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opinioni a confronto

22/08/2014

Riflessioni a caldo sul "Piano per la scuola"

di Mauro Piras, Luigia Amoroso, Maurizio Muraglia, Maria Pia Giannalia, Rosy Gambatesa, Antonella Bruzzo, Maria Luisa Iori

Incentivi ai docenti 
Mauro Piras, che tiene su insegnare la rubrica L'arte politicaè intervenuto su questi temi sulla versione  on line della rivista Il Mulino con una riflessione dal titolo Incentivi ai docenti, il governo è fuori strada, dove si legge tra l'altro...

Per qualificare il lavoro dei docenti, bisogna partire dal lavoro in aula. Aggrapparsi ai soli ruoli organizzativi è segno di pigrizia intellettuale, o, peggio, di indifferenza ai problemi reali della scuola. È facile valutare attività visibili e riconoscibili, mentre è molto più impegnativo pensare a un sistema di valutazione della didattica. Eppure la sfida è qui, e qui si trovano i veri tabù da infrangere. La prima cosa da proporre è che il lavoro d’aula dell’insegnante sia “aperto”, pubblico, accessibile alla conoscenza da parte di valutatori esterni e non chiuso in una specie di riserva privata in cui nessuno può mai entrare. Su questo è giusto affrontare l’eventuale opposizione dei docenti. In ogni caso, chi lavora nella scuola sa che sono sempre di più gli insegnanti disponibili a farsi valutare nella loro attività quotidiana, purché questo serva a riconoscerne il valore. Ebbene, tutte queste persone diventeranno (stanno diventando in questi giorni) dei nemici del governo e della riforma, perché penseranno: “A che cosa serve che io metta l’anima nel tempo che dedico ai miei allievi, alla preparazione delle lezioni, all’organizzazione del lavoro con loro, se poi vengono premiati quelli che dall’aula fuggono, se si ragiona sempre come se tutto questo lavoro didattico non esistesse, non avesse valore?”.

Mauro Piras


 

Dov'è il Cidi?

Dov’è il CIDI? E intendo l’associazione, non la somma di  voci individuali. Intendo il luogo auspicabile di una proposta politica ragionata e condivisa intorno al futuro della scuola pubblica, frutto di una discussione sviscerata e plurale,  di una mediazione coerente, capace finalmente di  tenere i necessari rapporti  fra le svariate facce di una complessa questione. Forse non è più possibile rimandare un intervento di tal genere: anzi, avremmo dovuto anticiparlo, confrontarci sui nuclei fondanti di una innovazione organica, coordinarne e indicarne le linee direttive, piuttosto che farci cogliere impreparati da onde d’urto  anomale per quanto prevedibili.  

Prima ancora di entrare nel merito o nel demerito delle vociferate proposte governative, ci ferisce la consueta incorreggibile miopia dei politici di turno che ancora una volta sembrano  non  comprendere (per incompetenza, per la consueta, malcelata e barbina fregola da risparmio o da semplificazione demagogica o da cos’altro?)  che la materia scolastica è un mosaico:  qui è necessario che ogni tassello tenga  nella relazione con quello che gli sta vicino e solo in funzione  di un disegno complessivo che almeno andrebbe tracciato. E invece si insiste, nella fattispecie, a considerare la funzione docente indipendentemente dalla finalità formativa, egualitaria e solidale che la Costituzione le impone, in una prospettiva di ottuso, persino livoroso isolamento (al di là della giustezza di alcuni argomenti sui tempi di lavoro). Il paradosso di un simile approccio, evidente a chi possiede un minimo di competenze pedagogiche e a chi con onestà intellettuale voglia ripercorre gli errori di troppi decenni,  continua a essere  tutt’oggi ignorato dai sedicenti riformatori della pubblica istruzione. 

