Home - la rivista - cultura e ricerca didattica - “Mundus” e il problema dell’insegnamento della storia

temi e problemicultura e ricerca didattica

14/12/2015

“Mundus” e il problema dell’insegnamento della storia

di Fabio Fiore

Questa mia presentazione di “Mundus”, la rivista di didattica della storia diretta da Antonio Brusa, un vecchio compagno di strada del Cidi, si articola in due parti:
A. perché “Mundus” è una risorsa preziosa per chi insegna la storia;
B. perché “Mundus” rischia di essere una risorsa sottoutilizzata dal contesto cui si rivolge.
In questa tensione, intravvedo il problema dell’insegnamento della storia oggi, non solo ma soprattutto da noi [1].

A. Perché “Mundus” è una risorsa preziosa.
Innanzitutto, per la volontà di aggiornamento, per lo sforzo continuo di ricomporre lo scarto tra storiografia e didattica, tra la produzione incessante di conoscenza storica e il lento decorso della sua trasmissione. Qualche esempio. Il dossier sul Medioevo curato da Giuseppe Sergi, che raccoglie una serie di contributi specialistici programmaticamente omogenei (per numero di cartelle, per stile di scrittura, per struttura), su concetti storiografici fondamentali della storia medioevale, ben oltre gli stereotipi ricorrenti della manualistica[2]; il dossier sulla Rivoluzione industriale curato da Luigi Cajani che smonta la “vulgata eurocentrica” profusa dai manuali e mostra come la storiografia più recente tenda ormai a farne «un capitolo della storia del mondo» [3] ; il dossier sul Neolitico curato da Massimo Tarantini visto come una leva «per sviluppare il senso della storia» sin dall’infanzia, come risposta al «bisogno di una storia che non riguarda solo più il cittadino dello Stato-nazione ma l’intera umanità» [4].
Poi, per l’attenzione minuziosa a tutti i possibili usi della storia: l’uso scolastico, naturalmente, dalle vicende legislative dei programmi ai manuali alle nuove strategie didattiche; l’uso pubblico e politico, tra storia e memoria; l’uso turistico-museale tra ricerca e senso comune [5] ; come laboratorio del tempo presente [6]; come sostrato di nuove forme di comunicazione (dai fumetti ai videogiochi); il tutto beninteso in una prospettiva sistematicamente comparativa (non solo Italia, ma anche Grecia, Germania, Spagna, Francia, Finlandia, Marocco, Giappone, Brasile, Stati Uniti).
Infine, per la capacità di integrare in un’ottica disciplinare e non astrattamente “pedagogistica” le acquisizioni della psicologia cognitiva sull’apprendimento storico, nella tradizione dei Bruner, dei Gardner e, da noi, di una Clotilde Pontecorvo[7].
Altri rileverebbero altri aspetti, ma la sostanza è che “Mundus” è il tentativo di portare “a sistema” pressoché tutte le dimensioni che coinvolgono l’apprendimento della storia, per ogni età e per ogni ordine di scuola. E’ uno strumento più unico che raro[8] per la costruzione di “cultura storica”.

B. Perché “Mundus” rischia di essere una risorsa sottoutilizzata.

Tra gli inciampi, i provvedimenti legislativi. Come è noto, la legge Gelmini ha prodotto l’estrema frammentazione e la compressione dell’insegnamento e “Mundus” non manca di denunciarlo: per le elementari e le superiori di primo grado ha disposto una riduzione del quadro orario tanto «drastica da far paventare un collasso disciplinare»; nelle superiori di secondo grado, la nuova economia delle cattedre portate tutte a 18 ore, induce «gli istituti a montare spezzoni, prendendoli qua e là, rendendo impossibile una seria continuità didattica». Non solo. Nel recente passato, il blocco prolungato delle adozioni (sei anni) ha disincentivato la produzione di manuali originali – e in effetti quando i rappresentanti delle case editrici ce ne fanno omaggio in primavera ci sembrano tutti uguali! – e minaccia tuttora di produrre «una nuova configurazione della storia insegnata, tutta decisa all’interno delle case editrici, per ragioni che poco hanno a che vedere con una buona storia da insegnare a tutti»[9].
Tutto ciò ha certo indebolito l’insegnamento della storia. Nondimeno, non si tratta appunto che di inciampi, sintomi di un malanno più generale: la progressiva perdita di identità della storia insegnata.

