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22/03/2017

L'inclusione è lo sviluppo di tutte le potenzialità

di Giuseppe Bagni e Rossanna Nencini

Il dibattito che si è acceso con la delega sull'inclusione ha avuto il pregio di far emergere la centralità del problema non solo per la scuola, ma anche a livello sociale, sollecitando gli interventi di numerose associazioni, tutte a diversi livelli coinvolte. È un dato che mette bene in evidenza la complessità del problema e la necessità di interventi significativi sostenuti da investimenti adeguati. Detto questo ci sembra importante mettere in evidenza aspetti che rischiano di apparire di secondo piano, ma che crediamo abbiano pari valore rispetto ad altri più dibattuti. In particolare le nostre perplessità sono legate piuttosto all’impatto che la delega avrà nella scuola, ossia alla capacità delle varie istituzioni scolastiche di agire l'inclusione nella quotidianità delle proprie proposte didattiche in classe. 

Ci convincono la finalità dichiarata dell’inclusione scolastica, ossia lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno; la valorizzazione delle strategie educative e didattiche intese come tramite fondamentale per la realizzazione di una significativa inclusione; l’impegno per la realizzazione dell’inclusione attribuito a tutte le componenti della comunità scolastica e, quindi, non solo all’insegnante di sostegno. La finalità fondamentale di ogni istituzione scolastica deve essere l’inclusione effettiva e non apparente di tutti gli alunni, inclusione che passa attraverso la valorizzazione della persona che entra nella scuola cresce e apprende attraverso di essa. 
Come giustamente sottolineava il documento ministeriale "Indirizzi per l’attuazione del curricolo", del 2001, “Il principio educativo della scuola è dunque la centralità del soggetto che apprende, con la sua individualità […] E’ la persona che apprende, la persona nella sua identità, con i suoi ritmi e le sue peculiarità, ciò cui la scuola deve sempre guardare per farsi capace di portarla il più vicino possibile all’acquisizione piena delle competenze…” .

L'educazione vale dunque per la persona, per ogni persona, con le personali abilità e disabilità. Importante è il forte richiamo alle “strategie educative e didattiche” finalizzate allo sviluppo delle potenzialità di ciascuno. Non una didattica qualsiasi, quindi, ma la ricerca di una metodologia didattica che possa contribuire in modo determinante allo sviluppo potenziale di ogni persona. Strategia didattica inclusiva, che per essere tale non può che essere sintonizzata con le motivazioni, gli interessi, le cognizioni, le difficoltà dei ragazzi che si hanno di fronte; riferita a contenuti che siano alla loro portata; condotta con pratiche metodologiche e relazionali che mettano l’alunno al centro della costruzione della conoscenza.

Fuori da queste direttive è difficile immaginare una scuola inclusiva anche per gli alunni normodotati. Riteniamo fondamentale sottolineare la corresponsabilità di tutte le componenti scolastiche verso l’inclusione degli alunni. Corresponsabilità non solo morale ma progettuale-operativa, da tradursi in un impegno sistematico e collegiale dei docenti nella progettazione degli interventi quotidiani rivolti al gruppo classe e, quindi, agli alunni disabili in esso inserito. Gruppo classe e alunni disabili, nella nostra esperienza, sono invece due entità spesso distinte, che si incontrano solo ogni tanto, in qualche attività ritenuta idonea, ossia semplice, “facile”. Spesso si assiste al realizzarsi di due percorsi scolastici che scorrono paralleli con sporadici punti di contatto significativi. La questione non è solo legata alla maggiore o minore permanenza in classe dell’alunno con difficoltà, ma attiene fortemente alle competenze del gruppo docente: insegnanti di sostegno e insegnanti curricolari, e quindi al significato da essi attribuito all’inclusione scolastica. 

