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una recensioneoltre la lavagna

17/12/2016

Jenny Erpenbeck, "Voce del verbo andare"

di Maria Grazia Dalla Valle

Jenny Erpenbeck, nata a Berlino Est nel 1967 da padre di origini russe e madre polacca, è una delle scrittici più affermate oggi in Germania.
Il libro Voci del verbo andare è uno dei più venduti in quel Paese e merita di essere conosciuto in Italia perché affronta uno dei problemi sociali e culturali comuni oggi a tutta l’Europa, quello dei migranti, con un atteggiamento privo di retorica, carità, compassione, presentandolo con un giusto rispetto verso l’avventura umana dei profughi.

Richard, professore universitario di filologia classica prima a Berlino Est, poi, dopo la caduta del muro, nella Berlino unificata, è appena andato in pensione. Vedovo e solo cerca di organizzare la sua vita nella casa che ha continuato ad abitare nella parte orientale della città. Quasi per caso incontra un gruppo di profughi africani che, sbarcati a Lampedusa nel 2013, sono arrivati in Germania e occupano per protesta una piazza della città, per diventare visibili -dicono i cartelli-, e vogliono sollecitare le autorità a decidere sulle loro domande di accoglienza e di lavoro. Nello sviluppo della narrazione si intrecciano la storia di Richard, che è vissuto nella Berlino divisa e che cerca invano di spiegare ai suoi interlocutori africani come anche in quella città la gente tentasse di fuggire oltre il muro ma che a sparare sui fuggiaschi non fosse la parte verso cui si dirigevano, ma quella da cui fuggivano, e che quelli che riuscivano ad arrivare ad ovest non solo erano bene accolti, ma ricevevano addirittura un passaporto. Documento questo che è il sogno per gli africani e per quei profughi d’oggi, su cui nessuno spara materialmente, ma che sono sotto il tiro delle leggi federali e degli accordi dell’Unione Europea , che li mettono in una condizione priva di futuro.
Senza alcun atteggiamento di carità o compassione Richard scopre a poco a poco e non senza incertezze e contraddizioni le vicende dei profughi come parte della storia dell’umanità, utilizzando le sue competenze di cultura classica per ricostruire il passato delle regioni da cui provengono attraverso gli storici greci come Erodoto.
Anche loro hanno una storia alle spalle, non solo quella dell’Europa burocratica che momentaneamente li ospita.

Le ricostruzioni dei viaggi e delle fughe dalle guerre o dalla fame sono molto significative perché prive di luoghi comuni e di retorica; nel corso dei racconti che emergono faticosamente dai rapporti più continui che si stabiliscono tra Richard e quella parte dei profughi che, dopo un accordo col Senato di Berlino, viene ospitata in una ex residenza per anziani a poca distanza dalla sua casa, si scopre quanto sia importante per queste persone mantenere un rapporto con quelli che sono rimasti nei paesi d’origine e quanto sia decisivo avere amici con cui mantenere i contatti in Europa, nei paesi in cui sono passati o in cui sperano di arrivare. Ma si scopre anche che se essi sono riusciti a superare molti muri, nuovi muri si stanno creando a loro danno in una sequenza che sembra uscire da un racconto di Kafka.
Alla fine la legge, o la burocrazia, avrà ragione e a tutti i nuovi amici di Richard sarà negata la possibilità di chiedere asilo in Germania. Perderanno anche la struttura che li ospita, ma parecchi di loro troveranno ospitalità nella casa di Richard e di alcuni amici che lui ha coinvolto e interessato. Da qui comincia una nuova storia che nessuno di noi europei sa in questo momento come potrà svilupparsi e qui si conclude la narrazione delle Erpenbeck.
Vale la pena di ricordare alcuni passaggi dell’incontro tra Richard e gli africani. In un primo momento egli li individua con un soprannome che sembra corrispondere a certe loro caratteristiche, come Tristano o Apollo, per evitare di confonderli, poi cerca di capire da quale parte dell’Africa provengono, e quasi inevitabilmente, data la sua formazione classica, scoprendo che molti provengono dalla zona sahariana, ricerca le informazioni da parte degli storici greci antichi relative a questa regione e alle popolazioni che la abitavano; è come se scoprendo il passato si garantisse una eguale dignità a questa umanità che sbarca sulle coste dell’Europa e si accampa nelle sue piazze.
Richard conosce in questo modo le storie delle fughe dalle guerre o dalla fame e aiuterà uno dei profughi a comperare un pezzo di terrà nel suo paese, il Ghana, per mantenere la sua famiglia, e ospiterà alcuni quando perderanno il diritto d’asilo, arrivando alla conclusione che: “ Gli africani di certo non sapevano chi fosse Hitler, e tuttavia: era solo se quei profughi riuscivano a sopravvivere in Germania che Hitler, la guerra, l’aveva persa davvero”.

 

Jenny Erpenbeck, Voci del verbo andare,  Editore Sellerio, 2016, pp. 352, 16 libro, 9,9 e-book.