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c'era per noioltre la lavagna

05/12/2022

"C’è speranza se questo 'accadde' al Vho"?

di Rosanna Angelelli

Può capitare ogni tanto a un insegnante nel corso del suo lavoro di provare stanchezza e sfiducia del suo stare in classe. La relazione educativa non entra in un circuito dinamico, la classe è silenziosa (“non disturba”), ma perché di fatto non partecipa, anzi teme l’insegnante-valutatore. A causa di questo increscioso stato d’animo un giovanissimo Mario Lodi pensò in un primo momento di andarsene via dall’insegnamento. Era all’inizio della sua esperienza  come supplente alle elementari (1940) e tuttavia, come scrisse lui stesso, qualcuno gli venne in aiuto: una ispettrice, che gli consigliò di orientarsi verso una pedagogia “attivista” e di aprirsi a una vita collettiva sia con le classi che con i colleghi. Nella fattispecie gli consigliò di attendere alla sua formazione studiando i testi dei pedagogisti più innovativi del primo Novecento, sia di area anglosassone (Dewey) che francese (Freinet) [1] e di mescolarsi con l’ambiente scuola, di sentire la scuola come fortemente integrata, correlata alla sua vita.
Più tardi, superata da partigiano la tragedia della guerra, Lodi confermò il suo interesse per la scuola procedendo tuttavia nell’insegnamento con graduale prudenza -la rottura con la scuola della “tradizione” sarebbe avvenuta solo dopo il ’68-, alla scoperta della cultura dell’infanzia, o per dire in modo più diffuso, di quelle caratteristiche espressive specifiche che ogni bambina e bambino porta con sé dalla nascita e più o meno istintivamente importa a scuola. Non si trattò per lui di incoraggiare l’infanzia ad aprirsi allo spontaneismo anarcoide, ma di fare esplicitare ai bambini quella pluralità espressiva del sé che essi possiedono come patrimonio identitario pre-scolare nelle varie attività: del gioco, del canto, del disegno, del fare, e, innanzitutto, del comunicare narrando e recitando[2].

Dello sviluppo dell’insegnamento di Mario Lodi a partire dal progetto educativo che l’Italia post-fascista aveva cercato di mettere in piedi nella scuola pubblica attraverso vari passaggi [3] si è trattato nel bel convegno “C’è speranza se questo 'accadde' al Vho - Mario Lodi a cento anni dalla nascita" organizzato per celebrare il centenario della sua nascita[4].
I passaggi dell’esperienza didattica lodiana sono stati accuratamente ricostruiti da Juri Meda in una ricerca a più voci organizzata dall’università di Macerata. E se Monica Galfré (università di Firenze) ha riflettuto sul doppio volto, tradizionale e innovativo della scuola italiana degli anni Cinquanta, cui per certi aspetti Lodi all’inizio si era uniformato, Elisabetta Nigris (università di Milano) ha commentato la caratteristica didattica di raccogliere ogni documentazione delle molteplici attività dei bambini (famose quelle riguardanti il settore editoriale, teatrale e grafico) affinché di loro si potesse ampiamente valutare la peculiarità di un  work in progress personale e di gruppo. Silvana Loiero (GISCEL), nell’ambito dell’educazione linguistica,  ha documentato con grande cura il fertile confronto tra Lodi e Tullio De Mauro occorso negli anni Settanta sul rapporto tra lingua di studio e linguaggio personale dei bambini, mentre Franco Lorenzoni si è soffermato con esempi sul “contesto creativo ricco di molteplici linguaggi” che ha prodotto tante attività.

Il titolo del convegno riecheggia quello della sua famosa opera diaristica [5], in cui Lodi raccontava le esperienze dei suoi primi dieci anni di maestro al Vho, la frazione di Piadena, dove ha insegnato dal 1956 per ventidue anni. Quell'opera divenne un punto di riferimento per l'innovazione pedagogica degli anni Sessanta e Settanta, fornendo alla sua attività un profilo tutt’altro che regionalistico [6] e fugando in questo modo ogni pregiudizio che un certo tipo di fertile insegnamento/apprendimento fosse stato favorito dalla presenza di un tessuto sociale meno complesso grazie alla piccolezza del territorio  e alla linearità della sua economia (quello contadino della provincia di Cremona alle soglie del Boom industriale).
In realtà Vho fu per Lodi un teatro di riflessione-azione pari alla Barbiana di don Milani e perché no, sia pure con le dovute e sensibili differenze, alla scuoletta di Versuta di Pasolini [7].

Dalla geostoria di queste piccole “periferie”, emerge la seguente scomoda verità: ciò che importa al buon esito della scuola della 
Costituzione non è tanto la fisionomia cittadina  di alcune scuole smart, dove l’azione educativa brilla spesso della luce di un riformismo di facciata e di una martellante kermesse mediatica pubblicitaria (e competitiva), quanto la sostanza concretamente liberatoria ed emancipante del progetto di politica scolastica portato avanti dal lavoro collegiale di insegnanti motivati e preparati, sebbene operanti in una cornice storica e in un territorio accidentato e problematico. Caratteristiche queste che dovrebbero delineare anche nel presente le responsabilità istituzionali della scuola pubblica italiana, purtroppo descritta come perennemente in crisi, indebolita com’è da un ossessivo proposito riformatore senza apprezzabili risultati di ciò che ci richiede davvero la nostra Costituzione. Notevole è la sfiducia in ciò che è pubblico, accentuata dalla scollatura tra scuola e società, tra scuola e famiglia e tra famiglia e giovani, come hanno rilevato Massimiliano Fiorucci, rettore di RomaTRE e Marco Rossi Doria, Presidente dell’impresa sociale “Con i bambini”.

