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14/03/2014

A scuola con il giornalista

di Francesco Gerardi

Che piaccia o meno, la rilevanza dell’informazione giornalistica nella nostra società è tale e tanta che si può tranquillamente affermare che buona parte della storia del mondo contemporaneo, dalla fine dell’Ottocento ad oggi, si identifica proprio con la storia del giornalismo e delle comunicazioni di massa. Alla luce di questo dato storico ineliminabile, suonano oggi come profetiche le celebri parole di Hegel sulla stampa: “La preghiera del mattino dell’uomo moderno è la lettura del giornale. Ci permette di situarci quotidianamente nel nostro mondo storico” (Scritti e bozze, 1799-1808). 

È con questa consapevolezza che, quando la preside del liceo classico Ludovico Ariosto di Reggio Emilia ― la scuola che io stesso ho frequentato ― mi ha chiesto di tenere un seminario di giornalismo per i maturandi, ho accettato con entusiasmo. L’idea di fondo era quella di mettere la mia esperienza di giovane giornalista a disposizione degli studenti, per aprire una finestra su una realtà, quella della stampa, così lontana e, al tempo stesso, vicinissima. Un mondo distante da quello ― separato e inevitabilmente autoreferenziale ― della scuola (per di più un liceo classico), eppure, contemporaneamente, assai presente nella quotidianità di tutti.

Non sono un sostenitore di una scuola a vocazione professionalizzante, sempre più di moda nelle intenzioni e nella prassi di chi mette mano alle riforme scolastiche. Sono convinto che il tempo dello studio e della riflessione fini a se stessi, speculativi, sia sacro. Un momento insostituibile nella vita di ciascun individuo. Chi vuole fare della scuola l’anticamera del mondo del lavoro sbaglia: non si possono privare gli studenti dei benefici (e perché no, anche del piacere) di uno studio teorico, libero dall’ossessione di un’immediata finalità pratica in nome di un’urgenza occupazionale che i ragazzi subiscono e di cui non hanno colpa. L’ora della formazione professionale e dell’inserimento lavorativo dovrebbero appartenere, se la politica facesse il suo mestiere, a una fase successiva. Una scuola miope e di corto respiro non giova a nessuno. 

Questo è tanto più vero se si pensa alle penose condizioni in cui versa in Italia il settore dell’informazione e dell’editoria. La pretesa di avviare un giovane alla carriera giornalistica sarebbe oggi pura follia, con decine di migliaia tra addetti alla comunicazione, aspiranti giornalisti, pubblicisti e professionisti a spasso, o (quando va bene) precari e mal pagati. Fin dall’inizio, al contrario, ho concepito questa esperienza di insegnamento giornalistico come un’occasione di approfondimento culturale, che fornisse agli studenti nuove e diverse chiavi di interpretazione del tempo presente.

Il seminario si è svolto a dicembre 2013 e ha assunto la forma di due incontri di due ore ciascuno. Nella prima parte (dal titolo Cinque cose da sapere sulla stampa) ho individuato e trattato in un modo semplice e diretto i cinque aspetti fondamentali del giornalismo della carta stampata, dalla conoscenza dei quali, a mio avviso, non si può prescindere. La distinzione fra scrittura letteraria e scrittura giornalistica, la nozione di notizia, la tecnica che sta alla base di un articolo di cronaca, il concetto di privacy e i rapporti fra stampa e codice penale. In particolare mi sono impegnato a ribaltare i più diffusi stereotipi sulla scrittura giornalistica, quelli che identificano il giornalista come una sorta di scrittore votato all’informazione e all’attualità, piuttosto che un saggista che deve argomentare con precisione e rigore le sue affermazioni.

Nel secondo appuntamento il discorso ha abbandonato le strade dell’astrazione per farsi più concreto, un vero e proprio laboratorio. Da un lato ho pensato di fornire ai ragazzi gli strumenti tecnici e gli accorgimenti per svolgere correttamente e con serenità la tipologia B della prova di italiano dell’esame di Stato (quella che prevede la possibilità di scrivere un articolo di giornale su uno dei quattro ambiti tematici proposti), mediante l’analisi approfondita delle tracce uscite negli ultimi anni. Dall’altro ho cercato di smontare, attraverso schemi ed esempi mirati, la “macchina” di un giornale, mostrandone il funzionamento nelle varie fasi della sua produzione e la vita di redazione.

C’è una frase del grande Montaigne che parla dell’insegnamento, un pensiero davvero illuminante e che mi ha costantemente guidato durante tutta questa bellissima esperienza umana e didattica: “Insegnare ― ammonisce il grande pensatore ― non significa riempire un vaso, ma accendere un fuoco”.              

Immagine

Adriano Cecioni (1836 - 1886), La lettura del giornale

 

 

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"Cinque cose da sapere sulla stampa"

 

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Scrive...

Francesco Gerardi Laureato in Filosofia presso l’Università di Bologna; giornalista professionista dal 2010; collabora con le edizioni locali e nazionale e Internet de il Resto del Carlino e di altre testate online.

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