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editoriali

24/11/2020

Essere scuola laica, ovvero pubblica e democratica.

di Mario Ambel

Il Cidi Torino ha prodotto un interessante documento dal titolo “Partire dal senso della scuola” (qui disponibile in pdf), per ribadire e rilanciare i punti fermi di una concezione democratica e inclusiva della scuola pubblica e del suo mandato di emancipazione culturale e sociale, così come le è affidato dalla Costituzione: “L’emancipazione culturale di tutti e di ciascuno, in un orizzonte di emancipazione sociale, è il mandato politico che la Costituzione italiana affida alla scuola”, così si legge nel Documento.
Si tratta, anche se taluni potrebbero pensare il contrario, di un ruolo politicamente non neutro, perché altre potrebbero essere le finalità richieste alla scuola e altre le finalità che la scuola anche attualmente sta perseguendo.
Il Direttivo del Cidi Torino ha messo a disposizione il documento perché possa essere terreno di confronto, di elaborazione, di approfondimento e si è dato alcune tappe di discussione ed elaborazione interna, decidendo di dedicare il primo passaggio di questo percorso al tema della laicità. "insegnare" accoglie questa opportunità, facendone l’oggetto di questo editoriale.

Ebbene, nel valutare la scelta di questo tema e leggendo alcuni materiali preparatori, mi sono interrogato a lungo se davvero la laicità fosse  in questo momento una priorità strategica e se sì, in che senso si potesse intendere un concetto così ampio e polivalente.
Perché, confesso che, se a caldo mi si chiedesse qual è oggi la priorità problematica della scuola, mi verrebbe da dire che è fronteggiare la sua a tratti inarrestabile perdita di senso e di efficacia in prospettiva democratica. Ma poi, riflettendo, ho pensato che forse era proprio questo il senso da dare alle istanze di una rinnovata ma sempre auspicabile laicità della scuola pubblica: ricostruire e rilanciare il senso del suo mandato istituzionale e costituzionale.

Provo a spiegarmi. Rivendicare la laicità della scuola non può significare oggi soltanto contrastare ogni forma di cedimento di fronte alle derive clericali o confessionali, siano esse quelle tradizionalmente cattoliche o quelle a venire islamiche o altre, e neppure, per quanto fondamentale, opporsi ad ogni forma di integralismo, di razzismo, di assolutismo dogmatico, di intransigenza ideologia e di unilateralismo interpretativo. Tutto questo è scontato e certo sarebbe assai grave se non accadesse, ma non credo che sia legittimo percepire un allarme in tal senso. Il mondo e la scuola sono più minacciate (anche a livelli di responsabilità) dalla banalità, dalla superficialità e dall'ignoranza che dall'oscurantismo, se non quello delle sentine stagnanti della comunicazione veicolata dai social digitali, che pure sono un problema serio.

Se per la scuola essere laica significa, non tanto in negativo, ma in positivo, essere capace di formare cittadini liberi ed eguali, come anche in quel Documento è opportunamente ribadito, allora, è vero, esiste un'emergenza non tanto relativa alla sua  laicità, quanto alla sua capacità di tenuta e di finalità democratiche.
Non solo in termini di selezione, di ragazzi che perde, di risultati insufficienti per ampie fasce di utenza, di mancato ascensore sociale.  C'è un'altra questione, questa sì, che evoca anche il tema della laicità come rifiuto e opposizione al dogmatismo. Esiste oggi infatti una forma di dogmatismo, cui la scuola pubblica  italiana rischia di asservirsi completamente, ed è la sudditanza al pensiero unico neoliberista funzionale al capitalismo finanziario e digitale. O forse sarebbe più opportuno dire ai capitalismi finanziario e digitale, perché non ho le competenze per affermare se siano o meno  la stessa cosa.
E qui la questione si fa assai grave perché ormai ad opporsi davvero a questo stato di cose non è rimasto quasi più nessuno. E certamente non vi si oppongono a sufficienza le forze politiche e sindacali della sinistra storica, che soprattutto nei confronti della cosiddetta "innovazione digitale" hanno posizioni e pratiche spesso totalmente funzionali alle prospettive dominanti. Basta vedere la cecità e la debolezza, per parlare di scuola, con cui viene trattata tutta la questione della digitalizzazione delle strutture scolastiche e dei processi educativi. Nei cui riguardi il massimo che si produce sono i ricettari di autodifesa dagli orchi e dalle bufale, che per altro non si fa abbastanza per limitare, ignorando o volendo ignorare i colossali problemi politici, ideologici e culturali che si muovono dietro il dominio del capitalismo digitale, spesso ammantato persino di aumento del pluralismo democratico.

