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19/11/2019

"Nidi per scintille",

a cura di Redazione "insegnare"

L'esperienza educativa di Franco Lorenzoni

“È meglio che tu pensi la tua” è il titolo del documentario di Davide Vavalà, prodotto da RAI MOVIE, che parla dell'esperienza educativa di Franco Lorenzoni, attraverso la ricostruzione delle attività didattiche delle ragazze e dei ragazzi della 5° elementare di Giove. Muovendosi tra cinema, matematica e storia, teatro e frequentazione di testi impegnativi e classici, il film documentario ripercorre l’ultimo anno di scuola di Franco Lorenzoni e il senso stesso della sua idea di scuola e di insegnamento.  Il video è disponibile sul canale Rai Play .

Così ne parla lo stesso  Lorenzoni, su "Tuttoscuola", in un suo testo di presentazione "La documentazione di una ricerca"

"Nel mio ultimo anno di insegnamento  ho desiderato sperimentare come fare cinema a scuola. Così, per la prima volta, mi sono trovato a proporre ai ragazzi di inventare una storia per progettare e realizzare un cortometraggio, che desideravo fosse interamente scritto, girato, interpretato e montato da loro.
Diverse fasi di questa ricerca, per me del tutto nuova, sono state riprese da una troupe della RAI.
E’ possibile così ora vedere le ragazze e ragazzi di Giove che si cimentano a comporre una bozza di sceneggiatura disegnando story board, si confrontano tra loro e cercano di trovare un filo tra le diverse intuizioni, per rintracciare un soggetto in cui tutti si possano riconoscere. Ci sono poi i giorni delle riprese nel paese e nella campagna in cui ciascuno ha scelto che parte interpretare nel grande gioco dello sperimentarsi a costruire un cortometraggio.
[...]
Nel corso dei mesi il documentario, pensato inizialmente come una documentazione della ricerca cinematografica della classe, grazie alle scoperte che man mano andavamo facendo e alla sensibilità di chi stava girando, si è riempito di altri contenuti: dal teatro alla geometria studiata con i materiali, con il cerchio che ci ha portato a indagare l’infinito contenuto nel pi greco, fino alla nostra immersione in una grotta trovata nella campagna di Giove, dove ci siamo recati per discutere del mito della caverna di Platone, con le ragazze e i ragazzi della classe che moltiplicavano le loro domande sull’origine e il senso della conoscenza."

Noi abbiamo chiesto ad alcune colleghe e colleghi, amici e collaboratori della rivista, di guardare il documentario e di dirci in breve le loro impressioni, per invitare altri a farlo, magari  come stimolo alla riflessione sulla scuola e su che cosa può significare insegnare oggi...
Si tratta infatti di una pagina aperta: aggiungeremo presto altre testimonianze, invitiamo altri a  farlo e a inviarcele e magari lo stesso Franco a lasciarci a sua volta un commento...


“Ogni settimana attraversiamo senza saperlo tre culture, nel semplice dar voce ai nomi dei giorni. Lunedì chiamiamo la Luna che è anche Diana, divinità romana parente di Artemide, dea greca delle selve e della caccia”.
 La verità è che ho pianto, alla fine del documentario. E per fare qualcosa mi sono alzata a prendere il primo libro di Franco Lorenzoni che ho letto.  Correva l’anno 1994, L’ospite bambino. Inizia così, con questo attacco folgorante. Oggi apprendo che Franco scrive alla conclusione dei cinque anni del ciclo. Come se raccontare fosse la più grande risorsa interiore per un insegnante. E nello stesso tempo, raccontare, imparare a raccontare è il più grande insegnamento che possiamo dare ai nostri ragazzi. Soprattutto se diamo loro l‘opportunità di uscire dalle parole logore, volgari, spente.
È impossibile resistere alla poesia dell’insegnamento che è contenuta in ogni singola scena. Ci sono mille spunti, scale che portano verso il cielo che ciascuno di noi ha nella propria aula.
E dentro quella poesia, uno struggimento. L’insegnante solo. Dove sono gli altri adulti? Dove sono gli altri insegnanti, quelli con cui condividere una preoccupazione, una risata, un commento, una pagina di Omero?
Siamo chiamati a dare tutto ai nostri allievi, se siamo qui è perché ci crediamo profondamente. E non abbiamo nessuna intenzione di smettere. Ma io sento il bisogno di questo passo in più, della condivisione con gli altri insegnanti. Non sulla porta dell’aula e nemmeno nelle macchine burocratiche dei collegi e delle riunioni per i dipartimenti. Sento la necessità di uno scambio vero, autentico, profondo. Grazie Franco Lorenzoni, per i nidi che ha costruito per noi, e per le scintille che riusciremo ad accendere.”

