Home - la rivista - cultura e ricerca didattica - Le sovrapposizioni valutative: educazione civica e comportamento

temi e problemicultura e ricerca didattica

15/12/2020

Le sovrapposizioni valutative: educazione civica e comportamento

di Maurizio Muraglia

La reintroduzione dell’insegnamento, specificamente costituito, dell’Educazione civica in tutti gli ordini e gradi di scuola è stato generalmente recepito, come tante altre norme, con una certa acquiescenza e con l’immediata disponibilità ad adottare le necessarie procedure organizzative volte a dichiarare l’osservanza della norma (le 33 ore annue ed il voto specifico). Non sono mancate per la verità critiche dal fronte di chi ha sempre ritenuto che la cittadinanza non possa essere derubricata a materia scolastica, ma debba attraversare i saperi della scuola facendo per così dire da lievito alla loro dimensione formativa. "Insegnare", con i due tomi dal titolo Una scuola per la cittadinanza. Idee, percorsi, contesti , scritti a più mani, coordinati da Mario Ambel, pubblicati in collaborazione con il CIDI presso PM Edizioni, è stato su questo fronte in prima linea. 
In realtà anche il legislatore appare consapevole di questo, se si pone mente a quanto recita l’Allegato A alle Linee Guida emanate nel giugno di quest’anno. Testualmente: “I nuclei tematici dell’insegnamento, e cioè quei contenuti ritenuti essenziali per realizzare le finalità indicate nella Legge, sono già impliciti negli epistemi delle discipline”. E più avanti: “L’educazione civica […] supera i canoni di una tradizionale disciplina, assumendo propriamente la valenza di matrice valoriale trasversale che va coniugata con le discipline di studio, per evitare superficiali e improduttive aggregazioni di contenuti teorici e per sviluppare processi di interconnessione tra saperi disciplinari ed extradisciplinari”. 
Notare: “improduttive aggregazioni di contenuti teorici”. Parrebbe che chi scrive non abbia avuto parte nell’elaborazione della legge, che forse, appunto, istituisce un’improduttiva aggregazione di contenuti teorici con la costituzione di una disciplina di studio che accorpa nuclei tematici già impliciti negli epistemi della discipline. Il risultato di questa costituzione con tutta evidenza finisce per risultare un artificio epistemologico privo sostanzialmente di un suo statuto, proprio perché risultante da improbabili esplicitazioni di contenuti, metodi e atteggiamenti (ovvero competenze) già presenti nei saperi. Quel che avviene di fatto è la comunicazione di argomenti svolti, da parte di tutti i docenti di un consiglio di classe, ad un coordinatore che vigila con la calcolatrice sul totale delle ore, nonché l’indicazione di un non ben precisato profitto che i ragazzi avrebbero mostrato nei singoli brandelli di Educazione civica affrontati nelle varie discipline. Come se la cittadinanza dei ragazzi possa manifestarsi soltanto in quei frammenti orari.

Si può affermare dunque che alle premesse epistemologiche da cui muove il legislatore fa seguito un approdo normativo del tutto discutibile.

Il pasticcio epistemologico tradisce l’eterna confusione tra educazione ed istruzione perpetrata da decenni nella nostra scuola. La dimensione valoriale continua a cercare una propria splendida visibilità nelle pagelle quadrimestrali o di fine anno, affiancandosi - quale colonna valutativa a se stante con tanto di voto nella secondaria - alle discipline, da cui invece con tutta evidenza sarebbero escluse dimensioni valoriali. Una disciplina scolastica la cui valutazione non incorpora dimensioni di carattere civico finisce per diventare un’esperienza fondata su contenuti da apprendere e ripetere.
Ma i docenti non sembrano accorgersi di queste incongruenze, e quando si accingono a compilare un’ulteriore colonna - che avrebbe dovuto essere espulsa da quella dell’educazione civica, già incongruente di per sé come abbiamo visto -, ovvero quella della condotta, si attorcigliano in chiacchiere quali “non è detto che il rendimento coincida col comportamento” (citazione autentica). La citazione è interessante perché fa vedere come nella cultura professionale di insegnanti anche molto preparati la questione del “rendimento” abbia a che fare con gli esiti di apprendimento asetticamente osservati, mentre il “comportamento” avrebbe a che fare con un’isolabile osservazione di frequenza, partecipazione, motivazione e quant’altro che parrebbe non avere a che fare con la dimensione culturale e disciplinare. 
Il risultato è che una cultura professionale poco disposta ad andare in profondità sulle questioni epistemologiche ed educative rischia di mostrarsi acquiescente verso il proliferare di colonne, in pagella, che costringono ad inventarsi un alunno “educativo “ o “civico” che nella realtà non esiste, perché a scuola l’alunno è di volta in volta linguista, scienziato, storico, matematico, artista, filosofo, giurista, atleta, magari anche teologo, ed è all’interno di questi campi di esperienza culturale che si esercita la sua attitudine civica, che pertanto l’insegnante valuta in modo inscindibile dalle sue conoscenze. La simbiosi tra conoscenze dichiarative e atteggiamenti civici rappresenta il campo valutativo del docente all’interno della propria disciplina, e ciò rende del tutto inessenziale, in quanto artificiosa, l’individuazione di ben due colonne del documento di valutazione periodica e finale, quella relativa alla condotta e quella relativa all’educazione civica. Sarebbe utile compiere un’indagine a tappeto sui documenti di valutazione prodotti dai consigli di classe per constatare eventuali differenze valutative tra le due colonne. Si potrebbero scoprire ulteriori argomenti per approfondire la questione.

Scrive...

Maurizio Muraglia Docente di Lettere nei licei, formatore, già Presidente del Cidi Palermo

sugli stessi argomenti

» tutti