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06/10/2016

Dacci oggi il nostro pane

di Rosanna Angelelli

1947: mio papà per motivi di sicurezza fu mandato in un paesino delle Marche a dirigere la lavorazione della carta filigranata su cui stampare soldi, documenti ecc. Prendemmo a vivere dentro la cartiera. A fianco della nostra abitazione, ricavata da ballatoi dismessi per l’asciugatura dei grandi cartoni, c’era la casa del maresciallo della Guardia di Finanza. Quando la carta filigranata veniva spedita a Roma sui camion, i finanzieri facevano da scorta armata. La Repubblica italiana stava cominciando anche così.

Per noi bambini fu un trauma: non andavamo ancora a scuola, ma venivamo dalla vecchia casa di mio nonno in città, aperta su un cortile tra gli orti, a contatto con una masnada di giovanissimi di ogni età (molti orfani) con cui correre, saltare, fare a nascondino, giocare alle signore ecc. I nostri giocattoli erano miserrimi. Inventavamo.

Un giorno a mia mamma dissero che le suore del convento avevano aperto un asilo. Mio nonno, maestro antifascista e acceso anticlericale, caldeggiò immediatamente la nostra iscrizione. Avremmo potuto, come si dice oggi, socializzare.

Ricordo l’asilo con grande nitidezza e soprattutto ho un ricordo vivissimo di ciò che mio fratello e io non avevamo ancora sperimentato: la mensa in comune.
Era un’occasione di grande entusiasmo. I miei amichetti provenivano per lo più da famiglie operaie, colpite dalla guerra, negli affetti e nel relativo benessere. Così si mangiava insieme con grande appetito e mio fratello, piuttosto schizzinoso, non faceva storie, come a casa.

Minestre di verdura, fagioli, lenticchie, pane nero, acqua, latte, poche volte la pasta, quasi per niente la carne. Ogni tanto, qualche scatoletta di una carne conservata americana che chiamavamo “cornebif”; oppure dei formaggini triangolari ricoperti di carta stagnola.  

La suora che controllava i nostri pasti era inflessibile sugli eventuali sprechi e sulle briciole di pane. Il pane era sacro e ripeteva un detto che era stato anche in bocca a mia nonna: “La madonna scese dall’asinello [durante la fuga in Egitto] per raccogliere una mollica di pane”.

Non mi chiedevo da dove traessero le suorine i soldi per quei cibi, ma ricordo che ogni tanto veniva nel refettorio il direttore didattico delle vicine scuole elementari, un proprietario terriero, con cesti di pomodori e di frutta: mele, castagne, noci. Ogni tanto veniva anche il sindaco. Una volta portò delle coperte di lana marrone con una striscia più chiara in fondo, di provenienza americana. Mio nonno invece, che aveva una grande manualità, preparava pantofoline di feltro utilizzando gli scarti della cartiera (tra feltri pressati si asciugavano i fogli di carta) e giocattoli di cartone.

Come dolce, ogni tanto ci veniva servita “la bandiera”, un surrogato di cioccolata a due strati, uno bianco e l’altro verde cosparsi di qualche candito rosso. Qualche volta, invece, ci servivano delle fette di pane bagnate in acqua e vino e cosparse di zucchero.

Ogni mattina (e l’evento poi si ripetette alle elementari), la suorina addetta ci dava un cucchiaio di olio di fegato di merluzzo: con questo si pensava di arginare la denutrizione e, soprattutto, le infezioni polmonari.

Mia mamma non ci dette mai del cibo diverso da portare a scuola: la mia famiglia aveva un forte senso comunitario.

Un giorno, Amilcare, un mio amichetto, mi offrì il suo formaggino: “Tiè, mi disse, pijelo, ché scì proprio macra!” In effetti io ero filiforme, ma non per fame. Lui era invece un ragazzino robusto e un formidabile corridore. Allungai la mano sbalordita dalla sua gentilezza… “Ma che sci scemu? Issa è ricca. Sci è macra è pecché nun vole magnà”. Chi parlava era una bambina, figlia di operai, che evidentemente conosceva la mia famiglia. Si prese lei il formaggino e se lo mangiò con aria di sfida davanti a noi due ammutoliti.

Tornata a casa, chiesi subito a mamma: “Ma io sono ricca?” E raccontai. Mamma rispose: “Non siamo ricchi, ma stiamo meglio di altri.”
Mio nonno, a sua volta, intervenne con una lunga spiegazione, da cui scoprii il disagio della miseria.

Da quella volta non mi feci avanti a prendere qualcosa in più della porzione assegnata. 

Scrive...

Rosanna Angelelli Di formazione classica, già insegnante di materie letterarie nei licei, è stata per anni redattrice di "insegnare".