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26/03/2021

Il senso della Storia e la sovranità

di Ermanno Testa

La crescente disponibilità di strumenti e canali di comunicazione a distanza, insieme all’incremento della comunicazione visiva, ha generato in pochi anni un aumento considerevole della quantità di voci e di informazioni, a loro volta sempre più costrette, proprio a causa del crescente affollamento, alla tempestività ma anche alla brevità e alla rapidità. I destinatari, coloro che leggono e ascoltano, in parte disorientati, in parte insofferenti al flusso crescente dei messaggi, finiscono per adattarsi a questa comunicazione concisa, spesso assai semplificata, se non spezzata o addirittura banalizzata. Ne sono esempio i messaggi sui social, la cui brevità ben si presta a una loro rapida diffusione, anche in radio e in tv. Una tv, a sua volta, dai tempi sempre più ristretti, dove intervistati e interlocutori, sottoposti alla tempistica della pubblicità e al bisogno di tenere alto l’ascolto, continuamente interrotti, faticano a concludere un qualsiasi ragionamento. Una accelerazione che si estende anche a produzioni filmiche di serie.
Questa rapidità, concisione e in molti casi frantumazione del discorso, costretto a risposte brevi e parziali a fronte di domande altrettanto brevi e parziali, privo perciò di sufficiente argomentazione, comporta un importante effetto negativo: la progressiva disabitudine a enunciare o a recepire un ragionamento compiuto e, in sostanza, una crescente difficoltà a formulare, apprendere, e tanto meno approfondire idee in un pensiero complesso. Una comunicazione che si avvale di semplificazioni e di slogan più che di ragionamento, di logo piuttosto che di logos, può anche favorire un’interlocuzione immediata e moltiplicare facili relazioni, ma mancando di sufficiente approfondimento, se ne perde l’efficacia e non costruisce relazioni forti. Con tutto quel che ne può seguire circa il rapporto tra qualità del pensiero e comportamento, sistema dei valori ed etica, e quindi scelte che attengono alla vita pubblica e privata.
A sua volta la semplificazione concettuale offre il fianco a un depauperamento del linguaggio. C’è però in questa deformazione qualcosa di più profondo, in senso antropologico, del noto fenomeno dell’illetteratismo, cioè la perdita negli adulti di parte delle competenze linguistiche acquisite attraverso l’istruzione scolastica. Infatti il degrado nella comunicazione, ormai alquanto generalizzato, non riguarda più solo l’uso della lingua. Ciò che fa difetto, sempre più spesso, è la pregnanza culturale del pensiero!  Ne è prova il crescente ricorso a stereotipi di scarso spessore, espressioni valoriali discutibili, ridotta problematicità e capacità di analisi, superficialità nei giudizi, comparazioni impossibili, corto circuiti logici, sintesi improbabili. In sostanza un venir meno dell’attitudine a penetrare con il discorso le più sottili e variegate sfaccettature della realtà sulla base di un adeguato bagaglio intellettuale. Un evidente affievolirsi di quella che potrebbe definirsi una ‘competenza storica del presente’, cioè di un metodo della conoscenza incardinato sulla realtà umana e sulla storia, necessario a comprendere e valutare i tanti elementi della complessità. Se non si è portatori di visione storica e di strumenti di analisi culturale, di un coerente patrimonio di valori e idealità su cui fondare opinioni, valutazioni, proposte, ogni discorso si fa asfittico, di corto termine e respiro, ed esposto alle degenerazioni, anche in senso morale, del potere quotidiano [1].

