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06/06/2015

Idee di scuola a confronto - Parte II

a cura di insegnare

Lasciamo in calce la parte già pubblicata di questo articolo, dal titolo Le idee che alimentano questo progetto di riforma - dedicata a interventi di Maurizio Ferrera, favorevole alla riforma, e di Franco Lorenzoni, contrario,  e occupiamoci invece di qualche altro interessante contributo.

 

 

 

 

​Parte II

“Renzi ha provato a replicare il modello usato con le imprese”.
Questa frase non è uno slogan di propaganda di qualche nostalgico conservatore di sinistra che accusa il Premier di neoliberismo antisindacale. È di Roger Abravanel che sul “Corriere della Sera” del 26.05.2015, in un articolo dall’eloquente titolo “Se la scuola trascura i suoi «clienti»”, afferma: “Matteo Renzi ha riformato la scuola secondo lo stesso principio applicato alle aziende per l’articolo 18. Ma la scuola non è un’azienda. E non perché la cultura non è un business, ma perché la scuola italiana non si preoccupa dei suoi clienti, gli studenti”. E per timore di essere frainteso (ma non c’è pericolo) spiega: “La logica di Matteo Renzi applicata alla riforma della scuola è la stessa del Jobs act: eliminare (o almeno ridurre) le ingiustizie a danno dei lavoratori precari, ma allo stesso tempo dare più potere ai loro capi (imprenditori nelle aziende, presidi nelle scuole) nella selezione della forza lavoro: gli imprenditori possono licenziare chi lavora male e i presidi assumere chi insegna bene”.

Dunque non è la sinistra sindacale e politica a vedere, nella "Buona scuola”, temendolo, il tentativo più o meno rozzo di applicare teorie e ricette di stampo neoliberista! Ma è un loro paladino a dolersi che non ci riesca appieno! Del resto non è un mistero che la “Buona scuola” di Matteo Renzi abbia preso più ispirazione dai libri e dagli articoli di Abravanel (e dal suo mito Tony Blair) , dai documenti di Treellle di Confindustria – questi ultimi per altro spesso molto più sensati e competenti di quanto si legge nel Ddl, seppure di eguale orientamento - che dalle elaborazioni politiche, culturali e professionali di chi nella scuola da anni lavora e si impegna per migliorare davvero le cose. Ci si potrebbe chiedere perchè questo accade e se sia davvero da parte del Premier una scelta sensata e lungimirante, ma negarlo ci sembra abbastanza inutile e anche un po' meschino.