Per questo a me pare che l’unica speranza di progresso possa nascere  dallo scatto di reni di chi solo può comprendere la  complessità e la delicatezza dell’oggetto in questione,  di chi  ha sofferto gli effetti di numerosi errori disseminati nel tempo. Mi riferisco a  noi docenti, che viviamo quotidianamente la scollatura o lo sbiadire  dei nostri tasselli, che abbiamo perso di vista finanche l’ipotesi di un disegno e che oggi, di fronte alle più recenti provocazioni, siamo chiamati a  scegliere fra una evidente complicità allo sfascio e un tentativo di salvataggio in extremis. Per questo torno alla domanda iniziale: dov’è il CIDI? Sperando di averla resa più comprensibile e ricordando di essermi iscritta alcuni anni fa a questa associazione con l'aspettativa di essere coinvolta e spinta a immaginare,  sperimentare e riflettere il cambiamento in una dimensione pienamente sociale.

Luigia Amoroso


Qualche domanda pertinente...

Perché il Governo si accinge a varare un piano sulla scuola? Da quali problemi muove? Razionalizzazione della spesa? E in funzione di che? Proviamo a dare una risposta. Gli apprendimenti dei nostri alunni sono insufficienti. Se questo è il problema all’origine dei problemi vediamo di capire se le ipotesi che vengono elaborate sull’organizzazione del lavoro docente servono ad affrontarlo e risolverlo. Ma forse occorre ancora un altro passaggio, diagnostico. A che cosa bisogna attribuire l’insufficienza degli apprendimenti? A una carenza di formazione? A una carenza di impegno? Parliamone.

Il lavoro docente è un mix di motivazione e di competenze. Perché ne aumenti la qualità probabilmente occorre incidere su entrambi gli indicatori che si influenzano reciprocamente (se sono motivato sono bravo e se sono bravo sono motivato) e quindi bisogna vedere se l’ipotesi governativa allo studio è capace di produrre effetti a questo livello. Per esempio, potrebbe influire positivamente la permanenza a scuola per 36 ore? E in quale “scuola”? Ovvero: quali sono i luoghi della scuola che possono consentire a tutti i docenti che non sono in classe di fermarsi a lavorare? Biblioteche? Sale professori? Aule specializzate? E anche in presenza di questi spazi alternativi all’aula, cosa farebbe un insegnante di diverso che a casa propria? Preparerebbe lezioni e correggerebbe compiti? E si direbbe che lo fa bene perché lo fa a scuola con un cartellino timbrato? Chi garantisce che questo lavoro compiuto a scuola inciderebbe positivamente sul mix di motivazione e competenze?

L’incentivo economico. Pare che riguardi chi assume incarichi di coordinamento. Bene. E il fatto che guadagni di più chi è impegnato in ruoli organizzativi in che misura influisce positivamente sul famoso mix, che è poi ciò che incide direttamente sugli apprendimenti dei ragazzi? Ancora. Qualcuno si ricorda che a scuola l’insegnamento è un’impresa collettiva? E che gli apprendimenti dei ragazzi migliorano in virtù del miglioramento di un team? E se nel team c’è quello che si “limita” alle 18 ore accanto a quello che “vuole” fare di più e che per fare di più è costretto a dedicare meno tempo alla didattica come la mettiamo?

Maurizio Muraglia


Le vere priorità

L’articolo di la Repubblica del 2-07-2014  riferisce con chiarezza quali sono le proposte per rivoluzionare il piano orario delle scuole e garantire un’efficienza nel servizio educativo e di formazione dei giovani. Desidererei qui analizzare la questione passo passo per capire, io per prima, in che cosa consisterà questa riforma e quali e quanti saranno i vantaggi di cui beneficeranno gli studenti italiani nel prossimo futuro.

Trentasei ore di docenza per tutti. In effetti si parla di “docenza”, vale a dire, con le metodologie messe in atto finora, ivi comprese le tecnologie (LIM in tutte le aule, supporti telematici, aule speciali…), che al docente si chiederà di restare in classe o in laboratorio per 36 ore settimanali con la stessa retribuzione.