Includere non significa stare nello stesso spazio facendo altro, ma offrire la possibilità a ognuno di sviluppare le proprie potenzialità avendo come riferimento gli stessi percorsi didattici all’interno dei quali ogni alunno, appunto, deve poter trovare spazi di crescita relazionale e cognitiva. In altre parole, spazi di sviluppo nel proprio processo di apprendimento che possono essere anche molto diversi, ma che si inseriscono in un vissuto esperienziale di apprendimento comune. È un compito di così elevata complessità da richiedere alte e specifiche professionalità, e qui nasce subito il primo interrogativo: la scuola nei suoi vari ordini è pronta ad affrontare questa complessità? Vi sono al suo interno competenze tali da sostenere l’avvio di un percorso di così elevato cambiamento? Come si intende sostenere o avviare le scuole ad affrontare tutto questo?

Il PEI scolastico e il Piano individuale dei servizi sociali comunali devono essere documenti integrati. Il PEI non è solo della scuola e gli interventi sociali non sono solo dei comuni. Entrambi si integrano e si completano a vicenda nella visione unitaria del progetto di vita. Questa logica delle multiprofessionalità e dell’integrazione professionale implica anch’essa metodi di lavoro e collaborazioni molto distanti da quanto accade in genere nella realtà. 
Anche qui si aprono scenari di grande interesse, ma di ampia complessità, e non solo per la mancanza delle risorse economiche e umane, quanto per le difficoltà effettive di confronto fra diversi soggetti professionali e fra enti culturalmente diversi. Anche in questo caso il rischio è che gli accordi formali non si traducano in reali cambiamenti in grado di migliorare davvero l’inclusione scolastica e sociale.

Troviamo importante che la qualità dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità sia parte integrante dei procedimenti di valutazione delle istituzioni scolastiche, ma ci preoccupa molto, invece, l'attuazione, tenuto conto di come molte scuole hanno trattato al ribasso lo strumento del RAV riducendolo a un problema di mera compilazione, di come queste risponderanno alla stesura dei protocolli sulla qualità dell’inclusione e di come redigeranno i rapporti di autovalutazione anche in relazione a questo specifico. 

Troppo spesso infatti i RAV sono stati redatti da commissioni che raramente hanno coinvolto i collegi in un dibattito aperto e significativo sulle questioni poste dal Rapporto di Autovalutazione. Questioni che se condivise nei collegi o in articolazioni degli stessi avrebbero potuto stimolare e arricchire il dibattito fra i docenti in merito a queste problematiche. Invece niente di tutto questo è avvenuto e in molti casi il RAV è diventato un mero adempimento burocratico di nessun effetto e ricaduta. Del resto questi protocolli, per essere vissuti nelle varie realtà scolastiche nel pieno del loro valore, dovrebbero far parte di un circuito virtuoso che chiede conto alla scuola delle modalità di compilazione e della rispondenza fra quanto riportato nel RAV e quanto realmente costruito nella realtà della propria scuola.  

L’integrazione esige qualità: di fatto ogni qual volta il livello di qualità si abbassa l’integrazione peggiora. "Vi è chi pensa che la facilità sia un elemento indispensabile per una scuola inclusiva, oppure che gli apprendimenti a forte connotazione concettuale siano un ostacolo per i disabili. Ma la qualità della scuola in relazione all’integrazione di soggetti in situazione di handicap, ha poco a che vedere con questi criteri, che segnalano caso mai pregiudizi forse anche dettati da generosità, ma anche da scarsa conoscenza, proprio nei confronti di questi soggetti”: di nuovo negli "Indirizzi per l’attuazione del curricolo" si sottolinea la necessità di alti profili di competenza sempre determinante in chi opera nella scuola e quindi, anche, in chi si occupa in prima persona della formazione di alunni disabili. 

La formazione iniziale e continua, con specificità profonde e una conoscenza adeguata delle esigenze degli alunni con disabilità, è condizione necessaria per la realizzazione di una positiva e concreta inclusione degli stessi. La specializzazione sulle singole disabilità non solo può contribuire a una definizione più funzionale e precisa del ruolo, ma offre l’opportunità di una ricerca e un approfondimento di competenze pedagogiche, didattiche e metodologiche specifiche, capaci di realizzare un supporto efficace ai docenti curricolari e agli Organi Collegiali nella progettazione, realizzazione, monitoraggio e valutazione di un’offerta formativa realmente inclusiva. 