La scuola è la nostra identità collettiva. Tuttavia, ogni volta che si parla di scuola in Italia, gli italiani escono dal campo da gioco ed entrano in campo i “sindacalisti della scuola”. Noi vogliamo cambiare il paradigma, ma anche il suo racconto, “desindacalizzandolo”. […]
Assumiamo chi serve alla scuola. E dal 2016 per la prima volta a dirci quali cattedre dovremo mettere a concorso non saranno conti di funzionari ministeriali (spesso sbagliati, come dimostra l’alto numero di idonei senza cattedra per l’ultimo concorso), ma le scuole. Ogni scuola ci dirà quali docenti mancano per la propria offerta formativa e noi indiremo il concorso sulla base delle loro indicazioni. E’ il tassello di un mosaico più grande, un mosaico che racchiude il percorso che stiamo facendo per cambiare il futuro del paese a partire dai luoghi in cui questo futuro gemma e cresce.
[...]
Dietro i banchi deve crescere la consapevolezza del nostro patrimonio artistico e culturale e con questa l’orgoglio per il nostro genio. […] Abbiamo presentato un emendamento che introduce tra le deleghe del ddl “La Buona Scuola”, che riguarda il potenziamento della formazione nel settore delle arti e del Made in Italy in tutti i cicli e i gradi della scuola. Vorremmo che le scuole – da sole o in rete – dialogassero con soggetti terzi per apprendere le specificità italiane legate all’alta qualità artistica, culturale, artigianale e per spendere queste nuove competenze nei settori di ripresa della nostra economia. [...]
Pensiamo di realizzare al Miur una cabina di comando che finalizzi le risorse comunitarie su progetti che legano la scuola al Made in Italy. Da questo punto di vista Indire, l’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa, può diventare “l’Invitalia” del ministero dell’Istruzione, per l’esperienza maturata e per la capacità di proporre progetti innovativi che cambiano la didattica tradizionale, collegandola di più al mondo del lavoro e alla società, per realizzare questa missione del governo nazionale che investe sul futuro del paese. Basta risorse sperperate come i coriandoli. Un’unica grande missione, le ricchezze italiane nel mondo, su cui canalizzare le risorse comunitarie e non.
  [...]
L’autonomia scolastica, architrave del disegno di legge in esame alla Camera, va in questa direzione: c’è un dirigente scolastico che è responsabile dei risultati della sua scuola e per questa sceglie il meglio (offerta formativa, docenti, relazioni con il territorio) nell’ottica di formare ragazzi forti dei tratti identitari che tutto il mondo ci invidia, ma anche in grado di coniugare la tradizione con l’innovazione. In grado di immaginare un futuro e di cominciare a praticarlo. […] In un unico documento abbiamo raccolto tutti i fondi e i finanziamenti alla ricerca, nazionali e comunitari. Ambiente, salute, patrimonio, tecnologie, innovazione… Ogni ambito di ricerca è stato ricompreso in un orizzonte di azioni e di programmazione, inserendo anche in questo caso il brand Made in Italy, sigla del talento italiano, che ci rende competitivi nel mondo e che il mondo ci chiede.
[…]
Certo, la sinistra ideologica è pronta a gridare allo scempio, a dire che il rapporto tra scuole e imprese rischia di rendere la prima subalterna e schiava della seconda, qualcuno ci ha detto che abbiamo consegnato le chiavi della scuola a Marchionne. Conservatori. Noi finalmente facciamo dialogare mondi che inspiegabilmente finora sono stati separati. Creiamo sinergia. Abbattiamo steccati. E’ un cambiamento rivoluzionario, ne siamo consapevoli. Eppure fare un investimento di fiducia sul futuro, mettendo a frutto le risorse che abbiamo per natura e per tradizione, è un atto dovuto per i nostri ragazzi. Il coraggio per compiere il salto non ci manca. E non manca neanche agli italiani.
Da D. Faraone, “La Buona scuola è più di una riforma, è made in Italy di idee”, "Il Foglio", 9.05.2015. 

 

Del resto, basterebbe leggere l’articolo di Davide Faraone, apparso su "Il Foglio" il 9.05.2015 “La Buona scuola è più di una riforma, è made in Italy di idee”, (sommario: “Autonomia, responsabilità, valutazione. Scuola e lavoro. Stiamo mettendo insieme mondi che erano separati” ), per avere un folcloristico repertorio delle idee guida di questa riforma; ne forniamo qualche stralcio a lato, ma suggeriamo la lettura integrale: solo così si può capire quale destino possa davvero toccare alla scuola italiana se non si arresta questo processo!

L’intervento di Faraone è ampiamente riportato da Christian Raimo, in un ampio, interessante e documentato articolo apparso il 4.06.2015 su “Internazionale” dal titolo “Cos’è che proprio non va nella buona scuola”; giustamente chiosa Raimo: “L’impressione che un insegnante o un genitore qualunque ne ricava è che Davide Faraone non abbia la minima idea di cosa è stato e cos’è il dibattito sulla scuola, da un punto di vista scientifico, pedagogico, sociologico; e che applichi in modo approssimativo alcune categorie dell’industria culturale a questioni che avrebbero bisogno di ben altra conoscenza e visione”.
Noi temiamo che non solo non ne abbia la più pallida idea, ma che non gliene importi nulla, anzi si faccia un vanto di ignorarlo, poiché si pone antropologicamente (come ben si argomenta più avanti nell'articolo di Raimo) su un terreno diverso, di intervento salvifico e "rivoluzionario", per citare una parola che Faraone usa con ostentata disinvoltura...
E chiude Raimo la sua constatazione con una efficace immagine olfattiva: “Quest’aria di ‘innovazione’ e di ‘modernizzazione’ puzza di colla scaduta, e non si capisce come Faraone stesso non se renda conto”. E forse non sarebbe male ricordare che talvolta sono odori che producono allucinazioni… ad ubusarne!