Marilena Lucente
secondaria di II grado


Una interessante documentazione di un modo di fare scuola, utilizzando l'integrazione di vari linguaggi.
Il risultato è la valorizzazione delle capacità di ciascuno  dei ragazzi e delle ragazze e un evidente lavoro di riflessione su ciò che si fa e su ciò che si può fare, sia da parte del maestro che da parte degli alunni.

Una scuola che si nutre prevalentemente di sé, ma anche di altro da sé"

Daniela Casaccia
secondaria di I grado


Il film documentario su Lorenzoni è affettuosamente celebrativo di un ottimo insegnante, ma anche alquanto distante dalle problematiche della scuola d'oggi (almeno a quel che mi si dice). Il maestro artigiano che prepara il materiale "povero" agli allievi mi fa pensare a mio nonno con i suoi piccoli contadini. Poi però mi risulta che mio nonno (repubblicano radicale) dicesse ai suoi allievi: " Ora andate a leggere le insegne della città, per applicare quanto avete capito e difendere la vostra cultura. E di poi, ritornate alla terra consapevolmente "vostra", se volete".
Mi sembra che oggi si oscilli tra l'idealismo del primo 900 e l'istruzione promozionale e cazzuta 4.0. La Castelnuovo, nel contesto del video, perde il suo mordente scientifico. E allora sono forse più realistici i ragazzi per la città, a parlare con i vigili, come nel progetto di cittadinanza attiva del Comune di Napoli.
La selva oscura o incantata, la caverna delle immagini riflesse si trovano metaforicamente anche in città. Per me rimane ancora attualissimo il film francese "La classe" di Cantet.

Rosanna Angelelli
secondaria di II grado


Ho  guardato il video. Mentre ascoltavo e osservavo tanti pensieri si accavallavano, il ricordo di colleghi che sanno insegnare e insegnano in modo simile, e il pensiero ai tanti che, chiusi nelle loro aule, fanno fatica anche solo a sorridere, e si sa, senza gioia si fa una fatica terribile a imparare...
Proprio ieri ho trovato un articolo che si intitola "La luccicanza educativa", e che si lega perfettamente al tema del video: il saper creare un nido affinchè le piccole scintille possano prendere fuoco. 

Certo, la fortuna di vivere e lavorare a contatto con la natura per molti di noi è una chimera, ma non può essere questo a frenarci, nè la paura di non essere compresi dalle famiglie (anche con loro è indispensabile saper spiegare in modo chiaro il nostro progetto e il perchè delle attività proposte e le modalità scelte). Non dovrebbero frenarci i vincoli sempre più stretti, la burocrazia che tutto fagocita... Chi vuol volare e far volare ci prova sempre e comunque. 

