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opinioni a confronto

13/11/2014

La posizione dell'aggettivo

di Mario Ambel

Per essere precisi ( e un po' pedanti)

In italiano, dicono le grammatiche, l'aggettivo qualificativo va collocato solitamente dopo il nome. A specifica domanda, l'Accademia della Crusca, a firma Raffaella Setti, precisa in una ampia risposta dal titolo Sulla posizione dell'aggettivo qualificativo in italiano che ciò è dovuto a due fattori importanti: il tasso di oggettività e il tasso di novità informativa.

Per quanto riguarda il primo criterio, più l'aggettivo è usato nella sua valenza oggettiva, denotativa, fisica, reale, maggiore è l'esigenza di collocarlo dopo (o a destra, se si preferisce) del nome. Più l'uso che ne viene fatto è soggettivo, connotativo, metaforico o fantastico, maggiore è l'esigenza che preceda il nome. Ovvero, se si parla di qualcosa, per esempio una casa, l'aggettivo che intendo comunicare al lettore per qualificarla va collocato dopo il sostantivo: una casa elegante, una casa modesta, una casa moderna. Ma se vogliamo dare all'aggettivo un'accentuazione, per esempio ironica, diremo di una casa modesta : è un'eccellente dimora e non certo è una dimora eccellente. Così come un dirigente alto (esemplifica l'Accademia) rivela la sua statura corporea, mentre un alto dirigente attiene al grado, all'importanza professionale. E va da sé che tutti ben ci destreggiamo sulle sensibili differenze di significato che aleggiano negli altri esempi fatti: fra amico vecchio e vecchio amico, per non dire di bel sesso e sesso bello, dove a far da tropo (o da sineddoche per essere pignoli) giocano entrambe (le parole)...

Per quanto riguarda invece il tasso di novità (o di nuova informazione), la questione è ancora più interessante, ma un po' contorta. Norma vorrebbe che ciò di cui si parla, ed è già noto al destinatario, venga collocato a sinistra e sia seguito dall'elemento nuovo, ovvero dalla informazione nuova fornita sull'oggetto di discorso. Insomma, per dirla in modo complicato: il topic (o dato) dovrebbe stare a sinistra e il comment (o nuovo) a destra. Se parlo della mia casa, dico che è una casa accogliente; se parlo di ciò che nella  vita è accogliente dirò accogliente è la mia casa... Ma non è sempre così: per marcare ulteriormente che l'oggetto di riferimento sta acquisendo o ha acquisito una novità, una modifica, tale novità viene talvolta collocata a sinistra e messa prima di ciò che è noto. L'Accademia della Crusca esemplifica che parlando degli occhi per dirne il colore, dire neri occhi li rende certamente più affascinanti di occhi neri. O tenebrosi, che dir si voglia...

E così, per (con)fondere un poco i due criteri, se parliamo con qualcuno che già sa di un nostro recente trasloco, per attirare la sua attenzione su ciò che sta mutando nella nostra vita metteremo casa et similia dopo e parleremo della vecchia casa e della nuova sistemazione e del vecchio appartamento. E non è detto, ovviamente, che la nostra vecchia casa sia una casa vecchia, se l'abbiamo cambiata nonostante fosse stata costruita di recente, così come la nuova casa potrebbe non essere una casa nuova, se abbiamo realizzato il sogno di trasferirci in una casa d'epoca...

Insomma, ci si è intesi. E giustamente, precisa l'Accademia, tutto ciò vale  in particolare per quegli aggettivi “qualificativi non verificabili secondo un criterio assoluto, quindi suscettibili di un intervento interpretativo da parte del parlante”.
E tra questi c'è sicuramente buono (come alto, vecchio, nuovo, bello).

Buono e le sue posizioni

Buono è poi un aggettivo particolarmente delicato, da non farne abuso. Ed è assai sconsigliabile collocarlo prima del nome. Recentemente, con Benedetto Vertecchi, celiando un poco tristemente sull'occasione che ci conduceva a questi ragionamenti, ci si scambiava al riguardo motti regionali. In piemontese, dicevo, (come per altro in francese, precisava lui) un uomo buono è ammirevole e mostrato al pubblico encomio, mentre un bun om è un bonaccione, un sempliciotto, quello che definiamo “ciula e baloss” (epiteti intraducibili). E così a Roma, mi diceva, dire della tale che è una buona donna non è propriamente un complimento. Insomma, buono, se proprio lo si vuole usare, è meglio metterlo dopo!

Non sarà sfuggito, sia al lettore attento che all'attento lettore, come del pari alle lettrici solerti come alle solerti lettrici, che tutto questo disquisire sulla posizione dell'aggettivo miserevolmente tende a mettere in cattiva luce (e non già in luce cattiva) l'uso che dell'aggettivo buono (e per di più al femminile, essendo riferito alla scuola!) è fatto nel ministeriale documento (volutamente anteposto poiché non ci risulta rechi un qualche protocollo che ne attesti l'oggettiva ministerialità) che recentemente è stato diffuso attorno alla scuola.

Ma questa intemerata non tendeva ad affermare che in quel caso e contesto l'uso sia scorretto. Tutt'altro: in quel documento la visione di ciò che faccia di una scuola qualcosa che consenta di definirla “buona” è quanto di più soggettivo, aleatorio, metaforico, a tratti mistificatorio sia stato scritto da molto tempo. Quanto al tasso di informatività rispetto all’argomento specifico, resta da decidere se quel documento parla della scuola per dirne che cosa la fa buona, oppure parla di ciò che è per definizione buono in un non precisato altrove, ovvero l'azione del Governo e segnatamente del Premier, per dirne che cosa ne accade se applicato alla scuola! Il sospetto infatti è che non sia un documento sulla scuola buona, ma sul buono governativo applicato in ambito scolastico.

La scelta e un dubbio

Si obietterà, invece, con un po' di buon senso, che per fare un discorso sistemico sulla scuola, l'aggettivo qualificativo buona va certamente anteposto, altrimenti si rischierebbe di intendere una scuola buona, in quanto generosa, caritatevole, non selettiva, indulgente. Quand'anche così fosse, continuerei a preferirlo dislocato dopo, poiché è comunque il caso di sostanziare e oggettivare l'uso di “buono” per evitare eccessi di novità più retorica che effettiva. E poi, come dice un caro amico, Ermanno Morello, nelle discussioni che si fanno recentemente dalle mie parti su questi temi, forse sarebbe il caso, per noi, di parlare di scuola “ben fatta” o “fatta bene”, modalità che con tutta la loro carica evocativa vanno comunque messe dopo. E che invitano a fare più che a... gustare o lodare! Oltre tutto, non era a questo nuovo Premier che piaceva l'Italia del fare? O era a quello vecchio? Non so più bene, mi sono confuso da me...