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05/02/2016

La scuola del “classico”: prima, durante e dopo il liceo

di M. Gloria Calì

Se si cerca sul vocabolario Treccani online il termine "classico", si trova una lunga serie di significati, che fa comprendere come la classicità sia una condizione che esiste in molti ambiti della attività umane, persino nello sport. Abbastanza comune a tutti i significati, è la caratterizzazione positiva di ogni settore in cui l’aggettivo può essere usato: “testo classico”; “bellezza classica”, “musica classica”… 
Nello stesso portale, se ci si sposta su "sinonimi e contrari" dello stesso termine, si trova conferma indiretta: i sinonimi di “classico” sono tutti legati all’eccellenza e al paradigma, mentre i contrari sono tutti legati alla stravaganza, all’allontanamento dal modello, dalla normatività. 
Se si pensa alla scuola, il “Liceo Classico” da qualche anno riflette sulla sua identità e sul suo significato formativo, investito da una crisi di “vocazioni”, certamente “agevolata” dal cambiamento culturale in atto nella società, meno disponibile a forme di conoscenza strutturata e approfondita. 

A Gennaio, poco prima che si aprano le iscrizioni, i licei classici di tutta Italia propongono la “notte bianca del liceo classico”, la cui idea originaria si deve, come forse pochi sanno, a un insegnante di un liceo di Acireale (CT). Per questo evento, i licei mettono in campo iniziative spesso di qualità: letture e drammatizzazioni, dibattiti e tavole rotonde; simulazioni e degustazioni… Attorno a questo evento si sviluppano le riflessioni, più o meno estese o autorevoli, che mi sembrano potersi aggregare su due idee essenziali: “il liceo classico non è solo latino e greco”, da una parte; “il latino e il greco sono alla base della nostra cultura e poi non sono così difficili”, dall'altra.
Ma allora, il latino e il greco, sono i veri “problemi” del classico? E cosa si deve pensare, che sono importanti o che non lo sono?

Si è discusso di questi temi e di molto altro a Palermo, dal 27 a 29 Gennaio, in occasione della presenza in città di Maurizio Bettini [1], il quale, sottobraccio al CIDI Palermo, ha parlato il primo giorno a una platea di oltre cento insegnanti, sottolineando finalmente una questione nodale: la scuola soffre di mancanza di “cultura classica” in senso ampio. Il problema della difficoltà di approccio degli studenti alla “lingua” classica è solo la superficie di una consuetudine diffusa dei docenti i quali sono troppo legati, nonostante tutto, alla trasmissione del sistema normativo delle cosiddette “lingue morte” (definizione che non ci piace) piuttosto che all’analisi della cultura di cui la letteratura è una delle voci, e che va avvicinata con la consapevolezza delle differenze, delle distanze.
Persino Machiavelli, ha ricordato Bettini, scrive che “il contatto con gli antichi è una conversazione”, in cui, aggiungiamo noi, ognuno porta il suo contributo e non ci si appiattisce in un senso o nell’altro.

Il tema dell’insegnamento della classicità a scuola è stato affrontato anche il 29 Gennaio, in un denso e polifonico pomeriggio organizzato di nuovo dal CIDI e dall’editore Palumbo presso il liceo “Umberto I” di Palermo, con il coordinamento di Mariella Rinaudo[2].
Qui Giusto Picone ha sottolineato ancora una volta come la cultura classica va studiata per individuare le differenze con il mondo contemporaneo, e per farci sorgere su questo domande di senso. A livello di istituzioni, ha sottolineato Picone, il problema della “crisi” degli studi classici non deve riguardare solo gli assetti o le offerte del liceo, ma va ripensata guardando anche al rapporto tra scuola e università: il senso della ricerca universitaria sta nel nutrimento della prassi didattica, e, viceversa, la scuola che non guarda al cammino della ricerca universitaria rischia di implodere su modelli autoreferenziali inadeguati.
Bettini, di seguito, ha fornito una riflessione sul termine “tollerare”, di grande attualità nel contesto attuale in cui si discute (e si muore) di accoglienza e convivenza, di diversità ed “eccessi di culture”, per usare un titolo di Marco Aime. I Latini, ha fatto notare Bettini, che tanto hanno offerto in termini di modelli a movimenti storici e culturali moderni e contemporanei, non avevano idea di cosa fosse la “tolleranza” ideologica o religiosa, poiché la loro lingua non comprende “tolerare” con un complemento che sia “idea” o “opinione” o peggio “differenza”.

