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una recensioneoltre la lavagna

21/07/2013

Tommaso Castellani, "Equilibrio"

di Marcello Sala

Nel mio lavoro di formatore presento un exhibit in cui due palloncini vengono gonfiati fino a raggiungere volumi diversi e poi collegati da un tubo chiuso: si tratta di prevedere che cosa succederà quando, aprendo il tubo, i palloncini saranno messi in comunicazione. La stragrande maggioranza degli adulti prevede che il palloncino più gonfio si sgonfia e quello meno gonfio si gonfia fino a diventare uguali.

Nella discussione che segue la richiesta di giustificare le previsioni emerge come immagine paradigmatica quella dei “vasi comunicanti” e come premessa inconscia l’equilibrio: in natura tutto tende a un equilibrio.

Con queste premesse il fatto che il palloncino meno gonfio si sgonfi ulteriormente è spiazzante. C’è sempre qualcuno che si dichiara sicuro che esiste una legge fisica che però non ricorda esattamente; messogli a disposizione un manuale di fisica, va a cercare sotto la voce “pressione” e trova qualcosa come “se si mantiene costante la temperatura, il volume di una determinata massa di gas è inversamente proporzionale alla pressione”, il che riferito ai due palloncini crea ulteriore sconcerto.

Che cosa si equilibra in questo caso? Gli adulti sono convinti che l’elemento pertinente sia la pressione (anche se poi dimostrano di non conoscere che cos’è  la pressione, intesa come concetto di fisica, dal momento che la maggior parte sostiene che aumentando la superficie la pressione aumenta).

È significativo che i bambini nella stessa situazione fanno invece tutte le previsioni possibili (palloncini che restano come sono o che invertono i volumi e non solo che li pareggiano) e, una volta osservato che cosa succede nella realtà, individuano subito come elemento pertinente l’elasticità del palloncino; di “pressione” non parlano, anche se nel prosieguo della discussione spesso ne co-costruiscono il concetto con successive approssimazioni di idee intuitive.

Da queste esperienze traggo due idee che hanno molto a che fare con il libro di Tommaso Castellani. La prima è la centralità “culturale” dell’idea di equilibrio (ma il discorso varrebbe anche per quello di tempo o di simmetria, o di caso, che hanno un posto importante nel libro): la sua valenza va ben al di là del campo delle scienze e l’educazione scientifica deve fare i conti con questo. Come nel caso della pressione, ma con una pervasività e potenza di attrazione epistemologica, l’idea inconscia (parlo di inconscio culturale che si proietta nel linguaggio) non corrisponde al concetto scientifico e tanto meno alla definizione formale: il secondo e la terza vanno costruiti, anche in parte decostruendo quello inconscio.

É quello che fa l’autore, che costruisce un discorso attorno all’equilibrio. La parola discorso si riferisce a un contesto di comunicazione in cui è presente un interlocutore. È difficile in un libro, ma qui il discorso diretto non è solo un espediente letterario, è l’immaginarsi le reazioni di un lettore che non sa già. Castellani mostra di conoscere le domande che sorgono in un interlocutore non esperto; le conosce perché le ha ascoltate, cioè ha prestato loro attenzione e ha cercato di interpretarle nel contesto della cultura dell’interlocutore e non nella propria; e in questo probabilmente sono importanti le sue esperienze di insegnante al di fuori dell’Università, in situazioni “di frontiera”.

E qui va inserita la seconda idea che ho tratto dal libro: costruire il discorso come un’interlocuzione seguendo percorsi di conoscenza significa non rispettare l’organizzazione del sapere scientifico dei manuali; basta guardare l’indice per rendersene conto. Da lì, tra l’altro, vengono anche alcune sorprese per il lettore non esperto, come la scoperta che la risonanza c’entri con la instabilità del sistema e con gli anelli di Saturno.

