Home - la rivista - oltre la lavagna - In ricordo di Daniela Bertocchi

testimonianzeoltre la lavagna

28/11/2017

In ricordo di Daniela Bertocchi

di Chiara Lugarini

28 novembre 2017

Agli amici, alle amiche, ai colleghi e alle colleghe di Daniela, agli zii, a chi l'ha conosciuta come la mia mamma...
Anche quest'anno in allegato testi-pensiero per condividere insieme il ricordo di Daniela Bertocchi. 

In questo tempo in cui l’indifferenza verso gli altri uomini e le altre donne sembra aumentare anziché diminuire, senza che ci si interessi di ciò che loro accade, lontano o vicino a noi che siano, ho scelto per ricordare la mamma due brani che lei avrebbe certamente apprezzato e forse scelto per parlare agli adulti e ai ragazzi del valore di guardare non solo a sé, ma soprattutto agli altri. In questa direzione  mi ha cresciuta e certamente Daniela si è sempre spesa anche nel suo lavoro, nella sua cerchia di amicizie. Spesso questa indifferenza e questo chiudersi a chi non è come “noi” , a chi non è “di noi” mi sembra avere la meglio, ma il pensare a lei mi ricorda che è bene non lasciarsi sopraffare e sforzarsi di andare in direzione contraria. 

E' con la sua comunità di affetti e di lavoro che mi piace ricordare questo suo voler cercare i modi per attraversare i confini e costruire relazioni. 


“Musa mi dà il benvenuto con l’augurio che i miei piedi si trovino al di sopra dei suoi occhi. Si accomiata dicendomi: “Che i tuoi occhi siano pieni di luce”. Dicono che la famiglia di Musa mangi i cadaveri e rubi i bambini. Musa ride e tace, perché che cosa si può rispondere a questo? Tiilha, zia di Musa, predica il futuro, ma alla propria famiglia non ha dato consigli. A Kabul, nella via chiamata Choroikarga, si è accampata la famiglia di Musa, a cui i talebani hanno ucciso il figlio perché non voleva andare con loro in battaglia, e in un batter d’occhio la famiglia ha fatto i bagagli per lasciare il luogo del fattaccio e non perdere altri figli, scantonando come animali braccati pur di far perdere le tracce. (…) Musa è uno jugi, a volte per rispetto, un po’ esagerando lo chiamano kuchi. Di certo è uno zingaro afghano. Ma Musa non fa prostituire la figlia per una vacca, le insegna invece a leggere il Corano. Come Leibar, il mio vicino di casa nelle periferie di Kabul. Laibar è un vero kuchi ed esercita la funzione di capo clan. (…) Hanno perso tutto Musa e Laibar, lo zingaro vagabondo e il signore delle greggi. Oggi, pari a pari, vivono entrambi negli slum. All’alba cercano lavoro ai mercati, spesso tornano a mani vuote. (…) La figla di Laibar Bibi Haua impara il Corano, il figlio piccolo fa i conti di matematica, il padre insegna quel che sa. Niente scuole nelle baraccopoli di Kabul, tanto da lì fra poco li cacceranno”.

Monika Bulaj, Nur. La luce nascosta dell’Afghanistan


“Mare nostro che non sei nei cieli
e abbracci i confini dell'isola e del mondo
sia benedetto il tuo sale
sia benedetto il tuo fondale
accogli le gremite imbarcazioni
senza una strada sopra le tue onde
i pescatori usciti nella notte
le loro reti tra le tue creature
che tornano al mattino
con la pesca dei naufraghi salvati.

Mare nostro che non sei nei cieli
all'alba sei colore del frumento
al tramonto dell'uva di vendemmia,
Ti abbiamo seminato di annegati
più di qualunque età delle tempeste
tu sei più giusto della terra ferma
pure quando sollevi onde a muraglia
poi le abbassi a tappeto.
Custodisci le vite, le visite cadute
come foglie sul viale.
Fai da autunno per loro
da carezza, da abbraccio, da bacio in fronte di padre e madre
prima di partire”

Erri De Luca