Analizziamo in cosa consista la “rivoluzione oraria”. Tutti noi docenti sappiamo molto bene che le lezioni vanno preparate adeguatamente alcuni giorni prima della lezione vera e propria. Nel caso, per esempio, dell’uso della LIM ormai entrata nella prassi ordinaria della metodologia didattica (finalmente!),  tutte le lezioni devono, per essere veramente efficaci, essere strutturate nel merito e nel metodo. Vale a dire , facendo un esempio specifico, che, se un docente di italiano deve strutturare per i suoi alunni una lezione, poniamo, sull’uso dei tempi  del modo indicativo, dovrà strutturare:
- una lezione attraverso esempi ben scelti e finalizzati alla classe specifica, tenendo conto di tutte le variabili previste dal caso (alunni con BES, alunni con disagio, differente preparazione degli alunni di quella classe ecc.), per fare in modo che, attraverso l’uso della LIM, tutti gli alunni comprendano l’argomento proposto;
- strutturare delle esercitazioni, auspicabilmente sempre attraverso la LIM, per tutti gli studenti differenziandole per livelli, e proporle alla classe per una durata di almeno un’ora successiva alla lezione succitata.

Quindi, per due ore di attività in classe, necessitano circa quattro ore di preparazione dei materiali. A me, dunque, docente di qualsiasi classe, va benissimo una dilatazione delle ore da potere investire nella preparazione del mio lavoro. Anzi, oserei dire, mi va meglio.  E in tal senso non solo vedrei molto favorevolmente le trentasei ore, ma a queste aggiungerei anche delle altre (pagate come ore di straordinario) che mi consentano di:

- rimanere a scuola a prepararmi le lezioni, a correggere i compiti degli alunni;
-usufruire dei mezzi informatici messi a disposizione dalla struttura scolastica;
- usufruire eventualmente di una mensa che mi eviterebbe di uscire dalla scuola e andare a fare una pausa pranzo a casa (o un semplice buono-pasto da spendere in una tavola calda, così come avviene per tutto il comparto del pubblico impiego);
- confrontarmi con i miei colleghi per avere un riscontro metodologico e ottimizzare il lavoro da svolgere all’interno del consiglio di classe;
- poter pianificare il mio lavoro all’interno di una programmazione generale delle diverse discipline con l’intero consiglio di classe. programmazione che finalmente, come accade nella maggior parte dei casi,  non sarebbe più il farsesco elenco di obiettivi e metodologie che si propina tutti gli anni cambiando solo la data;
-poter concordare con i miei colleghi strumenti e metodi per una valutazione efficace non punitiva ma di monitoraggio meta cognitivo e quindi di miglioramento;
-studiare, magari in gruppi di lavoro per materie affini, nuove metodologie di intervento didattico;
- scegliere e pianificare con i colleghi metodologie didattiche adeguate che tengano conto delle differenze presenti nelle classi di riferimento.
Se mi fosse permesso di fare tutto questo lavoro preparatorio che è lo strumento essenziale per potere effettivamente migliorare l’offerta formativa mia e dei miei colleghi, non solo sarei disposta a lavorare 36 ore  a settimana, ma anche di più.

Cosa propone invece il ministro?
Le trentasei ore andrebbero solo a coprire le eventuali assenze dei docenti, facendo svolgere agli altri docenti non delle attività didattiche secondo quanto sopra descritto, bensì delle semplici “presenze” tali da assicurare la vigilanza in classe, come d’altro canto è stato sempre fatto nei casi di emergenza.
E allora mi chiedo: forse farebbero meglio i nostri decisori politici a dirci chiaramente come stanno le cose senza farcele intuire attraverso i bizantinismi propositivi. Si legge infatti nell’articolo:“i risparmi nelle supplenze interne possono garantire investimenti nei premi ai più disponibili e nell’offerta formativa”.
In che cosa dovrebbe consistere questa maggiore disponibilità dei docenti? Quali attività dovrebbero svolgere in più e più qualificata rispetto al loro specifico ruolo che è prioritariamente quello di formare culturalmente i giovani?
Perché, stando alla normativa attuale, tutte le attività di supporto organizzativo, hanno già una loro collocazione precisa nelle cosiddette figure strumentali e negli incentivi alla collaborazione al team di dirigenza. E allora?

