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una recensioneoltre la lavagna

03/02/2014

Federico Fellini e Tullio Pinelli, "Napoli-New Yok: una storia inedita per il cinema"

di Rosanna Angelelli
 

Non capita frequentemente di leggere un trattamento cinematografico inedito attribuito da Augusto Sainati a Federico Fellini e al suo amico drammaturgo, sceneggiatore e coautore Tullio Pinelli.
La storia è andata così: Sainati, che insegna "Storia, teoria e analisi del film" all’università Suor Orsola Benincasa di Napoli, nell’estate del 2005 fu contattato da Tullio Pinelli ormai novantasettenne su certo suo materiale da esaminare, custodito (e dimenticato) in una villa di famiglia. Ricordiamo che Pinelli è lo scrittore di film di Fellini, come La strada, Le notti di Cabiria, La dolce vita, , la cui qualità è data anche dall’efficacia del dialogo, a volte originalissimo, fortemente ibridato da modi d’uso dialettali e da una vocalità esterofila e gergale così suggestiva da sorreggere e animare trame di per sé esilissime.

Il dattiloscritto del trattamento che faceva parte del materiale ha un titolo, Napoli-New York, ma non un frontespizio con il nome degli autori, né Pinelli, interrogato da Sainati, si ricordava di avere scritto qualcosa del genere. 
Lascio al lettore il piacere di scoprire come Sainati, con un vero e proprio processo indiziario, abbia decifrato e incrociato nella prima parte di questa pubblicazione le tracce di cui disponeva, per concludere che forse l’idea del racconto sia stata del regista Gianni Franciolini, ma che lo sviluppo sia farina dell’inventiva degli altri due, tanto più che alcune pagine sono scritte o riviste di pugno da Fellini.

Riguardo alla sua possibile cronologia Sainati ne propone un avvio a partire da 1948 sulla base anche di due documenti in allegato al testo: il primo è una lettera redatta per lo più in inglese, “indirizzata probabilmente da un possibile coproduttore americano a qualche suo omologo italiano [dove] si accenna due volte al «trattamento Fellini», considerandolo il testo-base” del quale discutere per eventuali ulteriori modifiche; il secondo documento è firmato da Clare Catalano, all’epoca consulente alle sceneggiature e sceneggiatrice legata alla casa cinematografica Lux per cui lavorava anche Fellini.

Per comprovare le sue ipotesi –e questo ci sembra l’aspetto più interessante ai fini di una delineazione “letteraria” del trattamento (un abbozzo di buona scrittura per un film) Sainati cita opere di Franciolini, Lattuada, Zampa, contemporanee  del trattamento in questione, che insieme ad alcune collaborazioni di Fellini per le sceneggiature di Paisà, Senza pietà e Happy Country, indicano la fertilità creativa del cinema italiano del dopoguerra mossa tra tematiche neorealistiche ma su risvolti esistenziali spesso sentimentali se non patetici.

Nella seconda parte del librino abbiamo il testo del trattamento. Innanzitutto a interessarci è il titolo: Napoli-New York indica gli estremi di un percorso di viaggio tra due città diversissime di due continenti geograficamente e idealmente tanto distanti, resi ancora più separati dalla storia catastrofica della II guerra mondiale. Il suo esito aveva racchiuso Napoli nel cumulo delle macerie materiali e morali della sconfitta italiana (non per nulla Sainati per rappresentarne il degrado cita il coevo romanzo-saggio La Pelle di Curzio Malaparte), e innalzato New York nello spazio siderale di città emblema della vittoria assoluta: una città da sognare anche nell’ambito di quel  mito dell’America “primo amore” vagheggiata da Mario Soldati nel suo celebre reportage del 1935 e ripubblicato da Einaudi proprio dieci anni dopo (1945).

Forse Fellini e Pinelli avevano apprezzato questo reportage-romanzo? Forse erano stati suggestionati dalla ricerca di una specie di risarcimento morale per un’Italia in cenere, che comunque aveva già trasferito negli Stati Uniti il suo antico dolore (e l’umiliazione della subalternità e dell’illegalità) in quella emigrazione di tanto tempo prima.