Paola Limone 
primaria

L’ascolto, l’espressione del pensiero di tutti, il rispetto della dignità di ciascuno che consiste nel guidarlo ad essere protagonista in relazione agli altri e a ciò che si esplora...
La tipologia di maestro e di insegnante che tesse fili, raccoglie, costruisce ed offre scenari, prospettive, visioni che portano lo sguardo lontano. Che  aprono al mondo sconfinato della curiosità e del sapere. Anche il pensiero - nella trama che fa da sfondo alle diverse esperienze sull’arte, la scrittura, la forma e il numero,  nel connubio stretto e circolare tra comunicazione, rappresentazione e astrazione - riconosciamo. Come l’idea - forse originaria della Castelnuovo - che se un insegnante non inventa, non ricerca, non scopre,  se non entra a far parte del gioco, non può coinvolgere nessuno, né insegnare nulla.
Non c’è dubbio, tra i tanti modi di fare scuola, l’approccio di Lorenzoni è forse uno di quelli a noi Cidi più vicino.

Eppure, qualcosa ci colpisce e forse ci differenzia: il senso élitario del proprio lavoro, la riflessione condivisa alla fine, la scuola come rapporto privato e privilegiato con gli allievi. La scuola che finisce con la classe, la propria.
Il film-documentario vuole essere la dimostrazione di come si può fare bella la scuola, di come si può rendere significativa l’esperienza del conoscere. Eppure è come se  fosse parte del filone copioso di film sulla figura dell’insegnate carismatico.
In coda ai titoli di coda del film ci sono i ringraziamenti alla collega Cornelia Luisi per 5 anni insieme a lui, sulla stessa classe… e  poi agli altri, i maestri e le maestre della scuola primaria di Giove.
Sarebbe bastata una scena, uno scorcio sulla riflessione adulta, sul confronto, sui motivi delle scelte discusso con gli altri. Sarebbe bastato che i bambini ogni tanto avessero aggiunto una “e”, avessero detto: Franco e Cornelia. Invece si capisce che è  Franco l’unico maestro. Mentre la maestra Cornelia fa il lavoro sporco, ripetitivo, dei calcoli, delle operazioni, della grammatica. Forse non è stato veramente così, ma questo è quello che si può pensare.


Forse a Giove non è successo, ma qui in città, quanti genitori, avrebbero fatto di tutto per avere i propri figli con il maestro Lorenzoni? Quali bambini, di quali classi sociali avrebbero potuto essere i suoi allievi?
E così via..

Insomma, ad essere buoni, forse è un film da correggere.

Luigi Tremoloso
secondaria di I grado

 

 

Leggendo o ascoltando, e ora vedendo riproposta in video, l’esperienza educativa e didattica di Franco Lorenzoni è inevitabile pensare a Mario Lodi, per le molte cose che li accomunano e per quelle che li separano, prima fra tutte la distanza temporale, che su alcuni aspetti segna una irrimediabile lontananza, su altri supera il varco degli anni ed evidenza analogie profonde.

Per questo, invitiamo chi ha guardato il documentario sui e con i ragazzi di Giove di oggi a fare un tuffo nello spazio e nel tempo per ritrovarsi a Piadena, nella bassa padana, tra Mantova e Cremona, sulla riva dell’Oglio, alla fine degli Settanta, giusto quarant'anni fa.


Questo filmato fa parte di una serie d’inchieste condotte nel 1979 da Vittorio De Seta sulla scuola italiana in Italia e le sue trasformazioni.

Riguardare e confrontare le parole dei due maestri, dei bambini, le esperienze didattiche, gli strumenti, la ricostruzione dei contesti consente di riflettere sui contenuti e i modelli relazionali, sul mutare nel tempo di alcune circostanze e sensibilità, ma anche sul permanere del senso profondo e delle dinamiche autentiche dell'insegnare e dell'apprendere come fondamentale esperienza umana.

Anche Mario Lodi, come Franco Lorenzoni e tutti i veri maestri, era convinto che la scuola dovesse innescare scintille negli allievi perché ciascuno vi potesse accendere il suo fuoco interiore.  "Non è facile", riconosce Lorenzoni alla fine del film documentario, ma è l'unica cosa che veramente dà o dovrebbe dare senso alla scuola: "dobbiamo provarci, per dare a tutti la possibilità di bruciare".