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08/04/2016

"La libertà è fiorita", un'esperienza didattica

di Maurizia Bertolazza

In questo articolo viene raccontata l'esperienza didattica che ha consentito di realizzare il film di animazione "La libertà è fiorita", ideato, costruito, animato e sonorizzato dalle bambine e dai bambini delle classi quinte della scuola primaria “Calini” di Brescia , coordinati dalle insegnanti Maura Bertolazza e Lavinia Prati,  in un laboratorio a cura di Avisco [*].
Il film, nel dicembre 2015, ha ottenuto  il 2° premio della categoria “Scuola primaria” al "Sottodiciotto Film Festival" [**] di Torino, con questa motivazione: 
Utilizzando un linguaggio semplice e immediato, il video riesce a conciliare grandi temi come la libertà e il valore della diversità con l’immediatezza della storia e della tecnica. Attraverso la piacevolezza del racconto il lavoro trasmette un senso di serenità e di gioia”.

Per insegnare questa esperienza didattica rappresenta anche un ottimo esempio di che cosa significhi affrontare i temi dell'educazione ai principi e ai valori costituzionali, senza bisogno di "materie" apposite o di mandare a memoria articoli della Costituzione.
Ovvero un esempio di scuola ben fatta.


Se dicessi che il film d’animazione “La libertà è fiorita”, realizzato dalla mia classe quinta, come appare ora con il suo contenuto e il suo messaggio, è stato programmato come prodotto di uno specifico progetto disciplinare di integrazione e di inclusione scolastica, direi una cosa non vera. È piuttosto il prodotto di quel contesto educativo che dovrebbe far  da sfondo a tutte le discipline, in cui l’accoglienza, l’integrazione, l’inclusione si configurano come dimensione dell’apprendere nella quotidianità; un processo che inizia fin dalla classe prima con un’articolazione integrata di strategie didattiche conversazionali, di aspetti organizzativi, di atteggiamenti e di procedure metodologiche concordati fra tutti i docenti. 

Tutto ha preso il via nel corso dell’attività disciplinare di Arte e Immagine nella quinta classe. L’anno prima avevo dedicato il percorso didattico alla conoscenza, alla comprensione e all’uso degli elementi significanti basilari del codice figurativo  (campi, piani, luci, ombre, punti di ripresa), pensando di utilizzare la prima parte del lavoro di quinta alla costruzione di significati con quanto appreso. Ho dunque proposto, ai gruppi di lavoro, la lettura la decodifica e l’interpretazione di opere di pittori famosi, da quelle più “narrative” a quelle più astratte. Tra queste ultime ho scelto un’opera di Piet Mondrian, in cui non erano ravvisabili elementi esplorati del codice figurativo.  Il percorso che avevo programmato prevedeva la costruzione di una storia da disegnare.  Lo scopo era ben preciso: verificare le competenze di transcodifica acquisite dagli alunni e la corretta applicazione del codice figurativo.

L’immagine scelta è stata proposta a ogni gruppo e ho chiesto a ciascuno cosa richiamava alla mente, cosa faceva immaginare, cosa avrebbe voluto rappresentare l’artista.  C’è stato chi ha visto una vetrata, chi una tovaglia, chi un videogioco non finito, chi un tappeto, qualcuno vi ha visto una coperta… alla fine i bambini hanno scelto una visione dall’alto di campi, di giardini (“Come in Geografia, maestra”). A me non piaceva troppo perché mi sembrava la più arida (forse proprio per quel richiamo alla geografia), ma mi piaceva lo spirito di condivisione. Comunque  mi sarebbe andata bene qualsiasi storia, anche la più banale, che però servisse allo scopo, il mio scopo. E così è stato. Un gruppo ha iniziato e poi, a turno, ciascun gruppo ha continuato.