Ma c'è un ulteriore serio problema al riguardo. Le uniche posizioni culturali e iniziative di politica scolastica che in qualche misura si contrappongono o sembrano contrapporsi a una visione neoliberista, meritocratica, selettiva e adattiva della scuola (che invece alimenta molte scelte della politica scolastica degli ultimi anni), sono quelle che si raccolgono sotto varie azioni di contrasto alla povertà educativa e che, in altre circostanze e contesti, stanno promovendo la riflessione programmatica attorno al concetto di “scuola sconfinata” o “aperta” o “diffusa”.
Senza aver qui  tempo e modo di entrare nel merito - ma dovremo pur farlo se volessimo affrontare questioni davvero prioritarie per la vita della scuola  (e per la stessa concezione che della scuola pubblica va maturando nel “campo progressista”) - vorrei far notare che alcune implicazioni legate a questo processo rischiano di derubricare dal novero dei “diritti”, per assumerli in quello degli interventi assistenziali, se non l’intera scuola pubblica e il diritto allo studio di cui dovrebbe essere depositaria ed espressione, di certo gli interventi a sostegno delle aree fragili e di lotta alle disuguaglianze. Anche perché troppo spesso e da troppo tempo una parte della scuola delega ad altri quote consistenti dei suoi doveri istituzionali, soprattutto nei contesti più difficili e nei confronti delle aree più deboli della popolazione scolastica.
La natura dei soggetti coinvolti, le fonti e le ragioni dei finanziamenti, le finalità stesse dei progetti, spesso anche la natura concreta degli interventi vanno infatti annoverate nelle azioni assistenziali e compensative e non in quelle dell’esercizio, da parte della Repubblica, se volete proprio in quanto laica, ovvero democratica, di garantire a tutti una istruzione di livello adeguato ai contesti e ai bisogni.  Spesso tali iniziative occupano per altro spazi orari e finaltà curricolari,  e imporrebbero pratiche assai più attente e avvertite di concertazione progettuale. Se poi ci si volesse anche aggiungere l’imprinting ideologico e valoriale di alcuni (molti?) dei soggetti promotori e interpreti di tali iniziative, vi si potrebbe trovare, a corollario, anche qualche spunto di interesse  per concezioni più tradizionali e nel nostro paese storicamente consolidate di laicità...

Una questione, infine, che sta molto a cuore a questa rivista. Se, come siamo convinti, la laicità della scuola pubblica deve coincidere con una coerente educazione alla cittadinanza, ci amareggia quanto molti nel paese, anche a sinistra, anche fra le forze laiche, stiano sottovalutando la fallacia e l’arroganza educativa e ideologica della legge che ha reintrodotto l’educazione civica. Stiamo dedicando al contrasto di questo disegno notevoli forze ed energie (si veda la nostra Bacheca informativa). Se si vuole avere uno stimolo ulteriore, pur in sintonia con il tema della laicità (anche qui con gli assunti più storicamente consolidati del concetto), si possono scorrere  le direttive in arrivo per la gestione da parte delle istituzioni scolastiche e delle reti di scuole delle esperienze di educazione alla cittadinanza esterne alla scuola (si veda per esempio questo articolo di "Tecnica della scuola"). Si avrà modo di scoprire vecchie e nuove forme di preoccupazione e probabilmente di dissenso. 

Devo però concludere affermando che queste analisi e queste considerazioni ormai non escono quasi più  dal recinto sempre più ristretto e auto consolatorio (o frustrante) della produzione di pensieri e parole. Senza concrete azioni politiche e professionali che diano loro concretezza, anche i nostri "documenti" o i nostri volumi rischiano di ridursi ad esercizi retorici sempre più mesti. In questo, la responsabilità della sedicente sinistra politica è disarmante. Ma anche per associazioni come la nostra è venuto il tempo di azioni più concrete, affinché la difesa del mandato costituzionale della scuola pubblica non rischi di diventare un tema da programmi di Rai Storia.
 



 

 

 

Scrive...

Mario Ambel Per anni docente di italiano nella "scuola media"; esperto di educazione linguistica e progettazione curricolare, già direttore di "insegnare".