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06/10/2016

Il panino in mensa

di Ermanno Morello

La vicenda del “panino” in alternativa alla mensa, per come è nata e si è sviluppata, è un segno della crisi sociale che stiamo attraversando, perché dimostra:
- l’avanzamento del processo di parcellizzazione sociale: non più cittadini consapevoli ma, nel migliore dei casi, agguerriti “consumatori”; cambiamento che si ripercuote inevitabilmente sulla concezione stessa del propri diritti e, di conseguenza, delle modalità per difenderli;
- i danni provocati dalla legge 107 che stravolge la concezione della scuola pubblica come istituzione che garantisce il diritto all’istruzione per imporre una idea/progetto di scuola come azienda che eroga servizi, inserita in una sorta di mercato.
In questa situazione occorre spiegare ai genitori tutti (fautori e contrari al “panino a scuola”) e agli altri Enti coinvolti, con chiarezza ed estrema attenzione, la posizione che la scuola pubblica è obbligata, dai compiti di cui è istituzionalmente investita, ad assumere. Posizione che non permette alcuna condiscendenza nei confronti delle richieste di consumare a scuola un pasto individuale alternativo alla mensa, sia per la modalità, fortemente rivendicativa, con cui è stata avanzata,  sia per il messaggio educativo che viene veicolato.

I due pilastri su cui si basa questa posizione sono i seguenti.
- La Scuola è custode delle conquiste sociali e culturali che costituiscono la tradizione di innovazione e qualità della scuola pubblica, sulla base di istanze più generali: l’introduzione della mensa come elemento qualificante del modello educativo-didattico del tempo pieno risale ai primi anni Settanta, quando nelle periferie delle grandi città industriali (Torino fu una delle situazioni di avanguardia) nasceva un nuovo progetto pedagogico e didattico, per rispondere ai bisogni di una società in forte trasformazione sociale ed economica. La mensa, nata come nuovo diritto nei luoghi di lavoro, sostituì il Patronato scolastico, di stampo prettamente assistenziale: nata come presidio sociale per garantire pari condizioni a tutti gli allievi, nel tempo ha anche costituito uno strumento di educazione alimentare. Il lamentato peggioramento della qualità del cibo e l’oggettivo peso economico del costo del pasto, se da una parte sono alla base della nuova rivendicazione del “panino a scuola”, dall’altra non cancellano il significato storico né il potenziale educativo della mensa come momento collettivo ed egualitario.
- La Scuola Pubblica è investita del compito e della responsabilità di educare alla cittadinanza tutti gli allievi, fornendo a ciascuno una adeguata formazione complessiva, fatta di competenze culturali e sociali. Questo altissimo compito non si può esaurire nello svolgimento di lezioni di “educazione civica”, ma, nella scuola delle competenze qual è per legge la nostra attuale, è affidato alla pratica quotidiana di esperienze di convivenza solidale e pacifica nella comunità (la scuola come comunità educante) e di riflessione sulle situazioni reali, per costruire fattivamente la consapevolezza dei diritti e la fiducia nelle pratiche democratiche per la loro rivendicazione e difesa.
In questa cornice di significati le azioni ispirate dal particolarismo non sono ammissibili come strumento per rivendicare il miglioramento di un servizio collettivo, come è e deve essere la mensa scolastica. Semmai un servizio pubblico essenziale deve essere migliorato dall’azione collettiva, nell’interesse di tutti gli utenti, a partire da chi ne ha la responsabilità organizzativa, gestionale e di controllo. La mensa scolastica, al pari di altri servizi pubblici a domanda individuale, è un dispositivo che deve essere erogato sulla base di standard di eccellenza, proprio perché egualitario. Come il trasporto pubblico o un Pronto Soccorso (per esempio), il suo funzionamento deve essere pensato e gestito da professionalità competenti, le cui scelte, certamente criticabili se inadeguate, non possono essere soppiantate dall’arbitrio individuale né dalla pretesa di saperne di più per semplice tradizione familiare.
Nella scuola che educa alla cittadinanza la mensa è uno dei tanti momenti collettivi in cui ogni allievo fa esperienza di vita sociale, nel rispetto di regole comuni, che richiede partecipazione attiva e responsabile e spirito di adattamento, per conquistare la piena consapevolezza dei propri diritti e doveri. Tutto ciò è la base per maturare un atteggiamento critico, attraverso la riflessione sull’esperienza comune, per saper apprezzare i vantaggi di un servizio uguale per tutti e, all’occorrenza, pretendere che venga erogato con buoni standard qualitativi, senza fughe nel particolarismo.

Questo penso debba essere il messaggio esplicito per far comprendere ai genitori agli allievi e agli amministratori che agire nell’interesse generale richiede la massima chiarezza di orientamenti. La sua comunicazione è un atto di rispetto per tutti, favorevoli contrari e indifferenti alla questione “panino”: fatto da una Istituzione pubblica  un atto  di pratica democratica, con una chiara valenza pedagogica nei confronti dei destinatari. In questa logica ritengo sia sbagliato e controproducente opporre all’azione dei genitori che rivendicano il diritto al pasto portato da casa un messaggio che si basa sugli impedimenti di tipo sanitario e logistico: esso viene recepito come un tentativo specioso di resistere a una istanza ritenuta legittima, provocando solo incomprensione e inasprimento delle posizioni.
Detto questo, la scuola-istituzione, nell’ambito delle proprie competenze, eseguirà le disposizioni che verranno emanate dalle Istituzioni preposte, chiamando nel contempo all’assolvimento dei propri compiti gli altri soggetti ed enti coinvolti, secondo le loro competenze. Certamente non anticipando soluzioni abborracciate né decisioni prese in ordine sparso, che creerebbero solo ulteriori disparità. Quando il quadro sarà chiarito i lavoratori della scuola prenderanno le iniziative che riterranno opportune per quanto riguarda i risvolti sulle condizioni professionali e di lavoro.

 

Scrive...

Ermanno Morello Insegnante di Arte e Immagine nella scuola media, formatore, fa parte della Segreteria del Cidi Torino.