L’esempio precedente relativo all’exhibit dei palloncini mostra la differenza tra i bambini che, non avendo ancora studiato sui libri, costruiscono l’idea di pressione a partire dalla osservazione delle esperienze e da una negoziazione linguistica, e gli adulti che cercano le risposte nella memoria sbiadita del sapere scolastico, dove pensano di trovare risposte già fatte. E certo le risposte nei libri di testo ci sono (Castellani vi fa riferimento in bibliografia); quelle che mancano sono le domande, che nascono in contesti reali, “meticci” e “contaminati”, ben diversi da quelli sterilizzati, ripuliti e ordinati in capitoli dei manuali; in essi la scienza appare come una proiezione su uno schermo a due dimensioni di un processo di ricerca che è “tridimensionale”, perché ha la sua storia, contestualizzata nella società e nella cultura, oltre che incorporata nelle biografie. Per fare un esempio, non credo che un manuale di fisica “serio” riporterebbe l’esempio dell’equilibrio biologico tra prede e predatori, che invece è un passaggio nella costruzione dell’idea scientifica di equilibrio.

Ecco perché nel libro di Castellani i riferimenti storici non sono abbellimenti o alleggerimenti; certo il registro narrativo è piacevole perché  racconta anche storie di persone, ma proprio queste ricostruiscono la dimensione epistemologica come storia delle idee dentro un contesto sociale.

Nel libro si parla di fisica e di scienza, ma questo significa parlare anche di fisici e di scienziati, comprese le loro “debolezze”, i loro limiti culturali. La dimensione storica è costitutiva di quella epistemologica perché rende manifesti i processi di conoscenza reali, ovvero colti nel loro contesto, e questo semplicemente è indispensabile alla comprensione, se si crede che essa sia legata alla costruzione (o ricostruzione, ma soprattutto costruzione sociale) di percorsi di conoscenza.

L’importanza della dimensione epistemologica, come consapevolezza meta- rispetto al sapere scientifico attorno a campi di fenomeni, è evidente in alcuni passaggi del lavoro di Castellani: se non si esplicita la consapevolezza di che tipo di oggetti mentali stiamo manipolando quando trattiamo per esempio di “calore” o di “temperatura”, di che significato abbiano questi termini quando li usiamo nel contesto della termodinamica classica piuttosto che in quello della meccanica statistica (ci stiamo riferendo a oggetti fisici o a modelli?), riduciamo, come spesso fa la scuola, l’apprendimento delle scienze alla ripetizione, più o meno pertinente, di configurazioni di parole.

Leggendo il lavoro di Castellani sento una forte discontinuità rispetto dai registri della “divulgazione”, in cui l’obiettivo primario è compiacere il lettore o ascoltatore, non irritarlo con ciò che non comprende, non creargli problemi, fargli sentire che sa. Il movimento della divulgazione finisce per essere non quello di accompagnare in un percorso impegnativo di conoscenza che, per definizione, parte da ciò che non si sa, bensì quello di semplificare le idee, i concetti scientifici sempre più, fino a che la reazione dell’interlocutore è quella di familiarità: “ah sì, questo lo so!”; è un movimento centrato sulla “soddisfazione del cliente” in cui la correttezza scientifica non può essere un vincolo. La scelta opposta a questo far credere di sapere è quella di Castellani di operare per rendere gli interlocutori consapevoli del proprio non sapere e per aprire, a partire dalle domande che questo genera, un percorso di costruzione di conoscenza in cui non si dà niente per scontato.

Per questo l’unica cosa che veramente non mi è piaciuta del libro è il titolo della collana: “La scienza è facile”. Proprio il lavoro di Castellani è la conferma di quello che per me è divenuto un motto a partire dalla frase di una ragazzina di seconda media: “Abbiamo scoperto che la scienza è difficile, ma se non lo fosse non ci divertiremmo”.

Parole chiave: astronomia

Tommaso Castellani, 
EQUILIBRIO. Storia curiosa di un concetto fisico,
​Dedalo, Bari, 2013, pp. 154, euro 15,00

Scrive...

Marcello Sala Formatore in ambito scientifico, è stato Cultore di Epistemologia alla Facoltà di Scienze della Formazione di Milano Bicocca.