La trama è esile e ingenua: a Napoli un palazzo crolla e tra le vittime c’è l’unico legame affettivo di una bambina. Celestina piange desolata la zia, ma comunque abituata dalla guerra, ormai finita, a sopravvivere in quell’arte di arrangiarsi illegalmente che è il contrabbando delle sigarette, cerca appoggio verso il fratello. Ma gli Americani se ne sono andati e questo rende Napoli ancora più derelitta. Il fratello è un guappo e vorrebbe subito asservire la bambina ai suoi loschi traffici, ma lei reagisce, scappa, e si appoggia a un altro diseredato, un adolescente di nome Carmine, ancora emarginato rispetto al gruppo che frequenta perché non è per il momento riuscito a diventare un arrogante violento; il ragazzo si fida ancora dei patti con i suoi coetanei, cripto criminali più smaliziati di lui, e cerca di proteggere Celestina  come può e di mettersi in proprio nel contrabbando. Ma in uno degli episodi di sconfitte e di fughe i due si trovano ad arrampicarsi separatamente su una nave in partenza per… New York!

Qui ci fermiamo, per non guastare la sorpresa del resto della trama.

Ciò che è significativo del racconto è la morbidezza, il realismo magico con cui i due autori del trattamento tratteggiano le personalità dei due protagonisti. Non ce la fanno a delinearli nella crudezza da delinquenti potenziali: essi sono dei giovanissimi abbandonati dagli adulti. I veri responsabili sono i grandi, e la polizia è solo stupidamente repressiva: un po’ come accade al poliziotto e al monello di Charlie Chaplin.

La nave assomiglia molto al REX di Amarcord e a quella di La nave, ma la caratteristica narrativa più attraente del trattamento è la vocalità delle situazioni: Napoli è descritta in modo efficace, talvolta al limite del folklore, e se ne sente il suono, non solo attraverso le battute  di un primo abbozzo di sceneggiatura, ma anche tramite le immagini di vita corale e le tradizioni vocianti dei Quartieri Spagnoli. Quel gridare tutto italiano, che è stata la cifra di tanti film su un Paese che strillava finalmente disinibito le proprie miserie, qui serve tuttavia a sfumare il degrado più miserabile, a rendere sopportabile la tragedia.

E New York? È un luogo molto più indeterminato, direi quasi astratto; continuamente si allude al traffico e all’anonimato della sua enorme dimensione urbana, ma l’effetto di realtà è stranamente ottenuto attraverso la delineazione dei suoi “valori”: a parte una Little Italy abbastanza di maniera, che protegge e rassicura provvisoriamente Celestina e Carmine, la “vera” America è la giustizia, il lavoro e l’orgoglio dei suoi principi. A tal punto che si rischia una tragica frattura, una incomprensione totale nei confronti del traballante codice d’onore italiano, di quel ricordo del malaffare dei costumi di cui l’esercito degli “Alleati”era stato testimone, ma anche l’utilizzatore; ma per fortuna la sofferenza dei due giovanissimi alla fine viene compresa (anche se non assolta), e qui davvero Fellini e Pinelli avevano capito, senza esservi ancora andati, quanto l’America fosse la terra giovane della futura nuova frontiera democratica.

Ora, un film su un trattamento del genere non poteva ancora passare nelle dolenti sale cinematografiche italiane, ma neppure in quelle orgogliose d’oltre oceano: era prematuro il tema del necessario incontro pacificatore tra due culture tanto diverse e un passato bellico che per noi era stato così violento da averci resi “afoni” su ogni valore, e senza democrazia.

La cultura italiana è stata sempre molto attenta ai rapporti tra cinema e letteratura e viceversa. Nel caso di questo trattamento per un film mai prodotto si aprono a scuola varie piste di lavoro, che possono riguardare: una sua trasposizione in sceneggiatura e allestimento filmico; oppure un confronto all’interno della produzione di Fellini; o una ricerca sulle successive rappresentazioni cinematografiche di  Napoli e di New York; oppure sugli esiti della narrativa attuale a proposito delle due città (Mazzucco, Saviano ecc.).

Immagini

Le immagini sono tratte da  http://cinefestival.blogosfere.it e da http://it.wikipedia.org

Federico Fellini - Tullio Pinelli, Napoli-New Yok: una storia inedita per il cinema, Marsilio Editore, Venezia, 2013, pp. 157, euro 12.