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una recensioneoltre la lavagna

23/02/2016

Eraldo Affinati, "L'uomo del futuro"

di Rosanna Angelelli

Di questo libro colpisce innanzitutto la prima di copertina. Su un bel colore seppia spicca la foto di un giovanissimo: capelli folti, irrequieti, su una fronte alta e scoperta; due occhi grandi e profondi guardano obliqui un po’ verso l’alto; la bocca, ben disegnata, è leggermente imbronciata. Fa pensare a quella di certe madonne di Piero della Francesca. Il ragazzo è vestito demodé, si capisce che appartiene al secolo scorso. In alto, a sinistra, una scritta in maiuscolo assegna alla foto la sua identità “Sulle strade di don Lorenzo Milani”. Il titolo del libro, di  un bel verde brillante, ne preannuncia un destino: “L’uomo del futuro”. 

Un altro libro su Don Milani, dunque. Sì certo, un altro libro, ma molto particolare: non è una vera biografia, è una ricostruzione identitaria interpersonale tra Eraldo Affinati e il futuro don Milani, ancora adolescente e giovane irrequieto. La sua fisionomia è meticolosamente tratteggiata innanzitutto attraverso la storia della sua famiglia, di origine toscana e di estrazione altoborghese, ricca di personaggi illustri dal punto di vista culturale e professionale. In questo contesto il giovane si forma, sia pure in modo irrequieto, alla cultura classica, e vagheggia un futuro di artista che gli farà frequentare l’Accademia a Milano e stringere amicizie interessanti, sia maschili che femminili. Insomma, questa sua prima vita, sebbene percorsa da brividi di inquietudine, sembra comunque scorrere entro i margini della sua appartenenza sociale senza una decisa rottura. Eppure l’esplosione ci fu e fu in un certo senso micidiale perché la vocazione sacerdotale diventò subito una scelta antiborghese e anticlericale. E i problemi disciplinari gli giunsero proprio a partire dalla sua formazione in seminario. Un prete ribelle, quindi, ma perché esperto di una cultura laica e di una vita secolare liberamente vissuta.

Infine il libro prende la dimensione di una guida etica, necessaria innanzitutto allo stesso Affinati, e quindi a quegli insegnanti di oggi che hanno più a che fare con i ragazzi “di strada” che con gli scolarizzati, guida da cui trarre forza d’azione anziché fermarsi alla celebrazione e all’imitazione pedissequa di un modello.

Anche la grafica del libro è ibrida: pagine in tondo si alternano a testi in corsivo, necessari a evidenziare  i diversi stati d’animo e intenti dell’autore,  senza per questo spezzare  eccessivamente la narrazione. Da  una parte c’è l’Albinati "maestro di strada", sopraffatto e deluso dalle difficoltà dell’odierno compito educativo, che compie il suo viaggio di fede  tra i luoghi della prima vita di don Milani, ne consulta le lettere e gli scritti inediti, interpella i pochi alunni superstiti e una delle sue collaboratrici (a sua volta autrice di un bel libretto di memorie sul priore). 

Ma se in questo modo viene costruita  una narrazione appassionata e indiretta di quel cambiamento, di quella vocazione, che trasformarono  il Pierino che don Milani era stato nella nativa società toscana, in un prete scomodo, anticonformista e indisponente, le cause apertamente oggettive di questa trasformazione non appaiono con chiarezza. Piuttosto appare un concorso di circostanze, di relazioni, di folgorazioni, come può capitare nella vita di tutti noi. E quindi il modello Milani è del tutto interno al suo essere individuo, sembra sorgere dalla sua rude schiettezza e dalla vivacità del temperamento: sono quegli occhi aperti alla complessità del reale, quella bocca morbida e insieme caparbia, a fargli vedere, dire, ricercare e operare.

Nei corsivi, invece, che sono la parte più finzionale del libro, lo scrittore inserisce pause dialogiche dove spesso sono la sua voce e quella del “suo” Don Lorenzo a parlarsi.  Affinati, insegnante-viaggiatore sensibilissimo, chiede chiarezza, sprone, riposizionamenti nella propria realtà del Duemila, abbastanza distante da un passato forse meno complicato perché  poveri e ricchi allora erano più decisamente connotati e divisi. L’Italia attuale è cambiata, è più arroccata in se stessa, crede sempre  meno a un progetto educativo generale, i Gianni e i Pierini sfuggono a convenzionali etichette identitarie, la chiesa ha scelto percorsi contraddittori tra la gerarchia e la base, e, differenza delle differenze, Affinati non è don Milani, anzi non può e non dovrà esserlo, è un altro individuo.

In un corsivo a p. 92 Affinati fa dire al priore: 
Va bene, stai facendo il tuo gioco [quello di ripercorrere con minuzia quasi ossessiva gli ambienti di vita di don Lorenzo, incontrando gli alunni e i testimoni superstiti], ma guarda che io non sono più dove mi cerchi. Sarebbe come se tu pretendessi di ritrovare me nelle tracce che ho lasciato: quelle sono soltanto orme, semplici indizi della mia presenza… Vuoi un consiglio? Guarda avanti… Insomma anch’io sono diventato obsoleto, allo stesso modo dei vocaboli di cui mi prendevo gioco… Ciò che stai evocando, sullo spunto della mia biografia, appartiene piuttosto a te. Assumiti dunque le responsabilità che ti competono. Decidi, a tuo rischio e pericolo, in quali altri luoghi i semi che ho distribuito possono essere fioriti. E poi vai a raccoglierli. Ma non tenerli per te. Distribuiscili in giro.

Sulla base di queste parole si apre dunque una terza prospettiva analitica: Affinati, comunque irrobustito da un passato che non passa, da una missione educativa che non può tramontare, rintraccia il maestro e i giovani di Barbiana in quelle parti del mondo dove più complicati e contraddittori sono gli aspetti della crescita e dello sviluppo sociale e culturale.
Oggi Barbiana vive e dilaga in Gambia, in Marocco, a Città del Messico, a Volgograd, a Hiroshima, tutte tappe di viaggio in cui l’autore ha potuto misurare insieme speranza e senso di sconfitta in un’altalena destrutturante ma esaltante e soprattutto inesorabile.

Ma Barbiana vive anche a Berlino, a Milano, a Firenze… fino a sostanziarsi in Roma. Affinati fa il giro delle parrocchie della capitale per chiedere uno spazio gratuito per la  sua “Penny Wirton”, la piccola scuola dove poter insegnare l’italiano agli immigrati. Sono le pagine conclusive del libro, intitolate “I miei preti” e datate Roma 2014. Sono sconvolgenti. Descrivono con secca semplicità la determinazione di un maestro che si scontra ancora una volta con una chiesa che ha fatto o sta facendo altre scelte, altri progetti, magari interessanti e divertenti, ma distanti da quella esigenza di inclusione, di rispetto dei deboli e dei fragili ai quali oggi si dovrebbe dare innanzitutto le parole per dirsi, per trovare accoglienza, lavoro, affetti, in sostanza, per poter vivere da esseri umani liberi e rispettati.

Eraldo Affinati, L' uomo del futuro. Sulle strade di don Lorenzo Milani, Mondadori, Milano, 2016, pagg. 177, 18 euro.

Scrive...

Rosanna Angelelli Di formazione classica, già insegnante di materie letterarie nei licei, è stata per anni redattrice di "insegnare".