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c'era per noioltre la lavagna

19/05/2017

Tutta un’altra scuola

di Rosanna Angelelli

Il 16 maggio scorso i decreti attuativi della L 107/2015 sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale. Di tutte le critiche che “insegnare” e il Cidi hanno fatto alla legge ben poco sembra essere stato accolto, e questo non solo per la caparbia difesa dei governi Renzi e Gentiloni, ma anche per ciò che abbiamo sempre sostenuto: che è l’impostazione generale della legge,   apertamente classista e rigida,  ad averla resa sostanzialmente immodificabile, tanto che i decreti attuativi,  a nostro parere veri e propri “derivati tossici”, anziché migliorarla l’hanno peggiorata o ulteriormente pasticciata.
E di questo avremo modo di parlare, analizzando i singoli decreti così come abbiamo fatto dell'intero iter delle "deleghe" alla 107.

Anche nella prospettiva della ricaduta negativa  della legge in una scuola pubblica in grave difficoltà, abbiamo inteso seguire i lavori di un incontro organizzato a Roma il 12 maggio da Sinistra Italiana (d'ora in poi SI) che fin dal suggestivo titolo pareva porsi in un'ottica del tutto alternativa a ciò che sta accadendo: “Tutta un’altra scuola”. 

Abbiamo avuto conferma che la scuola cui guarda SI ha un profilo evidentemente diverso rispetto a quello delineato dalla L 107; essa, a parere di Alba Sasso che ha coordinato le tre tavole rotonde dell’incontro,  si confronta, si costruisce e si qualifica su saperi complessi e autonomi rispetto a quegli obbiettivi economici e finanziari dell’attuale governo e di quelli precedenti, che ne hanno sfigurato profilo e orizzonti, forzandoli verso compiti  di prosaica realtà e un accademismo culturale classista. E tutto questo sta avvenendo  con risorse “asfittiche”, dopo i gravissimi tagli del passato, e con un reclutamento professionale inadeguato perfino a sostenerne la sussistenza istituzionale: perché la scuola democratica è naturalmente inclusiva, la sua organizzazione poggia su linee pedagogiche conformi a principi e valori democratici nazionali imprescindibili, pena la vitalità stessa del suo sistema.

 Per Claudia Pratelli, responsabile delle politiche scolastiche di SI, la selezione è il profilo portante della riforma e del sistema di reclutamento dei docenti in essa delineato. Questa riforma è oltre tutto contraddittoria anche in quei pochi aspetti di novità che contiene: il potenziamento e la riduzione del disagio a partire dalla scuola dell’infanzia (progetto 0-6) sono minati nella loro attuazione futura dalla inadeguatezza del reclutamento del personale per numero e formazione specialistica. In nome della selezione si divaricano e si riducono  i percorsi di studio nell’istruzione tecnica e professionale, per non parlare del mantenimento della bocciatura e dei voti numerici a partire dalla primaria. Indicatore di selezione è anche la chiamata diretta degli insegnanti da parte dei DS  (una specie di caporalato divisivo), mentre  l’alto costo della formazione per i potenziali docenti e quello in genere degli studi universitari (ci si lamenta poi che i laureati siano pochi!) completano l’iniquità del quadro generale. Sull’alternanza scuola/lavoro, esperienza  diventata obbligatoria per tutti gli indirizzi scolastici superiori, Pratelli precisa  che la selezione si manifesta, prima ancora che nella diversa qualità dei potenziali percorsi extrascolastici, nelle differenti  realtà produttive e nella diversa fisionomia sociale dei territori del nostro Paese. Un abuso vero e proprio si sta realizzando in quelle forme di addestramento gratuito già in atto, dove un eventuale insuccesso formativo non è mai imputato a una svalutazione dello studio e/o della qualità dell’offerta formativa complessiva,  ma al singolo ragazzo che “non ce la fa” o non è sufficientemente disponibile a “inquadrarsi”. In questo modo si conferma la visione politica  classista e selettiva secondo cui solo pochi istruiti eccellenti servano al sistema e possono essere tratti più facilmente da scuole e università private, questione che è stata sentitamente trattata anche da Anna Fedeli, uno dei discussant  della terza tavola rotonda.