Christian Raimo propone, accanto a questo articolo di Faraone, la lettura di un altro intervento che nelle settimane scorse ha fatto un certo rumore. Quello di Marco Lodoli che, su "la Repubblica" del 22.05.2015, "Marco Lodoli e la buona scuola" (leggi dalla rassegna stampa Treccani),  racconta di aver fatto parte dei gruppi di lavoro che hanno prodotto la "Buona scuola" e di essere addirittura responsabile del conio del suo nome, o meglio "brand", come direbbe Faraone.
Così  Raimo sintetizza l’articolo di Lodoli: "Secondo il racconto lodoliano, i professori sono restii non solo alle novità ma all’idea stessa che qualcosa possa cambiare: scottati da troppe riforme zoppe e promesse non esaudite, ora si trincerano in un’opposizione tutta pregiudiziale, incapaci di riconoscere gli aspetti progressisti di questo disegno di legge”. E anche sul lamento di Lodoli vale la sua chiosa: “Se la scuola di Davide Faraone sembra essere stata colonizzata da truppe di scaltri sindacalisti all’arrembaggio, quella di Lodoli è popolata solo di macchiette, muffite e sclerotizzate nelle loro convinzioni e abitudini”.
L'immagine dell'insegnante che veleggia sui media, per altro, è da sempre un condensato di stereotipi, cui manca il missionario folgorato dal suo alto compito di redenzione degli oppressi dall'ignoranza e dalla povertà, e il quadro sarebbe completo! Scarseggia sempre la visione di un professionista collettivo responsabile del suo duro mestiere, ma è anche colpa nostra non aver saputo imporlo, nei fatti e nelle sue "narrazioni" come si suol dire.

L’articolo di Raimo, poi, raccoglie e commenta una serie di altri interessanti contributi molto critici nei confronti della riforma e della volontà di asservire la logica della scuola a quella dell’impresa, facendo leva su un uso pervasivo e selettivo della valutazione, delle prove Invalsi, dell’enfasi sul rapporto scuola/lavoro, del paradigma stesso delle competenze, dell'intero linguaggio, che molti stigmatizzano da anni, della progressiva aziendalizzazione della scuola pubblica.
Sono questi i temi di estrema importanza che ci piacerebbe poter affrontare, in uno scenario che sia però liberato dalle frenesie iconoclaste del governo e di alcuni suoi esegeti, così come da resistenze aprioristiche, e sia restituito a una progettualità che sappia riscrivere le finalità e i criteri di un impianto educativo fondato sul riequilibrio fra acquisizioni culturali e identitarie dell’allievo quale soggetto reale e vero nel presente e, al contempo, quale ipotesi credibile di persona, cittadino e produttore per il futuro. Su questi terreni, è vero che abbiamo bisogno di uscire dai retaggi degli slogan e delle false illusioni. Ma non è certo la “Buona scuola” che ci permetterà di farlo. Anzi!
Anche la "Buona scuola" guarda al futuro, ma forse non è corretto dire che ne immagina un processo di aziendalizzazione; qui siamo a un livello per certi versi sussidiario anche nella scala gerarchica dei valori liberali: siamo alla commercializzazione del patrimonio ideale, culturale ed educativo di una nazione ridotto a merchandising! Più che la scuola azienda o la politica spettacolo siamo di fronte a un raro esempio di sistema scolastico pubblico in saldo!

 


Parte I

Le idee che alimentano questo progetto di riforma 

Si legge nell'articolo di Maurizio Ferrera...
Una vera riforma deve proporsi di incidere sui pilastri portanti del nostro sistema d’istruzione. La posta in gioco è altissima e ha a che fare con la capacità dell’Italia di entrare nel ristretto club delle «società basate sulla conoscenza»: le sole che, nel Vecchio Continente, riusciranno a garantire prosperità, occupazione e, al tempo stesso, eguaglianza di opportunità e inclusione sociale. La chiave di questo passaggio sono le competenze dei giovani, lo spessore e la varietà della loro preparazione culturale. Oltre e forse più delle nozioni, conteranno le abilità logiche e di ragionamento, la capacità di riconoscere problemi complessi (inclusi i conflitti di valore), la rapidità di apprendimento. Ciò richiede un cambiamento davvero epocale nel modo di fare scuola. I programmi ministeriali uguali per tutti, la rigida separazione fra materie e percorsi, le lezioni ex cathedra , i moduli educativi standardizzati: tutto questo va rimesso in discussione, per molti aspetti superato. Come ben documentano le ricerche della Fondazione Agnelli, in molti Paesi Ue la rivoluzione formativa è già bene avviata. Nel Nord Europa la scuola pubblica sta acquisendo un ruolo quasi più importante del welfare. Non solo perché alimenta l’economia della conoscenza, ma anche perché garantisce chance di mobilità per gli studenti più svantaggiati. Contrastando così quelle spinte verso la polarizzazione fra classi e fasce di reddito che inesorabilmente si accentuano nelle fasi di transizione da un modello economico-sociale a un altro. Considerando quest’ultimo aspetto, per l’Italia la scommessa della scuola ha anche un significato politico. L’istruzione statale deve continuare ad essere percepita come bene comune di tutti gli italiani.
da M. Ferrera, "La scuola non è solo una legge".   
Segue sul "Corriere della Sera