Aspetto di sentire e soprattutto di leggere con chiarezza in un testo di legge quali siano queste attività da premiare.
Le uniche attività da premiare sarebbero quelle che vanno al di là dell’attività sopra esposta, ma quali? Non sono certo quelle di impegnarsi nel ricevimento dei genitori o nel supporto psicologico agli alunni o ancora in altre centomila attività da “inventare” per dare visibilità ai dirigenti e alle autorità degli enti locali.
Sarebbe auspicabile viceversa dare la possibilità reale a tutti i docenti di svolgere bene il proprio ruolo attraverso un aggiornamento e una formazione seri e soprattutto obbligatori per tutti e non solo per chi ne abbia voglia. Qui sta il nodo della questione: la formazione obbligatoria dei docenti. É in tal senso che bisognerebbe investire e incentivare anche i docenti stessi. E se la formazione diventa tale e se soprattutto viene fatta in modo serio e scientifico, non ci sarà certo bisogno di programmare altre ore destinate a chissà quali altre attività.
Credo che i docenti oggi si aspettino di essere messi nella condizione di fare bene il loro mestiere, che è quello di aiutare i giovani nella loro formazione culturale e nell’acquisizione degli strumenti che li pongano nella condizione di essere “critici” nei confronti della società e di “scegliere” in autonomia i loro percorsi futuri.

Ma tutto questo costa. E costa molto. E in questo senso le risorse messe in campo non sono mai state veramente all’altezza del compito Né lo saranno, viste le premesse, neppure questa volta. Infatti non si parla di nuovi investimenti ma solo di risparmi. Intanto, per capire meglio le intenzioni programmatiche, aspettiamo per il momento di vedere quali saranno gli interventi annunciati ma ancora non avviati per la ristrutturazione delle scuole fatiscenti.
Per citare solo un piccolo esempio: a Cagliari lo storico liceo classico "Dettori" ha visto crollare il soffitto di un'aula. Risposta delle autorità preposte? Evacuazione dell’edificio e ospitalità in altre strutture scolastiche ospitanti per tutti gli alunni. L’edificio è ancora lì che attende.

Maria Rosa Giannalia


 

Note sulla professione dell’insegnante

A proposito delle esercitazioni estive del ministro Giannini e del sottosegretario Reggi in aritmetica dell’orario di lavoro degli insegnanti, da insegnanti quali siamo, non sarà forse inutile sottolinearne un grave errore concettuale che, come accade talora in matematica, da solo, scompiglia tutte le loro somme. L’errore gravissimo è quello della mancanza della voce spazi e attrezzature  per l’esercizio della nostra professione e del relativo numero che ne indica l’ importo dei costi, un numero di certo molto elevato che non è solo da aggiungere semplicemente, ma che evidentemente va messo in cima ad una qualsiasi onesta aritmetica per la scuola.

Chi nelle ore di lezione , in classe con gli studenti, realizza quello che viene definito nel contratto “il processo di insegnamento/apprendimento volto a promuovere lo sviluppo umano, culturale, civile e professionale degli alunni, mettendo a servizio dell’amministrazione, come aggiunge sempre il contratto, la propria “autonomia culturale e professionale”, come già accade, del resto, negli altri ambiti, per ogni altra professione intellettuale spesa nella pubblica amministrazione, ha evidentemente bisogno di uno spazio e di attrezzature per il tempo del proprio lavoro, non pubblico e frontale, ma dedicato proprio ad esplicare tale autonomia culturale e professionale in “attività individuali e collegiali”, attività multiformi in cui gli insegnanti elaborano, attuano e verificano, per gli aspetti pedagogico - didattici, il piano dell'offerta formativa, adattandone l'articolazione alle differenziate esigenze degli alunni.

Finora il costo per le attrezzature e per gli spazi necessari all’effettivo esercizio degli aspetti della professione che non si riducono alle ore pubbliche e frontali, come è sotto gli occhi di tutti, è stato, da sempre, finanziato dagli insegnanti medesimi, che l’hanno fatto a proprie spese, assottigliando ancor più il loro già magro salario e mettendo inoltre in bilancio, anno dopo anno, nella colonna delle perdite, ogni sorta di numeri negativi, come accade a chi ottempera, in maniera unilaterale, a un contratto stipulato con un soggetto bifronte. L’amministrazione, infatti, pur mantenendo i professionisti, suoi dipendenti, in una condizione materiale priva di qualsivoglia possibilità concreta di esplicare le loro competenze professionali, per converso, richiede loro proprio l’esercizio di una professione intellettuale,  in coerenza del resto con i  propri compiti istituzionali. Questo sistema di gestione della scuola non solo ha gravato, per tali aspetti pesantissimi, esclusivamente, sulle spalle dei singoli insegnanti, lasciati in tal senso alla propria libera e responsabile iniziativa, ma, così facendo, ha anche, impropriamente, addossato loro, per la realizzazione del mandato sociale della scuola pubblica ,un costo molto alto , sia in termini di fatica che di denaro oscuramente profusi. 

