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26/08/2014

Una mappa delle cose da fare

di Maria Luigia Amoroso e Daniela Casaccia

Si potrebbe partire  dal mettere in guardia il lettore dal concetto di “riforma”, termine usato e abusato talvolta per stravolgere completamente le certezze a cui la scuola in positivo e in negativo si è aggrappata, con l’obiettivo spesso inconfessato di confondere  il senso stesso del cambiamento, e l'effetto di procurare una sorta di sfasamento, o meglio di sfiducia nella scuola stessa.
Meglio parlare della necessità di rimettere al centro la scuola, come elemento portante della visione di una cultura e di una politica scolastica  che diano la possibilità di esprimere al meglio le risorse e il valore di ognuno dei soggetti che la compongono, considerando che solo la sinergia delle competenze e delle azioni può produrre quel cambiamento che permetta alla scuola pubblica di esistere, di essere protagonista e volano della società, e non di sopravvivere, come succede oggi (e forse ancora per poco).

Quindi “mettere mano alla scuola” significa anzitutto chiarire quale idea di scuola e quindi di società vogliamo, complessivamente, individuando i nuclei imprescindibili, ma soprattutto le interconnessioni tra di essi, analizzando ciò che si può utilizzare e ciò che invece è proprio da “buttare” ; poi, solo poi, si potrà fare un elenco di priorità, ma tenendo sempre presente il quadro generale, e soprattutto ben sapendo che anche i mutamenti in itinere, le scelte prioritarie, le piccole modifiche producono cambiamenti di prospettiva culturale in tutto il  sistema. Questo rappresenta la difficoltà - ma anche il fascino - di lavorare in e per  la scuola, un’istituzione che opera su e con persone che producono pensiero e azioni e che solo nel confronto co-costruiscono.

Crediamo che l’impianto pedagogico e didattico sia la chiave di volta di una scuola efficace per la società futura che vogliamo; crediamo che solo decidendo di organizzare percorsi di istruzione che abbiano come prospettiva il “futuro” di tutti sia possibile passare ai problemi di tipo organizzativo, professionale e spazio-temporale.
Ma se, per il primo ciclo , le Indicazioni del 2012 (anche se ancora troppo poco “accompagnate” e che andrebbero sostenute da una coerente cancellazione della valutazione decimale) possono rappresentare una buona base di partenza, in realtà esse si scontrano con una impostazione selettiva (o se vogliamo essere più teneri… poco inclusiva) della recente cosiddetta riforma delle superiori. Sappiamo che nonostante la richiesta annosa di un innalzamento dell’obbligo di istruzione in un biennio che permettesse di spostare in avanti la canalizzazione delle scelte, l’accentuata demarcazione tra licei, istituti tecnici e istituti professionali, la disposizione attuale non ha fatto altro che ridefinire in maniera inequivocabilmente classista e selettiva una visione del senso comune della scuola: tre infatti sono i livelli di possibilità di acquisizione di conoscenze e ciascuno dei tre non fa che confermare quello di partenza, familiare e sociale. E a tutto questo si è aggiunto anche l’apprendistato… senza istruzione adeguata.
Quindi  le Indicazioni nazionali continuano a subire delle piegature forzose, dovute alle richieste delle scuole superiori; come del resto è già accaduto per i programmi del 1979 della Scuola media e i successivi programmi dell’85 delle elementari: tutto il lavoro di insegnamento è orientato in vista delle superiori,  ma di quali superiori?
Quante volte lo spirito dei programmi e delle indicazioni curricolari per la scuola di base è stato rinnegato e deviato in nome di una preparazione alle superiori fortemente distorsiva?
Crediamo, ma è tutto da verificare, che anche i risultati non soddisfacenti derivanti dalle indagini Invalsi  o simili possano avere a che fare con una reale difficoltà di effettiva realizzazione del progetto del primo periodo di scolarizzazione, che, non scegliendo, finisce non solo per non far superare le difficoltà ai più deboli, ma anche per non permettere un livello se non mediocre a tutti.

Quella che qui presentiamo è una mappa dei problemi e delle questioni che, secondo noi, costituiscono i nodi della scuola e di che cosa ci interessi di più quando parliamo di istruzione pubblica.

In questa prospettiva, l’impianto pedagogico-didattico diviene prioritario per realizzare una vera didattica per la complessità, inevitabilmente democratica e sperimentale. Su di essa vanno riaffermati e riorganizzati tutti gli altri punti e problemi proposti dalla nostra mappa, a partire dall’autonomia: fulcro dell’impianto istituzionale essa è una risorsa reale  per  trovare spazi,  tempi, modi e professionalità (interne al lavoro dei docenti) in grado di corrispondere alle  molteplici richieste di una infanzia e adolescenza  sicuramente in diritto a crescere sapendo  cosa serva loro per farlo anche attraverso complessi strumenti di pensiero. Infine il terzo polo, l’impianto professionale per una funzione docente nella quale è fondamentale il protagonismo responsabile degli insegnanti, nel senso che qui vanno fatte le scelte consapevoli che servano veramente alla scuola.
Il tutto governato dalla necessità di partire da che cosa serve oggi alla scuola, agli allievi, all'efficacia dei processi di insegnamento-apprendimento: tutto il resto, ribadiamo, viene dopo.

 

Scrivono...

Maria Luigia Amoroso docente di lettere nella scuola secondaria di II grado, membro della segreteria del cidi di Pescara

Daniela Casaccia Prima docente e poi a lungo "preside di scuola media" e Presidente del Cidi Pescara