Da giorni andavamo cercando una posizione favorevole al Ddl che non si limitasse alla propaganda mediatica di supporto al dibattito parlamentare. Ieri l'altro è uscito sul "Corriere della Sera" un articolo di Maurizio Ferrera, Professore ordinario di Scienza Politica presso la Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali (SPES) dell’Università degli Studi di Milano, dal titolo "La scuola non è solo una legge". È un articolo interessante, fatta salva la concessione al ballon d'essais, sintetizzato nel sottotitolo ("Perché non c’è dibattito sui temi importanti e tutto è ridotto ad una vertenza sindacale"), che riconduce al presunto e ottuso conservatorismo sindacale l'aver trasformato il confronto sulla scuola in una nostalgica bagarre contrattuale, mentre verità dei fatti vorrebbe che si dicesse che è stato il Presidente el Consiglio che ha privilegiato temi contrattuali rispetto a quelli educativi nell'idea stessa di "Buona scuola" e poi nel Ddl, e che questo rappresentta uno dei suoi obiettivi politici più evidenti, nonchè il vero vizio d'origine di tutto l'impianto della sua "riforma": un tentativo di decontrattualizzare la scuola che si disinteressa totalmente di che cosa significa davvero fare scuola per aprire un contenzioso con i sindacati sulla pelle di presidi, insegnanti, famiglie e studenti.  Maurizio Ferrera, proprio perché esperto "di politica comparata e analisi delle politiche pubbliche" (si legge nel suo profilo), dovrebbe sapere che questo è il vero fine strategico di tutta l'operazione (per altro più volte ribadito dallo stesso Renzi) e che non sono stati certo i sindacati a voler mettere in campo questi temi e in questo modo: stabilizzazione del precariato (imposto dall'UE), ruolo dei dirigenti, carriera e valutazione dei docenti sono gli architravi della "riforma" del Presidente del Consiglio e il mondo della scuola ha risposto il 5 maggio dicendo "No grazie", non per conservatorismo ma perché sa che quella è una strada non prioritaria e sbagliata per far bene alla scuola e cambiarla davvero in meglio.
Ma torniamo all'articolo di Maurizio Ferrera. Lo citiamo e invitiamo  a leggerlo perché non appartiene al fronte più smaccatamente meritocratico e familistico, che auspica una progressiva riduzione della dimensione "pubblica" dell'istituzione scolastica a vantaggio della libertà di scelta educativa delle famiglie e della progressiva liberalizzazione di tutte le relazioni interne ed esterne al sistema scuola o che tende a dimenticare che l'autonomia  "costituzionale" delle scuole è funzionale e strumentale al raggiungimento di fini comuni e pubblici e non può essere piegata a istanze e bisogni di gruppo o men che meno di fede o di censo. E neppure di territorio.
È invece un contributo che vede nel Ddl la possibilità di meglio rispondere alle esigenze moderne e democratiche dei sistemi scolastici dell'Occidente; o almeno l'inizio di un percorso che deve portare lontano e nel rispetto di una concezione istituzionalmente pubblica della scuola. Le idee esposte nell'articolo (vedi riquadro a lato e a seguire l'intero testo) delinenano un'idea di scuola in buona misura  condivisibile ma riconoscono a questo Disegno di legge il merito di aver avviato un processo che consentirà di migliorare la nostra scuola e i suoi risultati.