E se la mortificazione di questa situazione pesantissima non bastasse già da sola a fiaccare le qualità professionali degli insegnanti, l’amministrazione, ora, con questo nuovo cosiddetto piano per la scuola, come uno studente svogliato alle prese con le addizioni,  vibra il colpo di grazia,  infilando la scuola e tutta la società in un’ ulteriore e pericolosa trappola aritmetica: nel momento in cui illustra il proprio piano, non mettendo ancora una volta in conto il costo per lo spazio e le attrezzature idonee alla professionalità richiesta a chiare lettere a chi insegna, ne intacca di nuovo pubblicamente quella medesima professionalità, senza cui, come è chiaro, non è possibile perseguire le finalità istituzionali della scuola. Per tacere poi del silenzio tombale che di conseguenza cade, insieme al silenzio sugli spazi di lavoro degli insegnanti, anche sul tempo di una professione intellettuale legittimamente dedicato allo studio e alla elaborazione autonoma, cosicché, proprio come succede quando qualcuno, per non pagare, chiede per strada il cosiddetto consiglio all’avvocato,  in Italia può accadere che il ministro e il sottosegretario, parlando del lavoro degli insegnanti, riconoscano, tranquillamente, a tale professione soltanto o quasi il tempo pubblico della loro prestazione professionale, cioè la lezione in classe. E su questa china il computo aritmetico dell’orario degli insegnanti viene fatto ovviamente sommando le mele con le pere, come si faceva da piccoli, col risultato di somme fatte a casaccio, in cui si mescolano innocentemente addendi tra loro incommensurabili come l’ora di lezione, che è la realizzazione di un percorso complesso e faticoso, prima intellettuale , culturale e disciplinare, e poi pedagogico e didattico, con altre ore di natura più o meno burocratica e amministrativa, che valgono solo il tempo della loro prestazione. 

Senza darsi quindi un benché minimo pensiero della sostanza, intellettuale  e di conseguenza anche materiale, del proprio piano per la scuola, il ministero, davanti agli occhi di tutti, esibisce una somma piena di errori e  insieme un risultato totalmente negativo  per la scuola pubblica, di cui  incredibilmente non appare preoccupazione alcuna. Ben altra prospettiva ci sarebbe se, invece, questo piano per la scuola avesse in cima l’urgenza, non più differibile,  di rimettere al  centro  dei pensieri e dei conti l’esercizio intellettuale della professione da parte degli insegnanti e condizioni materiali idonee, poiché, come è evidente,  non può che essere questo il fondamento sui cui far rifiorire le intelligenze, la società e il nostro paese.

Nel frattempo, se l’esecutivo, già da subito, volesse prendere in considerazione la necessità di correggere le proprie addizioni, sarebbe bene che per risarcire chi fa fronte  a tali costi spendendo in prima persona, si impegnasse almeno a far aggiornare la normativa fiscale, introducendo la possibilità anche per gli insegnanti della detrazione al 100% delle spese professionali. Questo atto, oltre a porre rimedio a una situazione di gravissima ingiustizia, avrebbe un ulteriore doppio significato, da un lato quello di mettere pubblicamente un punto fermo sulla natura della professione degli insegnanti, riconoscendone  appunto come irrinunciabili il tempo, gli spazi e le strutture idonee ad esplicarla pienamente, e dall’altro quello di fondare così, sulla sostanza del fare scuola, cioè prima di tutto sulla professionalità degli insegnanti, un piano per la scuola.

