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22/07/2015

La scuola che dà i voti e la società che dà i numeri

di Piervittorio Formichetti

Desidero contribuire alla riflessione sulla riforma renziana della scuola, e traggo spunto, per questo mio commento, dal cenno che il Direttore di Insegnare fa nel suo invito, alla reintroduzione – o al mantenimento – della valutazione in voti decimali, compreso quello in condotta (!), dal punto di vista del contesto circostante e dei suoi “effetti collaterali”.

Siamo una società in cui sembra ormai che tutto debba essere espresso attraverso i numeri, le percentuali, le quantificazioni, pena la perdita di rappresentabilità e quindi (secondo questo approccio!), di verità di ciò che si vuole rappresentare; dalle percentuali dei sondaggi eseguiti su tutto – dalle intenzioni di voto all’indice di apprezzamento per l’ennesima fiction televisiva – alle quote sui plichi di fogli stampati ogni giorno negli innumerevoli punti delle catene per le scommesse sportive (la cui clientela, nonostante la crisi, è sempre più ...numerosa).

Abitando vicino a una scuola elementare, mi capita spesso di sentire, negli orari di uscita delle classi, molti bambini e i loro genitori o nonni che passando sotto la mia finestra parlano dei compiti, delle lezioni, delle verifiche e dei voti. Praticamente è tutta una cascata di numeri: Ho preso 8, ho preso 7, Marco ha preso 6, ah bravo hai preso 8, e così via...

Nelle ultime settimane, inoltre, periodo degli esami di maturità per gli studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori, si potevano sentire parlare, sovente e nei più diversi luoghi – “grazie” anche ai telegiornali che da qualche anno hanno l’abitudine di parlare degli esami di maturità con un’enfasi incredibile, di cui mi sfugge la ragione! – oltre che i diretti interessati, anche i genitori, delle pagelle di fine anno, degli esami, dei voti di uscita dall’ultimo anno scolastico... non solo dei figli propri, ma anche dei loro compagni di classe e di quelli degli altri: anche qui una fiumana di 6, 7, 8, 9, 7 ...

L’impressione è che alcune famiglie si accostino al valore del giudizio scolastico espresso in numeri così come gli economisti e i politici osservano l’andamento dello spread, o come i giocatori d’azzardo osservano i punteggi sulle slot machines. La stessa compulsione, forse spinta anche da un inconscio desiderio di elevare la propria immagine al di sopra di quella degli altri mediante la pubblicizzazione degli esiti scolastici dei propri figli (ma soltanto se superiori alla sufficienza!), ma allo stesso tempo anche – citando Manzoni – da un lontano e misterioso spavento all’idea che questo status surrogato possa improvvisamente essere scalzato dalla scoperta della superiorità di uno o più voti, o addirittura dell’intera pagella, del figlio o figlia di qualcuno degli interlocutori/rivali.

A fronte dell’invadenza dei numeri, nei discorsi di queste persone su voti, pagelle ed esami, ben più raramente si sono potute sentire frasi improntate a un altro tipo di interesse e di “misurazione” dell’apprendimento, basate cioè su domande che non hanno niente di numerologico o quantificativo (QUANTI compiti hai?, QUANTO tempo è durata l’interrogazione?, ecc.) ma molto di dialogico, per esempio:

  • Di che cosa avete parlato oggi in classe? 
  • È brava/o la maestra / la professoressa / il professore?
  • Andrete a vedere qualche museo / parco / collezione / monumento?
  • La professoressa / il professore, vi ha spiegato perché è importante la storia?

Molta gente, evidentemente, ha preso a “dare i numeri” , riducendo a questo tutto il senso del rapporto tra genitori e figli, tra genitori e scuola, attorno all’argomento “progresso scolastico”.... 

....

Vien quasi voglia di condividere la patologica avversione verso i numeri del nemico di Bud Spencer e Terence Hill  in Nati con la camicia  (da You tube ).