui il soggetto fa ovviamente parte ma, ed è qui il punto dirimente, non è il solo a detenere tale funzione (anzi, nei verbi impersonali, il soggetto non ne ha alcuna!) [2]. Altrimenti non si capirebbe come possano stare in piedi sintatticamente e semanticamente, secondo il concetto di frase minima, frasi come piove (che non ha bisogno del soggetto, come tutti i verbi meteorologici) o Luca dà (che avrebbe bisogno, oltre che del soggetto, anche di un oggetto e di un destinatario: Luca dà un libro a Maria).
Si capisce qui che le Indicazioni non possono esimersi dal fare ricorso al concetto grammaticale ormai riconosciuto da tutta la ricerca scientifica come il più esaustivo e corretto, ma dall’altro non rinunciano a dare una strizzatina d’occhi a una prassi didattica ormai consolidata, per quanto approssimativa sia. Senza contare che la stessa idea di frase minima può portare a considerare gli elementi extranucleari della frase semplice come poco rilevanti, sottovalutando quindi lo scopo comunicativo che invece concorrono a perseguire in modo strategico, specie all’interno di un testo (Colombo, Graffi, 2017, p.184).


Per chi non conosce la materia di cui si sta trattando, rispetto alle considerazioni appena fatte, le Indicazioni appaiono fuorvianti anche dove si legge che gli elementi essenziali per rendere una frase completa sono, elencati in quest’ordine: “il soggetto, il verbo e i complementi necessari” (Miur, 2012, p.41). Anche in questo passo si affaccia un altro concetto della grammatica valenziale, ovvero l’obbligatorietà di certi elementi senza i quali la frase resta incompleta: i già citati argomenti, che qui vengono chiamati però complementi necessari. A parte il ricorrere all’attributo “necessari” per ovviare alla vaghezza del termine complemento, poiché il suo significato può riferirsi ambiguamente o “al completamento della struttura altrimenti incompiuta, o all’arricchimento di una struttura indipendente con una determinazione accessoria ” (Prandi, 2013, p.24), qui la spinosità nell’uso di questo termine risiede soprattutto nel fatto di evocare immediatamente il gergo dell’analisi logica, così radicata nella nostra scuola. Perciò, l’insegnante che non dovesse dominare la materia potrebbe inopinatamente ripercorrere il “viale senza fine (lastricato di ‘complementi’)” (Sabatini, 2016, p.113), che invece di privilegiare il criterio sintattico, a eccezione forse del complemento oggetto, segue quasi esclusivamente e opacamente il criterio semantico.
Ma è l’ordine con cui gli elementi essenziali vengono presentati nelle Indicazioni che qui più interessa, poiché è ripreso allo stesso modo in molte grammatiche scolastiche, nonostante sia del tutto incongruo dal punto di vista didattico. Il verbo, insomma, non può essere inserito in questo elenco alla stessa stregua degli altri elementi della frase nucleare, perché è il centro ed è al centro di tutta la costruzione della frase. L’elenco quindi avrebbe potuto rispettare almeno in parte i rapporti gerarchici della frase (qui del tutto appiattita secondo un ordine distributivo non marcato), nominando prima il verbo, magari introducendolo con l’espressione prima di tutto (accennando anche al suo ruolo centrale), poi il soggetto e i complimenti necessari (che, come già detto poc’anzi, avrebbero potuto essere nominati con un più neutro elementi obbligatori).

Così facendo le Indicazioni avvallano sia la grammatica valenziale sia l’analisi logica tradizionale, nonostante quest’ultima si sia dimostrata non solo teoricamente debole, ma anche inadeguata e inefficace didatticamente, dato che non ha nemmeno quasi nessun appiglio dal punto di vista cognitivo, a differenza del modello valenziale (Sabatini, 2016). In questo modo, a parte quei pochi, se non pochissimi, insegnanti che hanno voglia di studiare, sperimentare e praticare i modelli grammaticali più accreditati dalla ricerca scientifica, gli altri, ovvero la stragrande maggioranza, si sentiranno comunque legittimati a adoperare il modello rassicurante della vecchia analisi logica, che non descrive davvero i rapporti gerarchici all’interno della frase, ma li livella insieme a tutto lo strascico ingombrante dei complementi che si tira dietro, e che tante ore di esercizio fanno perdere soprattutto nella scuola secondaria di primo grado (a discapito, purtroppo, di una più stimolante e fruttuosa educazione alla testualità). Ma tanto se all’insegnante “sembra” il modello più adeguato ed efficace, chi può convincerlo del contrario?

Note


1.  Si parla qui di verbo e non di predicato verbale, per fugare possibili fraintendimenti. Infatti se nell’approccio tradizionale il predicato verbale coincide solo ed esclusivamente con il verbo, nella linguistica moderna la stessa nozione comprende, in modo sicuramente più esaustivo, oltre che il verbo anche i suoi argomenti, a eccezione del soggetto (Prandi, 2013, p. 28).  
2.Il modello che assegna al soggetto una posizione privilegiata nella struttura sintattica della frase, tuttavia, non va abbandonato, ma integrato con il modello valenziale. Il soggetto, infatti, ha forma autonoma, a differenza degli altri argomenti, e assegna al verbo la persona e il numero (Graffi, 2012, p.74). In sostanza il soggetto dipende semanticamente dal verbo, ma il verbo dipende grammaticalmente dal soggetto (Prandi, 2013, p.31). In definitiva, bisogna considerare il soggetto non come il soggetto del verbo, ma come il soggetto dell’intera frase, di cui è il costituente immediato (Prandi, 2013, p.31).

Riferimenti bibliografici


 

Colombo A., Graffi G., Capire la grammatica, Carocci, Roma, 2017.
Dardano M., Trifone P., Grammatica Italiana, Zanichelli, 1995.
Graffi G., La frase: l’analisi logica, Carocci, Roma, 2012.
INVALSI, Quadro di Riferimento per le prove Invalsi di Italiano, Roma, 2018.
MIUR, Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, Roma, 2012.

Prandi M., L’analisi del periodo, Carocci, Roma, 2013.
Sabatini F., Lezione di italiano, Mondadori, Milano, 2016.
 

Credits


Immagine a lato del titolo: "El verbo", Ceip San Miguel. 

Parole chiave: educazione linguistica

Scrive...

Pietro Levato Docente di Italiano della scuola secondaria di primo grado; membro del direttivo del CIDI di Pisa, collabora con il CIDI di Firenze.

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