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editoriali

03/03/2018

A urne chiuse e poi aperte

di Mario Ambel

Sabato 3 marzo. Approfitto della "pausa di riflessione" prima del voto, per raccogliere alcune considerazioni di natura più direttamente politica, da pubblicare dopo, quando saranno espliciti i dati numerici di questa tornata elettorale.

Svolgo queste considerazioni dopo una campagna elettorale che per fortuna è finita e a urne chiuse, perché ritengo che dall'esito delle elezioni non possa emergere nulla che interessi davvero le possibilità di attuazione della idea di scuola che su questa rivista ci si impegna da sempre a delineare e difendere. Nel senso che l'ultima legislatura e la stessa campagna elettorale hanno confermato che nessuna forza politica, almeno fra quelle che hanno qualche possibilità di incidere sulle scelte di governo, sostiene e pratica questa  nostra idea di scuola.

Da questo punto di vista, la paradossale pantomima messa in scena dal e attorno al candidato in pectore di una delle forze di opposizione attuale e di presunto cambiamento radicale -egli ha partecipato alla stesura degli interventi dell'ultimo governo, oltre ad avere steso tappetini a tutti gli ultimi ministri del MIUR, e aver cambiato versione delle sue idee nell'arco di poche ore - è solo la farsesca conferma del fatto che la "Buona scuola", pensata e realizzata in continuità con le legislature di centrodestra, verrà presumibilmente confermata nei suoi capisaldi ideologici: individualismo, meritocrazia, competitività, efficientismo tecnologico,  presunta spendibilità acritica nel mondo del lavoro...  Proprio l'esatto contrario di ciò che noi intendiamo per progetto educativo inclusivo, finalizzato alla formazione del cittadino di domani.  L'unica variante fra le due opposizioni all'attuale governo di fine legislatura sta forse nella diversa considerazione del parossismo valutativo che affatica la scuola da decenni... Forse: staremo a vedere.

Poche speranze, quindi, per la politica scolastica del nostro paese? Sì, ben poche.
A meno che la scuola, anziché  limitarsi a pratiche di democrazia apparente, assumendo atteggiamenti che stanno in bilico tra l'obbedienza coatta e il consenso informato o che vanno dall'adeguamento passivo e lagnoso all'antagonismo sincero ma un po' sterile e autoreferenziale, non decida di ritornare a essere protagonista di una democrazia agita, ovvero di una politica scolastica fatta di azioni quotidiane, di scelte, di atteggiamenti che ridiano alla scuola stessa dignità e forza..

Un'idea e una pratica di scuola davvero funzionali alla società di oggi e di domani devono fondarsi su valori, presupposti e pratiche del tutto opposte a quelle che hanno orientato la politica scolastica degli ultimi vent'anni. Si tratta di idee e pratiche presenti nella scuola italiana, ma ormai sempre più minoritarie e marginali, sommerse dal quaquaraqua valutativo, tecnologico, pseudoinnovativo...

La scuola vera, quella che esiste e resiste, quella che affronta ogni giorno le rinnovate difficoltà dell'insegnare e dell'apprendere, in classi multietniche che sono isole in una società sempre più insofferente verso le differenze; quella che ha rispetto della legalità e sa che la cittadinanza si insegna con l'esempio e le azioni e non con le chiacchiere; quella che valuta consapevolmente e in modo flessibile ciò che si è potuto fare e non fa ciò che viene chiesto più o meno ottusamente di valutare; quella che coniuga i saperi disciplinari con le potenzialità trasversali (cognitive, conoscitive e relazionali)  degli esseri umani; quella che sa che la realtà è un orizzonte da condividere e costruire insieme e non solo un pantano in cui competere per il proprio tornaconto...

Questa scuola vera esiste e continuerà a esistere dopo la tornata elettorale, i cui risultati e le loro conseguenze potranno solo dirci se dovrà fare più o meno fatica a resistere e a lavorare.

Da lunedì, indipendentemente da chi avrà vinto e da chi governerà, la scuola dovrebbe infatti saper  invertire radicalmente la direzione di marcia degli ultimi vent'anni, per salvare con la propria missione autentica e la propria stessa identità, le residue speranze di noncontribuire a  precipitare il paese in un totale asservimento alle logiche del pensiero unico economicistico o, ancor peggio, di revanche nazionaliste e razziste di pessima memoria.

Questo per parlar di politica, oggi, a urne chiuse. 

Lunedì 5 marzo. Le urne sono state aperte. Il conteggio dei voti quasi ultimato. Ora si aprono giorni di complicato impasse istituzionale. Per la scuola vera, com'era prevedibile, non cambia nulla. Se sarà più facile resistere ed esistere, lo diranno i prossimi mesi.
Noi, da domani, ricominciamo a occuparci di politica scolastica e pratica didattica inclusiva ed emancipatrice, come abbiamo sempre fatto. Per fortuna le idee su che cosa debba essere e come debba funzionare la scuola non possono essere validate o falsificate dal voto elettorale, ma solo dal confronto culturale e dalla esperienza didattica.

 

Scrive...

Mario Ambel Per anni docente di italiano nella "scuola media"; esperto di educazione linguistica e progettazione curricolare, già direttore di "insegnare".