Alle posizioni esposte sopra si è aggiunta, concorde, la voce di Alessandro Barchiesi, che ha evidenziato che gli studi classici non sono studi “solo” dei “classici”, ma mobilitano in realtà due soggetti: l’antico e il contemporaneo, in quanto il primo assume in realtà il senso che l’oggi gli conferisce. A riprova di questo, egli ha fatto riferimento al grande tema della “ricezione”, cioè del passaggio di elementi, testi, e altro della cultura classica nei romanzi moderni.
L’idea che il “classico” sia un modello a cui tendere, come spiega il vocabolario Treccani, è forse proprio responsabile della crisi degli studi classici, molto oltre l’aoristo terzo o il genitivo locativo. La distanza, storicamente fisiologica, tra il mondo antico e il contemporaneo va resa significativa in termini di ricerca di senso, non di perfezione irraggiungibile (e sterile) delle espressioni culturali: questo è ciò che emerge da tutte le conversazioni che hanno avuto luogo nella tre giorni palermitana. Il cordone non può e non deve essere reciso, ma, come ha ribadito Picone in un secondo intervento, bisogna trovare assetti di studio e fruizione della letteratura classica che possano risanare la relazione tra “padri” e “figli” culturali.

La riflessione sulla “conversazione” tra “gli antichi e i moderni”, trova oggi uno spazio di realizzazione nella rivista online "ClassicoContemporaneo" dell’editore Palumbo, i cui direttori sono Giusto Picone e Valeria Viparelli. Mario Palumbo, presentando la rivista stessa, ha sottolineato un aspetto importante della questione: gli studi classici e umanistici in generale sono stati considerati tradizionalmente “inutili”, un lusso da famiglie benestanti, a fronte di studi scientifici che, invece, per restare nell’ambito liceale, sarebbero considerati più “utili” nella prospettiva professionale; egli ha evidenziato quindi come questa visione forse va rivista, aggiornata, poiché questa faccia dell’aristocraticismo culturale, incentivato dagli stessi “addetti ai lavori” in ambito umanistico, ha fatto perdere credibilità e senso alle scelte dell’indirizzo scolastico.
La rivista, allora, aperta ai contributi e alle esperienze dei docenti, così come al mondo dell’università, si pone come spazio in cui, oltre la “notte bianca del liceo classico” e il “febbraio delle iscrizioni”, l’insegnamento, la ricerca e il senso stesso degli studi classici possano trovare nutrimento per vivere sani e prolifici.

Tutti gli insegnanti presenti agli incontri erano professori di liceo, tranne forse soltanto pochissime eccezioni; nei vari incontri, si è parlato del mondo classico come se comparisse dal nulla nel panorama delle conoscenze e competenze degli studenti, non prima del liceo o dell’Università, trascurandone la presenza nei percorsi didattici dei precedenti livelli scolari. Le "Indicazioni nazionali per l’infanzia ed il primo ciclo" (2012), invece, contengono il riferimento alla storia e alla cultura greco-latina, sia pure compresi in un quadro generale di approcci metodologici e didattici relativi allo studio della storia; tale disciplina, infatti, è quella che in modo più pieno può assumersi il ruolo di organizzatrice di un processo formativo verso la specializzazione liceale o universitaria e tale ruolo le spetta sia da punto di vista del metodo e delle finalità, sia in quanto aggregatrice di altri ambiti disciplinari, come ad esempio l’arte o l’educazione linguistica.
Nelle "Nuove Indicazioni" troviamo analoga impostazione generale di alcuni concetti cardine che i relatori citati prima hanno esposto. Bettini, Barchiesi e Picone, in vari momenti e in varia forma, hanno infatti evidenziato come la cultura “greca e latina” non si identifica soltanto con la sua lingua e la sua letteratura, ma con un universo di espressioni culturali che hanno valore solo se considerate nei rapporti reciproci; si parla, infatti di studi “umanistici”, meglio che “classici”; è quindi quanto mai opportuno allargare lo sguardo oltre il già citato malvisto aoristo, per includere tutte quelle testimonianze di civiltà che le "Indicazioni per il primo ciclo" compongono in un quadro composito e vitale:

