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una recensioneoltre la lavagna

30/01/2016

Neil Mc Gregor, "La storia del mondo in 100 oggetti"

di Rosanna Angelelli

Neil Mac Gregor è stato il direttore della National Gallery, e dal 2002 lo è del British Museum. Nel 2012 in una mostra e in un libro ha raccontato la storia di Shakespeare e del suo tempo in 20 oggetti. Nella pubblicazione che vi presentiamo, il suo progetto è stato molto più ampio e ambizioso: scrivere una storia del mondo in 100 oggetti tratti dal museo che dirige. 

Facciamo una simulazione: stiamo entrando in un bellissimo museo di cui vogliamo vedere ciò che mostra: in permanenza, e in eventi temporanei. Come lo facciamo? Con quali domande? Vogliamo ritrovarvi un nostro senso di vita? Stabilire distanze, prossimità, identificazioni tra noi e gli “oggetti” esposti? Con i nostri occhi di osservatori temporanei desideriamo rendere meno formale (e imbalsamato) lo spazio che li custodisce? 

Spesso frequentiamo un museo in modo distaccato o distratto, guidati più dalla sua fama che da una scelta personale. Perché, anche quando si tratta di un museo di arte contemporanea, e quindi presumibilmente di “oggetti” più vicini a noi, qualcosa può già essersi inesorabilmente cristallizzato proprio a causa della contraddizione implicita nel custodire e nell’esporre. Per esempio, malgrado un oggetto sia datato a epoche recenti, tra la bacheca o lo spazio in cui esso si trova esposto sorge una inevitabile distanza rispetto alla vita di chi lo osserva. Malgrado un suo significato  “trasparente”, spesso quotidiano, c’è una sovrapposizione di prestigio solo perché oggetto musealizzato. A tal punto che spesso il nostro spirito critico visibilmente ne soffre:  un mio amico stava per dismettere la vecchia radiolina  Brionvega, ma avendola vista tra gli esempi del design moderno al MoMA di New York, non l’ha più fatto. E ancora: siamo estasiati di fronte a una sequenza di vasi e di lucerne antichi (“tutti uguali”, concluse una volta un mio studente, sinceramente annoiato dalla ripetitività ma subito zittito da compagni più compunti di lui); oppure ci difendiamo da opere non condivise rifugiandoci in un borbottio sottovoce: “Questo lo saprei fare anch’io!”

D’altra parte uno spazio museale bene organizzato non solo dà prestigio culturale al luogo che lo accoglie, ma è una concreta fonte economica per il suo mantenimento e per lo sviluppo  di diverse altre iniziative. Questo è così vero che oggi non c’è nessun grande architetto che  non si sia cimentato nella costruzione o nel restauro di un museo, spesso diventato esso stesso uno splendido esempio d’arte.[1] Evidentemente questi grandi contenitori della cultura mondiale, con le loro particolari strategie spaziali e tecnologiche, vogliono attrarre l’osservatore in una relazione cognitiva  che continui a suscitare emozioni, idee, storie, “tradizioni” e “rotture” di gusto. Una conservazione tout court non è dinamica, come pure non lo è il collezionismo: è erudizione, è prestigio, è potere, ma non alimenta la storia. 

Mac Gregor, invece, ha voluto raccontare la storia, anzi le storie del mondo attraverso alcuni oggetti del “suo” museo. Lo faremmo  anche noi nei nostri spazi di vita quotidiana,  se ci fermassimo ogni tanto a raccogliere identità e storie sugli oggetti delle nostre case-museo, dei nostri luoghi  di studio, di lavoro e di divertimento. Verrebbe fuori una rappresentazione di vario spessore della nostra vita, mentalità, costume, ecc. Per esempio, mi colpì molto come, in seguito al crollo di Wall Street, i bancari licenziati se ne andassero via portando entro scatoloni traboccanti gli oggetti-ricordo di una loro identità professionale purtroppo  conclusasi: cose delle loro scrivanie, magari foto incorniciate dei loro familiari, contenitori di penne, accessori per pc, giochini passatempo, rubriche speciali… Ed è significativo come il Nobel turco di letteratura Oran Pamuk nel suo romanzo  Il museo dell'innocenza (2008), Einaudi, Torino, 2009, abbia fissato la storia d’amore tra il protagonista e la sua bella non solo al racconto di oggetti relativi alla loro storia, ma abbia allestito per loro, con indubbio feticismo, uno spazio reale a Istanbul da lui chiamato per l’appunto “Il museo dell’innocenza”.

Il British, nella sua quantità di reperti di ogni tipo e provenienza,  è un museo “orientato all’universalita”. Gli oggetti scelti nel nostro caso  partono da due milioni di anni fa (Mummia di Hornedjitef e reperti di Olduvai) fino ai nostri giorni (carta di credito islamica, lampada solare e accumulatore). Dunque la scelta di Mac Gregor e dei colleghi del British ha riguardato anche cose umili e d’uso quotidiano non meno importanti ai fini della ricostruzione storica di una cultura e di un’epoca. Ma c’è un’altra particolarità da rilevare, questa volta  nella conduzione del progetto: gli oggetti sono stati dapprima descritti e commentati a voce durante un programma radiofonico della BBC del 2010 e quindi solo successivamente gli ascoltatori potevano avere un riscontro visivo di quanto appreso sulla library del museo. Ciascun ascoltatore è stato stimolato a fare una propria “rappresentazione” degli oggetti descritti, verificandone l’attendibilità  solo in un secondo momento. 

Questo mi sembra un procedimento molto interessante, innanzitutto perché si deve prestare attenzione a come è detto l’oggetto (apprendendo così una strategia descrittiva e un lessico specialistico che molto spesso ci mancano), poi perché ci si è fatta un’idea dell’oggetto e delle sue funzioni in una situazione di ricezione meno passiva rispetto alla presentazione immediata di una sua immagine in foto; infine si è attivato un feed back molto più puntuale ed efficace tra i due momenti di apprendimento, quello iniziale auditivo e quello finale visivo. 

In questo senso vi invito a fare un riscontro su un progetto per certi versi affine: ascoltando a radio3rai la presentazione di un’opera d’arte a viva voce da parte di esperti e andando a verificare quanto ascoltato sul sito Museo Nazionale Radio3. È una esperienza davvero interessante!

 

Note

 1. Mi vengono in mente alcuni esempi, a partire da F. L. Wright (Museo Guggenheim a New York): Frank O. Gehry (Guggenheim a Bilbao), Ieoh Ming Pei (Piramide del Louvre), Renzo Piano (museo Pompidou a Parigi, museo della scienza a Trento, museo Whitney a New York), Norman Foster (Great Court del British Museum), Zaha Hadid (Maxxi di Roma), Gae Aulenti (Museo d’Orsay a Parigi) ecc.

Neil Mc Gregor, La storia del mondo in 100 oggetti (2009), Adelphi, Milano, 2012, pp. 706, 171 ill., 24,90  euro,  Temporaneamente non disponibile