Tra i tanti luoghi in cui “Mundus” prova ad aggredire tale malanno, potenzialmente esiziale, scelgo l’editoriale dell’ultimo numero, dedicato a uno dei fenomeni più sorprendenti della scuola italiana: la cronica latitanza della storia contemporanea. Il Novecento, scrive Brusa, continua a essere «poco studiato malgrado la direttiva 681/1996». La storia dell’Italia repubblicana resta «una terra ignota, l’ultimo mezzo secolo un tabu», senza parlare dell’Unione europea o delle trasformazioni mondiali.
Sono molteplici le cause.
1. Un deficit di impianto: l’errore della direttiva è stato di farne una questione puramente scolastica, di pensare «che bastasse riformulare i programmi per affrontare con agio la storia contemporanea»; ciò avrebbe invece richiesto «una diversa visione del passato, un compito squisitamente storiografico».
2. Un deficit di responsabilità da parte degli storici che, se da un lato, forse perché ormai orientati ad altri pubblici, si sono guardati dall’affrontare tale compito lasciando di fatto soli i docenti; dall’altro non perdono occasione per rimproverare alla scuola le amnesie dei loro allievi, per dirci: “voi badate all’erudizione, che ai problemi ci pensiamo noi!” (dimenticando che, specialmente a scuola, una storia senza i fatti è vuota, senza i problemi che quei fatti sollevano è cieca).
3. Le amnesie, i «vuoti di memoria» degli stessi prof («quale che sia la loro cultura storica, quella che riguarda questo scorcio di tempo è inesistente»), i quali, «lasciati senza supporti storiografici», si vedono «costretti a deformare una narrazione storica pensata per altri tempi e altre situazioni».
4. La percezione sociale distorta «della storia molto contemporanea, che resta indistinta dalla cronaca, dai talk show».
5. La disaffezione degli studenti, che, alla maturità, ornai da qualche decennio, vuoi perché poco attrezzati, vuoi perché poco interessati alla storia che sentono a scuola, mettono «il tema storico all’ultimo posto nelle loro scelte».
Chiudo con la domanda fatidica: a che serve la storia? Perché studiare la storia dell’emigrazione se il problema sono le flotte dei disperati? Perché le crisi dell’occupazione nel medioevo se mi affligge una disoccupazione terribile? Sottoscrivo la risposta di Antonio Brusa: tutto ciò mi serve solo se «mi insegna a ragionare storicamente». In questa prospettiva, l’incapacità di spiegare storicamente il presente, di porlo in una prospettiva storica, è il sintomo di un problema di fondo: «la scarsa capacità del nostro sistema formativo di insegnare a ragionare; e la conseguente scarsa capacità di produrre un personale capace di rendere socialmente diffusa la capacità di ragionare storicamente» [10]. Se il discorso tocca l’insegnamento della storia con una forza tutta particolare, temo che possa essere esteso anche ad altri ambiti disciplinari.

 

 

Note

1. Quanto segue riassume l’intervento alla presentazione dell’ultimo numero di Mundus del 19 novembre presso l’Unione culturale Franco Antonicelli di Torino, con Luigi Provero e Antonio Brusa, di fronte a un pubblico non numerosissimo ma attento.
2. "Mundus", 5-6,/III, gennaio-dicembre 2010, pp. 90 e sgg.
3. L. Cajani, La rivoluzione industriale non è più quella di una volta, in "Mundus", 2/I, luglio-dicembre 2008, pp. 106 e sg., T. Detti, La rivoluzione industriale dall’Europa al mondo, ibidem, p p. 108 e p. 118.
4. "Mundus", 1/I, gennaio-giugno 2008, v. M. Tarantini, Perché il neolitico a scuola, pp. 76 e sgg.
5. Editoriale di G. Sergi, Nebulosa contemporanea: quale materia prima per operatori culturali?, in "Mundus", 1/I , gennaio-giugno 2008, pp. 10-13; "Mundus", 7/8-IV-VII, Preistoria, scuole, piccoli musei e territorio, pp. 62-117.
6.Ch. Heimberg, Le questioni socialmente vive, in "Mundus", 1/I , gennaio-giugno 2008, pp. 53-61.
7. Qui rinvio a due contributi di A. E. Berti: Ostacoli cognitivi alla comprensione della storia, in "Mundus", 5/6-III, 2010, pp. 42-52; L’insegnamento del neolitico nella scuola primaria, in "Mundus", 7/8-IV-VII, 2011-14, pp. 66-72.
8. Rara "Mundus" in effetti lo è, in un duplice senso: è ben fatta: bella carta, bel formato, belle illustrazioni – «volevamo offrire ai docenti un oggetto che fosse, oltreché utile, bello, che esprimesse il nostro apprezzamento per il loro lavoro», così Brusa nella presentazione torinese; perché, poco distribuita per risparmiare sui costi, è difficile da trovare: «il docente deve un po’ volerla, andarsela a cercare».
9. Editoriale, in "Mundus", 5/6-III, gennaio/dicembre 2010, pp. 6-7.
10. Editoriale in Mundus, 7/8-IV-VII, gennaio/giugno 2011-2014, pp. 6-11.
 

Parole chiave: didattica della storia

Scrive...

Fabio Fiore docente di filosofia e storia nei licei; fa parte della Segreteria del Cidi Torino

sugli stessi argomenti

» tutti