Si legge nell'articolo-intervista di Franco Lorenzoni
Io credo che scuola, oggi, più che di un’ennesima malariforma raffazzonata abbia bisogno di formazione, di tanta formazione di qualità, che sia soprattutto autoformazione. Per provare ad innovare credo che la via maestra dovrebbe essere quella di dare spazio e respiro alle buone pratiche portate avanti da insegnanti impegnati e persuasi che, giorno dopo giorno, propongono a bambini e ragazzi una didattica che prova ad includere davvero tutti. Se fossimo un paese serio, più che di riforme improvvisate, di cui la scuola non ne può più, dovremmo attivare un lungo e radicale processo riformatore della durata di minimo 10 anni, in cui pezzo a pezzo ripensare tutto il sistema di istruzione a partire dalla didattica, che è il fulcro di ogni azione educativa. Ma per attivare questo processo virtuoso e moltiplicare le sperimentazioni sul campo che una minoranza di insegnanti conducono con tenacia, il principale ostacolo è mettere i docenti gli uni contro gli altri, che sembra la conseguenza principale a cui porteranno i veleni contenuti nel pessimo disegno di legge uscito dalla Camera dei deputati. Se esaminiamo con attenzione i dati delle indagini più attendibili, si scopre che le scuole che funzionano meglio sono quelle in cui c’è maggiore collaborazione tra docenti, in cui un buon numero di insegnanti riescono a lavorare in gruppo costruendo a fatica frammenti significativi di quellacomunità docente, che è fattore indispensabile per tentare un rinnovamento radicale della didattica, di cui tutte le scuole hanno fortemente bisogno. Il problema è che questa formazione continua in servizio dovrebbe portare, poco a poco, a dare vita a gruppi di ricerca e sperimentazione, perché nella scuola, per lavorare bene e rispondere con efficacia ai tanti bisogni sociali che premono dal territorio, si devono condividere le difficoltà e lavorare in gruppo. Da soli non ce la si fa. 
Da F. Lorenzoni,  "Contro la malariforma che avvelena la scuola"segue su "Left"

Le idee di chi contrasta questo progetto di riforma
Noi siamo invece convinti dell'esatto contrario: che questo Ddl non individua con coerenza le cose che la scuola deve essere e deve fare e, soprattutto, mette in campo questioni e solleva tensioni che nuoceranno profondamente alla vita delle nostre scuole.
Il fronte di chi si oppone al Ddl  ha provato  a dirlo in tutti i modi possibili, ma spesso ne ha solo ricavato stizzite reazioni, accuse di arroccarsi soltanto sui NO , di conservatorismo egualitarista o patetiche riesumazioni di polemiche ostili alle idee della fine degli anni Sessanta di cui per altro già il ministro Gelmini era stata brillante paladina...
Proviamo a dirlo ancora una volta, attraverso il ragionamento e la proposta, citando e suggerendo la lettura di un articolo-intervista di Franco Lorenzoni, apparso su "Left" dal titolo  "Contro la malariforma che avvelena la scuola".
Giustamente, Lorenzoni - accanto alla finalità strategica di una vera formazione in servizio che si alimenti dal basso- richiama l'atmosfera collaborativa, la corresponsabilità di gruppo, il crescere insieme che caratterizza ogni progetto educativo che davvero voglia dirsi tale. Queste idee e posizoni vanno ribadite e difese non solo sul piano etico e valoriale affermando che un progetto educativo che si fonda sulla competitività, l'individualismo, il merito, l'ossessione valutativa è insano, nel senso di malato e nocivo. Ma vanno ribadite e difese anche nella prospettiva dell'efficienza organizzativa. Tutti gli studi seri, anche di management, ribadiscono come nei sistemi educativi non siano determinanti la divisione dei poteri, la competitività individuale e la capacità gestionale in senso stretto, ma la capacità di realizzare un'atmosfera collaborativa, di motivare le professionalità presenti nella scuola, di realizzare forme di leadership diffusa.
Il Ddl in approvazione in questi giorni resta grave per quello che dice e ancor più grave per quello di cui non si occupa, in primis della qualità del fare scuola quotidiano. Non a caso, Tullio De Mauro, che per i nostri lettori non abbisogna di presentazioni, nell'articolo-intervista al "Corriere della Sera"," Troppi silenzi dal Governo sulla scuola ma dico non alle barricate", ha ribadito che la maggior gravità del progetto renziano non sta solo in ciò che afferma ma soprattutto in ciò che omette.

Per altro, sulle barricate gli insegnanti - e davvero tanti - sono stati portati dall'ennesima proposta sbagliata della politica sulla scuola.
L'affermazione che molti docenti, da vent'anni, si oppongono a tutte le riforme paventate o avviate del sistema scolastico italiano contiene certamente del vero. Spesso però non ci si chiede se non sarà anche perché da vent'anni le scelte della politica (ahimé anche bipartisan, è vero) sono ispirate a principi e prospettive che non solo non servono a migliorare la scuola, ma spesso contribuiscono a danneggiarla. Bisognerà continuare a chiedersi perché, anche dopo che questo Ddl sarà approvato, anche se fare davvero una scuola buona sarà sempre più difficile...