Forse non è difficile capire la logica con la quale è stato costruito l’articolo pubblicato mercoledì 11/11 sulla edizione torinese di “la Repubblica”.
Vediamo. Le evidenze in neretto sono nostre.
Sotto il titolo: “La 'dad' supera l'esame all’Università” è stata inserita la tabella riassuntiva dei risultati di una indagine, che pubblichiamo qui a lato.
La domanda che ci si pone scorrendo la tabella è: dov’è la promozione?
Al primo punto di capisce che il 76% dei docenti è soddisfatto della propria esperienza di didattica a distanza. Non della DAD.
I docenti sono chiari:
Perciò il 76% è soddisfatto di se stesso e del proprio lavoro, mentre esattamente il restante 24% non è riuscito ad attivare la DAD in tempi rapidi.
È questa dunque la lettura corretta dei dati? Altre risposte alimentano forti dubbi.
Come fa il 76% ad essere soddisfatto della dad se il 41% non vede l’ora di tornare alla situazione precedente, senza mantenere niente dell’esperienza della didattica a distanza?
Anche il complementare 58% la pensa come “forma mista”, di integrazione. Non si è indagato sul rapporto tra parte in presenza e parte a distanza. Solo questo dato avrebbe potuto chiarire il pensiero dei docenti.
Infine gli studenti, Anche loro, a giudicare dal titolo, promuovono la dad. E da cosa si ricava? Dalla percezione dei docenti che hanno rilevato, per il 69%, che il numero di coloro che hanno partecipato alle lezioni è rimasto invariato o è addirittura aumentato.
Ma è serio tutto ciò? Che "Repubblica", la Fondazione Agnelli, il gruppo Gedi (di proprietà della famiglia Agnelli) siano in campo per spingere verso una trasformazione tecnologica della scuola - si veda il loro partenariato con Google - è un dato. E non credo sia per il bene della scuola e delle future generazioni, se si alleano con Google.
Tuttavia, interpretare dei dati a proprio uso e consumo, su una tesi precostituita, è informazione?