La cultura ha radici storiche. La competenza storica non è solo conoscenza dei fatti storici: in senso stretto si tratterebbe di erudizione, utile ma di per sé culturalmente sterile. La cultura storica è parte essenziale di ogni bagaglio culturale di cittadinanza che possa definirsi accettabile. Essa si avvale di passione oltre che di ragione, e si forma attraversando criticamente la conoscenza di fatti e di eventi trascorsi; raffinando la capacità di comprenderne la portata, anche in chiave antropologica, rispetto ad altri eventi e all’oggi, e di collocarli nella giusta sequenza temporale; e non meno, acquisendo una certa padronanza di giudizio storico, con la consapevolezza che ogni interpretazione, anche quella più ‘definitiva’ in sede storiografica, si forma con l’ottica del presente, ed è perciò soggetta a costante ricerca.
Non si sottrae all’indagine la storia delle vicende più recenti, di cui è ancora viva la memoria, che richiede capacità di giudizio scevro da ogni preconcetto ideologico. Protagonista della storia è la comunità umana, letta attraverso il succedersi delle civiltà. Scaturisce da qui, in sostanza, il senso profondo dello studio della Storia: dal bisogno di conoscere le condizioni di chi è vissuto prima di noi, i lasciti, gli ambienti, le culture; le dinamiche politiche, giuridiche, economiche, sociali; le conflittualità, le forme del potere, le dominazioni, l’emergere di gruppi e di figure protagoniste; gli ideali, le passioni, i grandi disegni, i movimenti, le sconfitte, le tragedie. Ed è proprio nell’acquisizione di questa non linearità della storia, nel contemplare, nel generale processo di avanzamento delle condizioni di vita, periodi anche molto lunghi di declino e di stasi, di non essere cioè solo storia di “magnifiche sorti e progressive”, la lezione più importante che ne possa derivare. Questa consapevolezza altresì consente, non secondariamente, di saper riconoscere e distinguere, in particolare, i tanti fattori che nel tempo hanno determinato, in positivo o in negativo, sviluppo e progresso, i loro intrecci, le loro contraddizioni: lo sviluppo, attinente alle attività e alla produzione umana (scienza, tecnologia, ambiente); il progresso, espressione e avanzamento dei sistemi valoriali (umanesimo, democrazia, ambiente). Oggi entrambi rilevanti da considerare, per affrontare con impegno civile le sfide del nostro tempo e concorrere a determinare, come società democratiche a larga e responsabile partecipazione, in quale direzione della storia presente procedere.

Per questo una scuola che intenda educare i futuri cittadini all’esercizio della sovranità non può considerare marginale l’insegnamento della storia e tanto meno impartirlo senza la dovuta competenza. Non si tratta di fare degli alunni degli esperti della materia ma, con la necessaria vicinanza educativa, di guidarli emozionalmente con sufficiente problematicità attraverso gli eventi più significativi; mostrandone le ragioni e le conseguenze; le proiezioni culturali in campo artistico e letterario; spiegando il senso delle periodizzazioni e l’importanza delle fonti… Evitando tuttavia ogni tentazione enciclopedica.

L’insegnamento della storia non può limitarsi alla lettura delle pagine del manuale scolastico, anche se corredate di prove di verifica. Compito di chi la insegna non è quello di trasmettere delle nozioni e di verificarne la memorizzazione a breve. La Storia non va solo letta (o fatta leggere), ma va narrata, con razionalità e passione, approfondita, problematizzata, valutata; aiutando a capire come nella qualità del nostro approccio alla Storia sia contenuta la nostra capacità di guardare al futuro. Chi ha il compito di insegnarla ha una sua visione storica, ma sa anche che la sua responsabilità professionale comprende, nel quadro di un’azione didattica condotta secondo i criteri del curricolo verticale, quello della scelta, nel mare magnum delle trascorse vicende umane, degli argomenti da trattare, di come affrontarli e interpretarli, secondo scienza e coscienza. Sa che tali scelte non sono indifferenti ai fini della maturazione intellettuale dei giovani a lui affidati e della loro disponibilità a partecipare da adulti alla vita pubblica; e non certo in virtù di quelle poche tracce della ‘materia’ storia rimaste nella loro mente, ma perché dotati di una competenza derivante dall’aver compreso il senso della Storia.

 

 

 

 

Note

1. A queste problematiche si interessò Thomas Mann con una serie di saggi dagli anni Venti agli anni Quaranta, pubblicati in Italia nel 1947 e consultabili nell’antologia Thomas Mann, Moniti all’Europa, Mondadori, Milano, 2017.

Parole chiave: didattica della storia

Scrive...

Ermanno Testa Già insegnante di scuola secondaria di II grado, a lungo dirigente nazionale del Cidi e direttore di "insegnare" (fino al 2006).

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