Nel nostro Paese la storia si manifesta alle nuove generazioni nella straordinaria sedimentazione di civiltà e società leggibile nelle città, piccole o grandi che siano, nei tanti segni conservati nel paesaggio, nelle migliaia di siti archeologici, nelle collezioni d’arte, negli archivi, nelle manifestazioni tradizionali che investono, insieme, lingua, musica, architettura, arti visive, manifattura, cultura alimentare e che entrano nella vita quotidiana. La Costituzione stessa, all’articolo 9, impegna tutti, e dunque in particolare la scuola, nel compito di tutelare questo patrimonio.
Lo studio della storia, insieme alla memoria delle generazioni viventi, alla percezione del presente e alla visione del futuro, contribuisce a formare la coscienza storica dei cittadini.

Da notare il riferimento all’articolo 9 della Costituzione, citato proprio da Bettini o alla “coscienza civile” presente nei vari interventi, come sostanza ed esito della “conversazione con i classici”.
A proposito di conversazione, per dirla con Machiavelli, o di “comparazione”, per dirla con Barchiesi, Bettini e molti altri, lo stesso documento ministeriale esprime la necessità di un approccio alla storia non strumentale, mettendo in guardia dal pericolo della creazione di modelli come quello della perfezione e della “statura” del mondo classico: la formazione di una società multietnica e multiculturale porta con sé la tendenza a trasformare la storia da disciplina di studio a strumento di rappresentanza delle diverse identità, con il rischio di comprometterne il carattere scientifico.
[…] In particolare la conoscenza dei diversi e profondi legami, dei conflitti e degli scambi che si sono svolti nel tempo fra le genti del Mediterraneo e le popolazioni di altre regioni del mondo, rende comprensibili questioni che, altrimenti, sarebbero interamente schiacciate nella dimensione del presente. I due poli temporali, il passato e il presente, devono entrambi avere il loro giusto peso nel curricolo ed è opportuno che si richiamino continuamente.

Oggi la cultura classica è spesso relegata, nella scuola primaria, nelle poche pagine riservate ai pochi nuclei essenziali di conoscenza, in qualche caso stereotipati, e alla gita scolastica di maggio nelle aree archeologiche. Molte proposte didattiche, spesso significative, vengono dall’esterno della scuola: società e associazioni culturali propongono attività di “conversazione” con il mondo antico, prevalentemente attraverso il canale della cultura figurativa, nei musei e nei siti storici. Manca spesso la contestualizzazione dell’episodio extra moenia da parte del docente, che considera il laboratorio o la visita un “diversivo”, non una fase nel processo didattico.
Nella scuola secondaria di primo grado la cultura greca e latina scompare dall’ambito disciplinare della storia, per affacciarsi timidamente e per exempla solo nell’ambito dell’arte e immagine. In questo, forse, gli estensori delle "Nuove Indicazioni" avrebbero dovuto meglio definire una continuità “in verticale” della presenza degli aspetti culturali del mondo classico negli ambiti disciplinari, in modo anche da agevolare le connessioni trasversali in un ordine di scuola, il triennio della Scuola media, in cui il passaggio all’assetto per discipline può creare barriere nocive ai processi cognitivi e formativi degli alunni.
Allora proprio questo è il passaggio sul quale, forse, ampliare la riflessione, la ricerca e, ovviamente, la formazione dei docenti: l’intreccio di una “conversazione con gli antichi” che non conosca soluzione di continuità nella scuola del primo ciclo, che acquisti significatività nel confronto con l’oggi, che non conosca ostacoli nel coinvolgimento con gli “specialisti” del liceo e dell’università.

 

Note

1. Ordinario di filologia all’Università di Siena; il suo Antropologia e cultura romana (1986) ha avuto il merito di illuminare di luce e senso i testi classici e il loro mondo, oltre le aridità filologiche.
2. La registrazione integrale del pomeriggio, con tutti gli interventi, sarà pubblicata a breve sulla rivista online “ClassicoContemporaneo”.