Ma avevo fatto i conti senza i bambini.
Man mano che la narrazione prendeva corpo,  affioravano spontaneamente i loro vissuti, scolastico e non, messi lì con naturalezza, ricordi di cose fatte a scuola, di parole sentite in casa. Io osservavo, verbalizzavo e cercavo di intervenire prevalentemente con domande secondo un “protocollo” nostro di comportamento docenti.
Come è facile immaginare, l’iter di costruzione della storia è stato molto più lungo del previsto, ma non era possibile dare segni di impazienza o, peggio, intervenire per ridurre all’essenziale la storia, perché quella era la loro storia. 
Quando si è giunti alla fine, ci è sembrata bellissima. Ora si trattava di disegnarla ed è a questo punto che, in Assemblea (l’Assemblea delle bambine e dei bambini è un appuntamento settimanale) ho proposto di costruire un film d’animazione,  un cartone. Tutti erano entusiasti di provare a fare qualcosa che non avevano mai fatto. 

Per esigenze di tempo (realizzazione delle scene, animazione e montaggio e, non ultima, la questione dei costi ), non era possibile rispettare tutti i passaggi e i dialoghi, ancorché significativi, presenti nella storia. Abbiamo sottoposto il problema all’Assemblea e lì si sono pattuiti le riduzioni, i tagli, le fusioni necessarie (“però il significato deve restare, maestra!” hanno posto come condizione). E così è stato realizzato il cartone.
E gli obiettivi programmati, le inquadrature, i campi, i piani? Tutto a posto, ma c’era qualcosa d’altro non programmato, qualcosa di più grande, di profondo: c’era la loro storia fatta  di cinque anni di convivenza, di familiarità con le ineluttabili differenze  che, piano piano, nella quotidianità, si è sedimentata originando sensibilità, modi di comunicare e strategie relazionali  rinnovati a ogni arrivo di compagni nuovi provenienti da altri Paesi.  Come di consueto,  a posteriori, abbiamo fatto le riflessioni più significative.

Il momento della lettura e della riflessione collettiva, si sa, è quello più ricco, più generativo di consapevolezze, e sono emersi, ora  finalmente riconoscibili, vissuti e bisogni:

  • il rifiuto della  separatezza identitaria, a volte condizionamento subdolo (“noi-loro”… i bambini a scuola non usano mai questa espressione), a volte apertamente smascherato (“I grandi devono smetterla di fare categorie delle persone!” sbotta ad un certo punto Leonardo);
  • il bisogno di condividere e di essere protagonisti,  ciascuno con le proprie caratteristiche e la propria unicità (“l’assemblea delle farfalle risolve un problema grande, come facciamo noi nelle nostre assemblee” osserva qualcuno);
  • il bisogno di essere accettati, di stabilire un contatto nuovo, non previsto dalle regole dell’adulto, spesso genitore (“saremo gentili e non gli daremo fastidio” dicono le farfalle, e non è un caso che a proporre la battuta nel dialogo sia un bambino di origine senegalese); 
  • la sorpresa della conoscenza, la meraviglia dell’effetto della contaminazione che genera il nuovo, l’inesplorato e la felicità di scoprirsi più belli (“ Io ho provato a farmi le treccine come Sara, mi piacevano” “Io ho imparato a scrivere il mio nome in bangla” “Io so che due persone di colore diverso si uniscono e nascono bambini di un altro colore” dice Mary);
  • ma soprattutto la richiesta gridata di essere liberi di essere bambini, bambini veri. Ahsan, un bambino arrivato dal Pakistan, è contento perché l’esclamazione dell’uomo che lascia liberi i fiori l’ha inventata lui. “E’ una metafora, maestra! I fiori siamo noi!” interviene Gaia condividendo, e Michele sembra che rifletta ad alta voce “È vero, noi siamo come i fiori, non dobbiamo avere paura, dobbiamo fidarci.”            

L’anno scolastico stava per finire e bisognava organizzare la Festa della scuola. È bastato che una bambina proponesse di rappresentare “La libertà è fiorita” perché tutti fossero d’accordo (Maimouna è decisa: “Secondo me il messaggio si capisce bene, però per chi non lo capisce è meglio spiegarlo. Faremo un testo di presentazione”). Questo è il testo scritto da Arianna e da Emma, incaricate dalle compagne e compagni a farlo, e approvato  dall’Assemblea.