 Nell’impossibilità di sintetizzare tutti gli interventi, segnalo i concetti esposti da alcuni partecipanti che mi sembrano i più significativi per delineare sia pure in controluce un’altra scuola. Nella prima tavola rotonda sui saperi – le altre due hanno riguardato rispettivamente:  inclusione e promozione;  autonomia responsabilità libertà- Andrea Ranieri ricorda i giudizi negativi mossi dai vari governi  alla  scuola attuale: di essere in ritardo sui saperi e sulle esigenze economiche del nostro tempo; di non disporre i giovani a compiti formativi adeguati alla definizione di “capitale umano” che la legge 107 usa per loro (etichettatura che sarà successivamente approfondita da Christian Raimo). A parere di Ranieri, invece, deve essere la società a dedicare più rispetto alla scuola per via del suo impegno costante a difendere i valori civili della convivenza, in primis l’educazione alla cittadinanza e all’integrazione. E la scuola fa tutto questo mantenendo ancora una struttura collegiale e cooperativa, che dovrebbe essere anche alla base di una cultura del lavoro qualitativamente alta. Ranieri non boccia la validità dell’esperienza scuola/ lavoro: proprio perché il lavoro è in crisi e l’imprenditoria italiana ha i suoi problemi, la scuola deve interessarsene, in modo criticamente costruttivo. Citando Dewey (“Un lavoro è educativo e formativo, se chi lo fa ne sa le conseguenze, altrimenti è schiavitù o servitù”), Ranieri ritiene che vada costruito un legame tra l’idea di scuola/lavoro e un grande piano di lavoro in settori effettivamente importanti. I protagonisti di questa sintesi dovrebbero essere gli Enti Locali e i sindacati e in questa rinnovata cultura si dovrà tornare al rispetto dei diritti calpestati, tra cui, per esempio, retribuire il lavoro socialmente utile.

Anche Giuseppe Bagni accoglie l’esperienza scuola/lavoro entro un quadro di riferimento rinnovato negli orizzonti sia per la scuola, che deve “guardare al futuro”, sia per il mondo del lavoro, che dovrebbe intercettare la curiosità e l’impegno dei giovani verso una formazione autenticamente innovativa. Invece vengono coinvolte nell’esperienza scuola/lavoro aziende disponibili, ma non sempre efficaci a fare una vera cultura della formazione, diversa da quella solo “orecchiabile” dalla riforma. Il lavoro dovrebbe diventare un laboratorio interno agli apprendimenti della scuola, con temi reali da smontare in più ipotesi. L’approccio dovrebbe diventare operativo sulla risoluzione di problemi e non sulla pratica di esercizi meccanicamente ripetitivi.

Per la studentessa Francesca Picci la riforma delinea una scuola come istituzione totale: valuta per punire e per discriminare; occupa il tempo libero dei ragazzi con compiti derivati da una didattica tradizionale impositiva. Anche l’introduzione dell’alternanza scuola/lavoro è conforme a una formazione “esterna” ai necessari saperi disciplinari e in funzione di un mercato del lavoro di cui non si analizzano fisionomia e condizioni: è un addestramento acritico. I saperi hanno una funzione utilitaristica, ci si informa non per migliorare la società e la vita, ma per inquadrarsi in uno schema dove l’orizzonte è lontano dai diritti di cittadinanza . Allora le domande sono: è possibile liberare un tempo per ciascuno? Costruire vere competenze trasversali? Svincolarsi dal sistema produttivo/valutativo debiti/crediti, dalle bocciature, dalle selezioni Invalsi? Picci conclude citando don Milani e il suo progetto di scolarizzazione a favore dei diseredati , dei saperi extracurricolari (per esempio l’approccio alla cultura contadina), dei saperi appartenenti alle risposte e alle esigenze dei protagonisti della scuola, cioè i giovani.

