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editoriali

10/10/2018

Il nuovo Governo, i cambiamenti e il cacciavite ...

di insegnare

Cominciano a delinearsi intenzioni e provvedimenti del nuovo Governo sulla scuola: dalle audizioni del Ministro alle Commissioni parlamentari, al cosiddetto "Decreto Dignità", all'ennesimo "Decreto Milleproroghe", una delle tante azioni emergenziali che in questo Paese sono state istituzionalizzate e rese ricorsive e costanti, fino alle bozze del Documento  di programmazione economica.
Questa abbondanza di spunti, sia pure per frammenti, consente dunque di fare alcune prime osservazioni sulle intenzioni del Governo, che - più o meno direttamente- hanno a che vedere anche con la legge 107/15. Sta emergendo in tal senso un fatto in parte sorprendente, rispetto alle dichiarazioni in campagna elettorale, che parlavano di smantellamento: il Governo vi fa riferimento per “raffinarla”, in una serie di provvedimenti “tampone” sia pure tra loro poco articolati. Forse perché, laddove appare impossibile delineare un quadro definitivo su questioni di fondo delicatissime, se ne lasciano aspetti specifici in stand by, alla ricerca di chissà quali “tempi migliori”. Sempre che intanto non si decida, come invece pare, di operare altri tagli agli investimenti sulla scuola, per finaziare altre scelte politiche.
È del tutto evidente che siamo di fronte a provvedimenti che riportano alla mente l’uso del "cacciavite" nei rapporti di continuità/discontinuità con le normative precedenti, senza per questo minare i principi della L. 107. E piuttosto che far danni, forse è meglio così, col rischio però di dover tenere i guasti prodotti in precedenza, soprattutto perché, a essere davvero carente, è la capacità dell'intero sistema, scuola compresa, di ispirare o di autopromuovere un cambiamento reale, di prospettiva e di sostanza.

Per esempio, dopo l'approvazione del  "Decreto Dignità", non appare risolta la questione del reclutamento nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria. Non risulta emanato ad oggi il bando per l'espletamento del concorso ordinario e straordinario previsto dalla norma, né appare risolta l'annosa questione della precarietà del lavoro docente. Si vedano gli effetti sul comma 131 della legge 107/15, che prevedeva il divieto, mai chiarito fino in fondo, di stipulare contratti temporanei che eccedano i 36 mesi cumulativi, divieto tuttavia dichiarato formalmente abolito per l’appunto nel decreto stesso.  Intanto, in  alcune aree del Paese, nelle assegnazioni delle supplenze annuali alla terza fascia, piovono cattedre orario e posti di sostegno che produrranno altre situazioni irrisolte, altri diritti acquisiti  da sanare.

L'approvazione del  "Decreto Milleproroghe" pone invece ulteriori interrogativi. Tra le materie trattate, ve ne sono di assai delicate. È il caso degli esami di Stato conclusivi del secondo ciclo, su cui era intervenuto il Decreto Legislativo 62/17. Si differisce di un anno scolastico il cambiamento previsto dal decreto attuativo della L. 107, ovvero l'ammissione agli esami vincolata dalla partecipazione alle prove Invalsi e alle attività in alternanza scuola-lavoro. 

Se si è preferito rimandare la pregiudiziale delle certificazioni ASL per l’ammissione agli Esami, non per questo ne è stato messo in discussione lo statuto fondativo sebbene la sua sperimentazione abbia pesantemente sottratto nello scorso anno scolastico i ragazzi di ogni ordine e grado, in primis i più deboli, allo studio curricolare in classe, alimentando la convinzione che le attività extrascolastiche di addestramento pre- lavorativo fossero non solo da incentivo all’orientamento professionale o alla scelta universitaria, ma anche le più adatte a chi si trovasse in difficoltà. Nulla si è detto dell'esperienza consumata ai danni della funzione della scuola, anche perché non esiste a tutt’oggi un monitoraggio dettagliato e diffuso di quanto avvenuto realmente nelle scuole coinvolte.
Noi ribadiamo che le scelte sull’ASL implicherebbero un ragionamento complessivo sui rapporti fra scuola e mondo esterno, fra progetto educativo e  realtà socio-economica, che né la precedente né questa maggioranza di governo sembrano avere la forza e la competenza di fare in modo realmente lungimirante e adeguato alla complessità in cui viviamo e soprattutto vivranno le ragazze e i ragazzi che ora sono tra i banchi di scuola.