Invece, ciò che conta è la forza delle idee e la messa in pratica graduale e tranquilla dei saperi, sostenuta dal sereno interscambio delle reciproche responsabilità e del reciproco apprendimento tra insegnanti e alunni, come ha pacatamente evidenziato Massimo Baldacci (Università di Urbino). Le intenzioni e le azioni di Mario Lodi sono state interpretate dallo studioso come conformi al profilo dell’intellettuale organico delineato da Antonio Gramsci e al proposito civile di formazione del nuovo cittadino democratico all’interno di un Paese che si era appena liberato.

Certamente la vita di Lodi si è mossa dentro la cultura del secolo scorso, riuscendone a cogliere tuttavia da acuto intellettuale attivamente impegnato nella concretezza del suo lavoro le contraddizioni sociali e culturali più significative del dopoguerra. Successivamente ci sono testimonianze, di suo pugno o di chi l’ha conosciuto o ha conosciuto la sua opera, di un suo motivato malcontento rispetto alla mancata o parziale risoluzione delle aspettative sul rinnovamento della scuola da parte di una esitante politica governativa, che non riusciva a rendere sistematiche o a completare le iniziative di cambiamento sia pure intraprese negli anni Sessanta e Settanta nell’ambito dell’obbligo. Il mondo dei passeri conculcati da uccelli più feroci del romanzo-fiaba educativo Cipì (1972) può essere senz’altro affiancato allo scetticismo di quegli anni mostrato anche da Sciascia e, in particolare, da Pasolini, nel film  Uccellacci e uccellini (1966).

Il convegno, pur nella sua ricchezza ha avuto tuttavia un limite: l’essersi fermato nella riflessione su Lodi alla fine degli anni Settanta e quindi il non aver preso in considerazione tutta l’attività da lui svolta dopo il suo pensionamento, un’attività culturale, editoriale e artistica intensissima con i bambini e per i bambini, in un continuo contrappunto creativo ed educativo con la cultura del periodo, in modo per niente semplice e a volte molto critico. Basti pensare al suo iniziale approccio alla cultura massmediatica, in particolare quella televisiva da lui dapprima attentamente studiata e applicata, ma poi messa al bando della formazione infantile per la sua progressiva superficialità di idee e di rappresentazioni. E poiché il convegno ha inteso porre una domanda di speranza in un futuro rinnovamento della scuola alla maniera del Vho, appare particolarmente appropriato il quesito posto da Lorenzoni ai presenti sul perché nel nostro Paese, nonostante il valore delle "Indicazioni Nazionali" per il Primo Ciclo, la pedagogia non sia riuscita  a trasformare il legame tra cultura giovanile e conoscenza.

Note

1. L’adesione alle idee di Célestin Freinet favorì l’inserimento di Lodi nel Movimento di Cooperazione Educativa (MCE), nato nelle Marche nel 1951 e tutt’ora impegnato a sostenere una scolarizzazione inclusiva e attiva, rispettosa dei diritti umani e delle finalità educative secondo la Costituzione. 
 2. Secondo Lodi la conversazione da parte di un bambino appena scolarizzato è una “vista della mente”, espressa nella così detta  lingua “di casa”, comprensibilmente diversa da quella “letteraria”. 
3. Ci riferiamo ai programmi del 1945 e quindi alla riforma dei cicli di Giuseppe Ermini (L. 1245/1957), da Lodi all’inizio del suo insegnamento attentamente studiata e applicata, e successivamente al suo praticare i modi di ricerca-azione e di una pedagogia popolare teorizzati dallo MCE, fino al rifiuto, alla fine degli anni Sessanta, della manualistica scolastica in uso, quello “stupidario” conformista e semplificatorio che aveva tradito le aspettative di un reale rinnovamento dei contenuti.
4.“‘C’è speranza se questo accadde al Vho’ Mario Lodi a cento anni dalla nascita”, convegno internazionale di studi, a cura di vari Enti e Associazioni tra cui Università degli studi di Roma TRE, Dip Scienze della Formazione, Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita di Mario Lodi, MCE, GISCEL, INDIRE, Roma 22 novembre 2022.
5. M. Lodi, C’è speranza se questo accade al Vho, Edizioni Avanti!, 1963; poi Einaudi, Giunti, ora Laterza, 2022.
6Come hanno testimoniato gli interventi di  due studiosi spagnoli, Sara Ramos Zamora, dell’università complutense di Madrid, che ha illustrato la ricezione della pedagogia di Lodi nella Spagna post franchista, e José González Monteagudo, dell’università di Siviglia, che ha commentato l’esperienza educativa del diario di Lodi Il paese sbagliato (1970).
7. A proposito delle difficoltà incontrate da alcuni scrittori  italiani insegnanti a inserirsi nella temperie scolastica degli anni Settanta si veda: Annamaria Palmieri, Maestri di scuolamaestri di pensiero La scuola tra letteratura e vita nella seconda metà del Novecento: Pasolini, Sciascia, Mastronardi, Aracne, 2015, e sempre a cura della stessa autrice, insieme con Antonella Tredicine, il recente Per una pedagogia emancipante-Pasolini con rustic amòur, Guida editore, 2022.

Scrive...

Rosanna Angelelli Di formazione classica, già insegnante di materie letterarie nei licei, è stata per anni redattrice di "insegnare".