Simonetta Fasoli e Benedetto Vertecchi, discussant insieme con Christian Raimo della seconda tavola rotonda, concordano sul forte arretramento della legge rispetto alla pedagogia e alla didattica finalizzate all’istruzione e all’inclusione di tutti, i cui principi risalgono agli anni ’70. Per risolvere lo svantaggio -precisa Fasoli- bisognerà abbattere la tendenza della legge a burocratizzare le opportune scelte pedagogiche e didattiche, senza dare un valore assoluto alla formulazione di quei giudizi clinici asettici e spesso inesorabili fatti da esperti esterni alla scuola e con cui si giustificano l’entità dei finanziamenti da erogare. Il DS dovrà adottare una strategia efficace non subordinandola ai tagli ministeriali di spesa: il diritto all’istruzione non può essere mercificato, vanno incentivate tutte quelle modalità pedagogiche e didattiche che agevolano una migliore inclusione per tutti, tra cui, per esempio, la rottura della lezione frontale, a favore invece del laboratorio di ricerca azione cooperativa, organizzato per gruppi misti e su saperi trasversali. 

Vertecchi rileva che la trasformazione dei profili sociali sta esercitando una forte attrazione sui modelli educativi: si favoriscono adattamenti contingenti al sistema paese, miranti al successo, alla competizione, all’uso sfrenato delle tecnologie, a scapito di misure educative globali e di lungo periodo. Tutto questo comporta trasformazioni sia sul piano neuronico che espressivo dei giovani: si acquisisce troppo rapidamente per poter assimilare bene le informazioni e i significati, si abbassa il livello del repertorio verbale di base. Per restituire al bambino l’abilità manuale perduta Vertecchi auspica il ritorno alla scrittura a mano, e una ideazione/espressione linguistica più ricca e personale attraverso la scrittura quotidiana di idee e narrazioni. 

Christian Raimo adotta la diseguaglianza come parola chiave per evidenziare le ingiustizie sociali, le discriminazioni politiche e culturali dell’oggi. Sebbene la scuola sia sottoposta a un dibattito retorico sui suoi problemi da parte di scrittori (Tamaro), insegnanti scrittori (Mastrocola), giornalisti e saggisti (Galli della Loggia, Citati), i giudizi sono spesso senza dati, senza esperienza sul campo e senza adeguate conoscenze pedagogiche. Quattro sono gli aspetti i cui dati negativi descrivono bene le disfunzioni classiste: le lezioni private versus il recupero scolastico in sede, un guadagno in nero che sottrae alle casse dello Stato un miliardo e migliaia di euro alla famiglia dello studente; la dispersione scolastica , in aumento del 4,7% per un totale del 22% rispetto al 10% della media europea; i compiti a casa, che coprono un tempo di nove ore a settimana, tanto quanto in Russia, mentre in Finlandia le ore impiegate sono solo due, compiti che possono essere svolti non da tutti con il supporto di genitori colti e disponibili; il consiglio orientativo dopo la III media, arbitrario e inefficace tanto che il 47% degli adulti intervistati è pentito delle scelte successive. E a proposito delle scelte Raimo rileva che la scuola selezionando oltre tutto a vanvera anticipa la diseguaglianza della qualità dei lavori (quando ci sono!).

Nella terza tavola si sono affrontate le questioni di un nuovo reclutamento da parte di Giorgio Crescenza, latore di una proposta di legge di SI sull’argomento; dello svuotamento della collegialità, di un individualismo sempre più esasperato e divisivo nei genitori, della diffusione di un associazionismo “fai da te” sostitutivo della scuola su temi delicati, per esempio il bullismo, la sessualità ecc., da parte di Angela Nava. Infine Anna Fedeli e Nicola Fratoianni hanno concluso con una sintesi di riflessione-azione politica su tutte le varie questioni.

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