Il differimento di un anno di quanto previsto per le prove Invalsi, anche esse rese obbligatorie ai fini dell'ammissione agli esami di Stato dai decreti applicativi della L 107, rappresenta una scelta che tranquillizza quella parte della scuola superiore, che è stata poco attratta in tutti questi anni dalla valutazione di sistema. Su questo tema insegnare è intervenuta più volte, soprattutto sulla svolta che ha consentito di trasformare l'Invalsi   in ente che certifica competenze individuali. E se la pregiudiziale Invalsi è stata tolta anche per gli esami dell’obbligo, tuttavia tra annunci e smentite, è passata comunque tra i docenti l’esigenza di strategie di addestramento didattico esterne (se non estranee) a un lavoro mirato alle condizioni specifiche di quella classe e dei suoi studenti. Anche qui andrebbe affrontato il tema dell'identità e della funzione di un istituto di ricerca valutativa davvero utile e funzionale al miglioramentoi del sistema e non alla misurazione di esiti ormai ampiamente prevedibili e del tutto di per sé insignificanti.

Molto altro andrebbe osservato poi sugli annunci che hanno riguardato per ora il reclutamento dei docenti nella scuola secondaria, il ripristino della "materia" educazione civica (33 ore annue), la riduzione di risorse per il funzionamento della scuola, la lotta alla dispersione, il potenziamento del tempo pieno… 
E intanto i bambini stranieri non trovano posto nella scuola dell'infanzia, per esempio a Monfalcone, e nulla o quasi sappiamo dei minori non accompagnati e del loro diritto alla scuola, in un Paese che non solo non ha avuto il coraggio e la dignità di approvare lo Ius soli, ma ora si bea di politiche muscolari e atmosfere xenofobe e discriminatorie, che hanno suscitato non poche proteste e preoccupazioni nel mondo della scuola, che percepisce talvolta posizioni addirittura da parte di membri autorevoli del Governo in forte dissonanza con il proprio mandato educativo costituzionale.

E ancora, la vicenda degli esami di Stato conclusivi del primo e ora del secondo ciclo è un ulteriore chiaro esempio di continuità nella discontinuità (o viceversa) della politica scolastica precedente.  Posposti, come abbiamo detto,  Invalsi e ASL (di cui anche noi valutiamo positivamente l’estromissione dall’esame), giustamente rivalutato il peso del curricolo sulla prova finale, restano le gravi ambiguità sulle prove: nella prima è stato cancellato il tema storico (tra lamentazioni un po' tardive dopo decenni di scarsa frequentazione da parte degli studenti), si è abolita la scrittura documentata della tipologia B (gestita maldestramente dal ministero e mai amata da alcuni docenti, ma sulla quale altri hanno fondato da anni un reale rinnovamento dell’apprendimento della letto/scrittura e che avrebbe dovuto se mai essere mantenuta come unica tipologia da migliorare ma non certo da cassare), e si torna a parlare di parafrasi e riassunto e soprattutto di testo argomentativo e pesino di “tema”!; infine è stata abolita la terza prova (grande occasione di autonomia culturale e scolastica che le scuole superiori non hanno saputo valorizzare riducendola via via a pantomima di percorsi svolti).  Sulla seconda prova gravano le preoccupazioni di un ministero che avoca a sé la trasmissione di parametri e griglie di valutazione dopo decenni consumati a valorizzare la valutazione più e talvolta a discapito dell’insegnamento. E si misura ancora una volta un rapporto assai contraddittorio e in parte ambiguo tra i soggetti e i contesti educativi reali.