Condividiamo appieno quanto sottolineato da Gianluca Rapisarda  su ScuolaOggi.org : “La sola specializzazione degli insegnanti di sostegno (anche con un numero congruo di ore), non è sufficiente a garantirne il successo scolastico e formativo, se non affiancata da un contesto veramente 'inclusivo' dove la pratica di una didattica inclusiva sia la norma e non un episodio occasionale. La nomina del docente per il sostegno con un numero adeguato di ore e delle solide competenze specifiche, pur rappresentando un sacrosanto diritto dei ragazzi e delle loro famiglie, da sola rischia di essere quasi inutile e di ripetere le 'distorsioni' e gli sbagli dell’attuale modello, che hanno finito per provocare i deprecabili fenomeni della deresponsabilizzazione dei docenti curricolari rispetto ai loro alunni con disabilità e della perversa delega al solo collega di sostegno dei loro insegnamenti e delle loro valutazioni. Soltanto se la prossima Delega sull’Inclusione promuoverà l’organizzazione di un contesto veramente accogliente e inclusivo, dove il Piano Annuale per l’Inclusività (PAI) sia parte integrante della progettazione, della didattica e della valutazione delle Istituzioni Scolastiche italiane e, dunque, anche dei loro Piani Triennali dell’Offerta Formativa, si potranno realisticamente garantire per ogni allievo quelle condizioni di pari opportunità nel raggiungimento del massimo possibile dei traguardi individualizzati e personalizzati d’istruzione, tanto decantate dalla recente normativa italiana."

Difficilmente una normativa, di per sé, sarà in grado di promuovere “un contesto scolastico veramente accogliente e inclusivo”. Non sono mancati in questi ultimi vent'anni buoni documenti che hanno investito la scuola, a partire dalla legge sull’Autonomia Scolastica, il Regolamento attuativo della stessa, le Indicazioni Fioroni e le Indicazioni attualmente in vigore (almeno per certi aspetti), le Linee Guida ed altri. Tutti documenti normativi che delineano una scuola completamente diversa da quella reale, che continua a ripetere inesorabilmente se stessa rimanendo ancorata sostanzialmente alle caratteristiche della vecchia scuola enciclopedica e trasmissiva, così poco accogliente ed inclusiva. 
Tuttavia accanto a una scuola che purtroppo finisce per fare resistenza esiste un’altra scuola che, pur assolutamente minoritaria, dà vita a gruppi di ricerca e sperimentazione e rappresenta una “piccola” scuola nella scuola; una realtà che ha costruito nel tempo un bagaglio prezioso di buone pratiche, che davvero sarebbero in grado di rendere ogni istituzione “un contesto scolastico accogliente e inclusivo”.  Quelle buone pratiche, inserite in percorsi didattici che realizzano i curricoli dei vari ambiti disciplinari, rappresentano strumenti potenti, modelli efficaci a cui riferirsi, per applicare concretamente i buoni documenti normativi e realizzare innovazione scolastica. 

Troppo spesso si dà per scontato che le innovazioni siano possibili di per sé, diventando realtà nel momento stesso in cui vengono dichiarate e normate. Non è così: la loro applicazione richiede competenze e consapevolezze, sia da parte dei dirigenti che degli insegnanti, qualità che non sono uniformemente diffuse nella scuola e che necessitano di formazione sul fare scuola in tutti i suoi contesti. Certo, costruire veri modelli di buone pratiche significa porsi l'obiettivo di una scuola per tutti, tenendo conto della complessità di questo progetto, senza banalizzare il fare scuola quotidiano e il mestiere dell’insegnante. Occorre cioè far propria la complessità affrontandola, coniugando teoria e pratica, e cercando di ripensare il sapere teorico per dare operatività alle conoscenze apprese dagli allievi. È in quelle esperienze che la scuola diventa accogliente e inclusiva, realizzando ineludibili vantaggi sugli alunni con difficoltà. Ma soprattutto quella scuola conferma che il ruolo che la Costituzione le affida è possibile.