E’ bene ricordare, anche se per sommi capi, quali infrastrutture solo l’affezione degli insegnanti alla propria professione ha finora finanziato e garantito: stanze, che anche a voler essere comprensivi del poco amore  di questo  nostro paese per la propria scuola,  non avrebbero potuto  essere, certamente, meno  di una per ogni tre o al massimo quattro insegnanti, tutte ovviamente attrezzate adeguatamente con illuminazione, riscaldamento, servizi igienici, personale di sorveglianza e pulizia,  scrivanie,  poltrone,    biblioteche,  librerie e armadi capienti e personali dove custodire libri, carte e attrezzature, e poi, in passato, macchine da scrivere e materiale di cancelleria per ogni docente, e adesso, con la rivoluzione digitale, computer e connessioni internet efficienti, fotocopiatori, stampanti e scanner, e tutto quanto altro può servire per il lavoro multiforme di ricerca e di sostegno alla docenza. 

Un piano per la scuola che sia tale deve essere un piano  che prima di dare i numeri entri con sapienza nella sostanza del fare scuola. 

Rosy Gambatesa


Considerazioni sul tempo-insegnante

Non voglio entrare nel merito del cosiddetto “piano” per la scuola, di cui poco si sa, e che come già espresso negli altri contributi, mi sembra indotto da luoghi comuni sulla scuola e sugli insegnanti, prodotti anche di una campagna mediatica banalizzante e disinformativa sul reale quotidiano “fare” scuola ed “essere” a scuola, sui problemi, le criticità, gli elementi di qualità in un sistema scolastico connotato dall’essere “a macchia di leopardo”: realtà eccellenti accanto a realtà “povere”, non solo a seconda dei contesti territoriali, ma anche nello stesso territorio e addirittura, a volte, nello stesso istituto.
La “boutade” sull’orario insegnante a 36 ore mi evoca alcune riflessioni sul “tempo”, legate a ragionamenti nati e condivisi in gruppi di lavoro con altre insegnanti. In questi ultimi anni, anche in seguito alla generalizzazione degli Istituti Comprensivi e al relativo lento e non facile processo mirato a costituire “comunità educanti” attraverso la graduale conoscenza reciproca ed il confronto tra professionisti operanti in diversi ordini di scuola, il tema del “tempo”, inteso come orario-insegnante ha assunto particolare rilevanza (per lo meno nella realtà in cui opero), se non altro nella rilevazione dei diversi modi di percepirlo.

Durante i Collegi Docenti le discussioni in merito ad alcune scelte relative all’assegnazione delle sempre più scarse e ridotte risorse del fondo d’istituto hanno messo in luce le differenze nel percepire il proprio orario professionale: insegnanti che chiedono di esser retribuiti anche per il quarto d’ora dedicato a scaricare la posta elettronica ed insegnanti che ritengono che alcuni impegni (ad es. gli incontri con le équipe e con gli operatori delle ASL nel caso di bambini/e portatori di disabilità) rientrino nella funzione docente, ecc., insegnanti che ritengono fondamentale destinare, almeno simbolicamente, una buona percentuale del Fis alle ore dei gruppi di lavoro e ricerca (legati al curricolo verticale, alla continuità, all’inclusione, ecc.) ed insegnanti che non lo ritengono utile; gli esempi sarebbero ancora molti. Sono insegnante di scuola dell’infanzia e, nei contesti in cui mi son trovata ad operare, ho sempre pensato al tempo ed alla sua articolazione (mi riferisco qui al tempo-scuola con bambini/e) come ad un mediatore importante del progetto educativo (come del resto la strutturazione degli spazi, la predisposizione dei materiali e altri aspetti caratterizzanti il curricolo”implicito”): ovvero un’articolazione progettata in modo intenzionale e mirato con attenzione e cura ai tempi distesi, all’alternarsi di tempi di gioco ed attività libere e tempi più strutturati, di tempi dedicati alle routines (il bagno, il pasto, il sonno), come importanti momenti ricorrenti che forniscono quella trama di sicurezze esistenziali che consente di aprirsi alle novità, all’esplorazione ed alle scoperte, di tempi che offrano diverse possibilità di vita di relazione: momenti in grande o piccolo gruppo, momenti per stare anche da soli.