Infine c’è un aspetto, a nostro parere importantissimo e poco focalizzato dalla stampa. Riguardo al Documento di Programmazione economica, non ancora formalizzato, solleviamo la questione delicatissima dell'autonomia differenziata. Il riconoscimento di maggiori forme di autonomia alle Regioni a statuto ordinario, ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, si è imposto alla discussione dei rapporti tra Stato e Regioni dopo l'esito -non confermativo- del referendum sulla riforma costituzionale nel 2017, e a seguito delle iniziative intraprese dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Queste, nel febbraio 2018, hanno sottoscritto un accordo preliminare con il Governo Gentiloni per l'attuazione di condizioni speciali di autonomia. I partiti dell’attuale governo, in particolare la Lega, si sono impegnati a realizzare le richieste delle suddette regioni, che riguarderanno, per quanto attiene alla scuola (e all’università) un diverso assetto a vari livelli, compreso quello delle erogazioni finanziarie, e un criterio specifico delle assunzioni, fino a prevedere in questo ultimo caso. un sistema   a domanda individuale che rischia di minare   la dimensione nazionale del sistema di istruzione, ancorato alla Costituzione italiana.
In particolare basta leggere al riguardo il progetto di legge regionale del Veneto, che fa intendere  come gli interventi potezialmente in atto si estendano ben oltre la L. 107 coinvolgendo per l’appunto la delicata questione delle competenze esclusive o concorrenti fra Stato e Regioni, di cui si dibatte (e in cui ci si dibatte) dalla riforma del Titolo V della Costituzione. Su questo terreno è in gioco la tenuta dell'intero Paese (al di là degli slogan propagandistici di natura xenofoba) e il peso degli squilibri fra le sue diverse aree, che in campo educativo, palesano già gravi e perduranti disuguaglianze. È elevato il rischio che tutte le Regioni, avvalendosi delle risorse locali più che dei trasferimenti nazionali, non facciano che confermare o accentuare le loro diverse condizioni di partenza.  Anche sui costi standard da utilizzarte in tutte le Regioni come indicatori di virtù amministrativa e gestionale bisognerà pur sempre prendere in considerazione i dis-livelli di partenza tra Nord e Sud (e non solo) per una esperienza di monitoraggio che addirittura secondo alcuni dovrà durare 18 anni!

Insomma, in termini di continuità e rottura, il “governo del cambiamento”, rispetto al “governo del fare” ci sembra confermare quella assoluta mancanza di una visione strategica di governo (in senso lato) del sistema scolastico, oggi per domani, che affligge da decenni il nostro Paese. Non basta alternare (quelli di  prima fra centro destra e centro sinistra) o sommare fra diversi (quelli di  adesso), i portatori di interessi economici o di voti da accontentare, per garantire al Paese un sistema scolastico palestra di democrazia e costruttore di futuro.
Ci vuole ben altro! Il diritto all'istruzione e alla cultura critica per tutti assume sempre più il sapore di una sterile invocazione di chi non ha smesso di pensare che occorra rimettere al centro le vere domande di senso e di prospettiva. Cose che da anni non vediamo all’orizzonte delle forze politiche che variamente si accingono a governare il Paese e che da un po’ di tempo lo fanno con cassette degli attrezzi nel complesso insufficienti o inadeguate,  sia che usino il cacciavite o la clava rispetto a chi li ha preceduti.

 


* Il testo di questo editoriale, fortemente redazionale, è frutto della scrittura condivisa di Caterina Gammaldi, Rosanna Angelelli e Mario Ambel

Scrivono...

Mario Ambel Per anni docente di italiano nella "scuola media"; esperto di educazione linguistica e progettazione curricolare, già direttore di "insegnare".

Rosanna Angelelli Di formazione classica, già insegnante di materie letterarie nei licei, è stata per anni redattrice di "insegnare".

Caterina Gammaldi A lungo docente di scuola media; già componente del CNPI