"La Libertà è fiorita! 
Quest’anno è il nostro ultimo anno.
Siamo saliti su questo treno 5 anni fa e, tra poco, dobbiamo scendere e prenderne un altro, ma vi vogliamo lasciare un messaggio che per noi è prezioso.
CI ABBIAMO IMPIEGATO 5 ANNI A COSTRUIRLO DENTRO DI NOI.
Per questo rappresentiamo una storia che è nata dalla nostra interpretazione di un quadro di Mondrian, famoso pittore olandese.
Noi l’abbiamo interpretata così, come un campo di fiori visto dall’alto, con confini precisi, ordinati e dritti.
Su questa interpretazione abbiamo costruito una storia.
Questa storia ci piace offrirvela perché, per noi, contiene messaggi importanti: gli uomini devono smetterla di fare categorie fra le persone,
anche se si sta insieme e si è diversi non si sta male, anzi, a volte si sta meglio perché si possono imparare modi di vita, caratteri e personalità diverse,
non bisogna avere paura di mischiarsi e fermarsi ai confini che separano,
bisogna essere curiosi per il futuro, per le cose nuove, perché se sono fatte con accoglienza e libertà possono essere anche più belle di quelle che esistono già.

Non sappiamo cosa resterà di tutto questo a ciascuno di loro, non sappiamo quanto potenti saranno i condizionamenti futuri, ma so cosa abbiamo imparato noi insegnanti insieme a loro: la quotidianità attenta e rispettosa che crea cittadinanza (nessun bambino  ha mai usato la parola “stranieri”), gli apprendimenti profondi non banali (perché, a mio avviso non c’è integrazione se non c’è apprendimento), la cura e la relazione empatica, sono aspetti non dettagliatamente programmabili e richiedono tempi lunghi, ma sono convinta che costruiscono molto più di certi progetti, anche specifici, ma circoscritti e talvolta avulsi dal contesto educativo, che magari si attuano entro tempi stabiliti, ma che si concludono senza lasciare traccia interiore.

Ed è così che, in un contesto apparentemente neutro perché squisitamente disciplinare,  con i miei bravi obiettivi da raggiungere e il percorso programmato in vista di un risultato per grandi linee prevedibile,  le bambine e i bambini ci hanno sorpreso perché avevano altro da dire. 

A questo punto mi permetto di citare, con uno stralcio, una lettera che hanno scritto genitori del nostro Istituto  in una particolare circostanza:
“Non abbiamo bisogno di insegnare ai bambini le competenze chiave di cittadinanza, loro spontaneamente sanno già cosa vuol dire. C’è solo bisogno di non tradirli, di appoggiarli nella pratica ad essere protagonisti”.
E rivedo Michele che diceva ai suoi compagni: “Dobbiamo fidarci”.
 


 * "Associazione Avisco" e  "Fondazione PInAC"  da anni lavorano in sintonia nella produzione e sperimentazione audiovisiva, coinvolgendo bambini e ragazzi in percorsi di scoperta delle potenzialità espressive e comunicative del linguaggio audiovisivo e della  creatività dei bambini.

** Il Sottodiciotto film festival è nato nel 2000 su iniziativa della Città di Torino e dell’A.I.A.C.E. Torino come luogo di crescita e dialogo intergenerazionale per dare visibilità ai prodotti audiovisivi realizzati dagli under 18 e a al cinema legato ai temi dell’infanzia, dell’adolescenza e della gioventù.

Immagini


A lato: Fermo immagine (particolare) dal film di animazione "La libertà è fiorita".
Dall'alto: Cerimonia di premiazione della XVI edizione del Sottodiciotto Film Festival, 11 dicembre 2015; 
Fermo immagine (particolare) dal film di animazione "La libertà è fiorita".

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