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una recensioneoltre la lavagna

26/01/2015

Caterina Gammaldi, "Una vita tante storie"

di Gianna Lai

La scoperta di una piccola agenda-diario, a lungo tenuta segretissima,  ispira il libro di Caterina Gammaldi, Una vita tante storie, Natan edizioni, 2014, che narra l'odissea del giovane ufficiale Nicola, deportato in Germania dopo l'armistizio dell'8 Settembre.

Esile scrittura del quotidiano nei campi di internamento tedeschi, si tratta di appunti velocemente vergati nel passaggio da un lager all'altro,  per dare voce ai pensieri della prigionia del protagonista e raccontare di sè e dei compagni, e di quanto potesse quella vaga, incerta, attesa del futuro mantenere i contatti con una realtà così tenue e lontana. Ne nasce un libro che mette in risalto le esistenze disperate di  donne e uomini, e  i sentimenti e gli stati d'animo che li terranno in vita fino alla liberazione. E se la ricerca storica colloca in contesti certamente più ampi e di approfondito respiro questi protagonisti del nostro Novecento, come viene fatto nella bella prefazione di Carlo Palumbo, vederli così da vicino, attraverso la testimonianza diretta della scrittura, non può non suscitare impressioni profonde e diverse. Raccontare le storie minime per raccontare la storia grande, è un'emozione nuova, dettata dal fatto che del padre dell'autrice si tratta e della sua memoria, in una cornice di così umile e solidale riservatezza, da potersi trasferire direttamente intatta nelle pagine del libro la forza e l'umanità della piccola agenda-diario.

 Nel diffondersi del racconto e nei ragionamenti  di Caterina Gammaldi resta viva e presente la testimonianza di un'epoca che ancora vogliamo leggere e rileggere in modo critico, e che si  viene man mano articolando con la scoperta di quanti prigionieri dei lager  può rappresentarne questo giovane soldato in  divisa, dall'aria così mite. Tantissimi, e di tutte le provenienze sociali, anche attraverso le fotografie  che lo ritraggono con i  militari suoi coetanei, prima e dopo la deportazione,  e che divengono parte integrante di una  narrazione sempre più intrecciata tra il particolare del quotidiano e lo sviluppo degli eventi. Come le lettere inviate ai propri cari, che aiutano a mantenere vivo il ricordo, a non essere dimenticati: a Maria, alla madre, alla sorella Emma, vere  fonti di storia cui attingere  dall' archivio familiare, custode di un passato significativo, per conoscere e capire il mondo; fino alle riproduzioni dei fogli dell'agenda e dei documenti  che hanno segnato il destino di Nicola, dall'internamento alla liberazione, e alle peripezie del rientro a Salerno.

 9 settembre: è “la prima data utile” di questa vicenda, quando, “disarmato”, come recita la pagina che dà inizio al diario-narrazione, il protagonista comincia ad annotare e a registrare ogni cosa importante, dalla  deportazione, a Offlager di Leopoli, a Stalag, nella Bassa Sassonia e poi a Dresda, dopo un viaggio di tre giorni, fino a essere inviato come medico in un campo per italiani, di cui assumerà il comando con l'ingresso dell'esercito sovietico. L'essenza della vita sempre appesa a un filo negli appunti della preziosa agendina, quei nuovi legami che aiutano a vivere, testimoniati dal lungo elenco dei compagni di prigionia, - il S.Ten. Stoduto Adelino, il Ten. D'Amato Guido, il Cap.Galluccio Eugenio-, e dei compagni di viaggio, Babusci Costantino, Lubimova Valli, Lo Russo Antonio. I “Sogni di Wietzendorf” compaiono invece nella lista dei prelibati menù, a comporre un pranzo ideale, secondo le provenienze regionali di ciascun internato del gruppo, un  'Itinerario gastronomico d'Italia' corredato di ricette e di uno scrupolosissimo indice, da contrapporre al “cibo” del campo,  prima elencato. E alla fame, a quella fame impossibile da sconfiggere, per dodici mesi l'ossessione di ogni internato. Come se l'immaginazione aiutasse a reggere la sofferenza, come se il legame con la realtà potesse ridefinirsi contrastando denutrizione e povertà, in attesa di quel cibo che potrà ancora essere gustato,  dopo l'impegno sottoscritto a ritrovarsi, una volta liberi, intorno a una tavola imbandita. 

A unire e rendere solidali tra loro gli uomini è la speranza  che un giorno si sarebbe  tornati a casa, la percezione di poter in futuro recuperare tutto il tempo del lager, fino  a quando non arrivano le “buone” notizie della guerra, come scrive Nicola dal “nuovo lager”  di Zschertnitz: “Mussolini è stato ucciso con 18 ministri. Graziani prigioniero dei partigiani, Hitler morto a Berlino, che è stata espugnata dai russi”. Semplici e leggere le parole, in una pagina di grandi emozioni e grande gioia, non c'è bisogno di soffermarsi a dire ciò che da tanto si aspettava  per sentirsi finalmente salvi.

Se scrivere è vita e rappresentare  sentimenti è mettere ordine nella mente, anche tra il caos della guerra e dell'internamento Nicola ha potuto ritrovare se stesso. E Caterina costruire una bella storia, ricomponendo passaggi anche della sua esistenza, con la sobrietà dello studioso che, di quel tempo e di quella esperienza, non tralascia nulla, niente è secondario o di importanza minore. Lo dimostra il corredo di note a margine del testo, che rimanda il lettore alle fonti e, nel mentre, suggerisce letture e approfondimenti: per i giovani, si è soliti dire, e per gli adulti, che queste cose hanno pur letto a scuola, e che oggi sapranno quindi  ricollocare nel quadro di una educazione sentimentale, generatrice sempre di nuova conoscenza e ispiratrice di nuova sensibilità e consapevolezza di sé.

Tra le altre, una presentazione del libro è stata fatta  a Roma il 15 gennaio 2015 presso la Biblioteca del Senato della Repubblica “Giovanni Spadolini”.Presente l’autrice. Dagli interventi, rispettivamente di Piero di Siena (giornalista), Paolo Corsini (senatore e docente di Storia Moderna), Domenico Chiesa (Cidi Torino); Antonio Conte (senatore e presidente provinciale ANPI Benevento) Antonio Ferraris (presidente nazionale FederCultura Confcooperative), si sono evidenziati  i significati sentimentali e civili del “piccolo diario”: esso è riuscito a coniugare con sobria dignità la microstoria del doloroso vissuto personale di Nicola Gammaldi con la sciagurata conclusione del regime fascista e le umiliazioni subite dall’esercito italiano dopo l’8 settembre, sulle cui deportazioni e uccisioni da parte nazista finora, tranne per qualche caso come l’eccidio di Cefalonia, la “Grande Storia” non ha fatto abbastanza chiarezza. È infine apprezzabile che ci siano ancora “piccoli” editori disposti con le loro coraggiose pubblicazioni a mantenere deste e ad alimentare le memorie storiche del nostro Paese.  (r.a.)

Caterina Gammaldi, Una vita tante storie, natan edizioni, Benevento, 2014, pp. 80, euro 10.00

Scrive...

Gianna Lai A lungo docente di italiano e storia negli istituti superiori, membro del Direttivo del Cidi di Cagliari.