Pensando al lavoro docente - a questo “mix tra competenze e motivazione” - mi sembra interessante riflettere su una possibile analogia: anche l’articolazione del nostro orario professionale costituisce un mediatore importante della qualità del fare scuola, dell’attivare, sollecitare e promuovere processi d’apprendimento, sostenendo ognuno nel suo percorso , con tutta la fatica, le difficoltà, la complessità che questo quotidianamente comporta.
Il nostro orario, in qualsiasi ordine di scuola, implica il tempo in classe, sezione, ecc, con bambini/e, ragazzi/e, un tempo che per essere rispondente ai loro bisogni dovrebbe avere alcune caratteristiche di flessibilità e di ricorsività, caratteristiche ineludibili in una didattica laboratoriale ed attiva in cui bambini/e , ragazzi/e siano protagonisti attivi dei propri apprendimenti, della costruzione dei saperi e di competenze di cittadinanza (alternarsi, ad es., di momenti di insegnamento frontale e momenti di ricerca individuale e di gruppo, ecc.).
Pensando alla nostra professione come al continuo partecipare ai processi di insegnamento/ apprendimento connotati da azioni ricorsive quali la progettazione, l’osservazione, la documentazione, la valutazione, indispensabile è poter disporre di tempi dedicati a tali azioni: alla continua riflessione e ragionamento sui processi attivati, sulle dinamiche osservate in classe, sulla riprogettazione del proprio intervento e delle proprie proposte culturali e didattiche. Questi tempi implicano sia la dimensione individuale che l’importantissima dimensione della collegialità, del confronto a diversi livelli: nel team insegnate, nel consiglio di classe, nel plesso: tempi che, attualmente , ed è una carenza grave, non sono previsti, a livello contrattuale né per gli insegnanti di scuola dell’infanzia, né tanto meno per quelli di scuola secondaria di 1° e 2° e sono lasciati al caso ed alla buona volontà di chi, in alcune realtà, trova gli “escamotages” per ritagliarseli.
Fondamentale ed indispensabile, nella prospettiva del continuo miglioramento del proprio fare scuola e, dunque, dell’intreccio motivazione – competenze, è il tempo dedicato alla ricerca, alla sperimentazione di percorsi nell’ambito del curricolo verticale, alla formazione permanente.
Altro aspetto importante è il tempo dedicato ai rapporti con l’extrascuola, con il territorio, con le famiglie, un tempo necessario per favorire processi di coevoluzione, per sostenere e promuovere genitorialità consapevole, per costruire alleanze ed affrontare insieme le sfide educative nella complessità dei contesti in cui siamo immersi.

L’ articolazione del tempo-insegnante implica , dunque, aspetti complessi e molteplici, legati alla qualità dei contesti scolastici, delle relazioni che quotidianamente vi si vivono, dei delicati processi di insegnamento-apprendimento, tutte grandi questioni che esigono attenzione e cura, ragionamenti approfonditi, partecipati e condivisi, circolazione di idee, di pensiero (e non avvilenti “boutade” estive).
Per non perdere l’incanto e sempre ritrovarlo e rinnovarlo nel quotidiano fare scuola e nell’esercitare questa complessa, impegnativa, delicata ed appassionante professione d’insegnanti.

Antonella Bruzzo


Di che cosa parliamo...

Maria Luisa Iori, che tiene su insegnare la rubrica Lo specchio di Alice, è intervenuta su questi temi sulla rivista Città furura on line con una riflessione dal titolo  Di che cosa parliamo qualdo parliamo di scuola Di che cosa parliamo quando parliamo di scuola....

Maria Luisa Iori


Per il resto   il  progetto di riforma dell’istruzione Renzi-Giannini  presenta a livello istituzionale anche aspetti  che nessuno potrebbe disapprovare,  nonostante  alcune specifiche  perplessità   (per esempio  per quanto riguarda la riduzione delle superiori a quattro anni), cercando di risolvere problemi che sono da anni sotto agli occhi di tutti. Esso si avvale delle tante discussioni, delle ipotesi, degli errori,  e anche dei confronti con   i   sistemi educativi degli altri  Paesi europei, ai quali siamo comunque costretti ad adeguarci.  Ma se si vuole davvero migliorare il livello di istruzione  di tutti gli  italiani e  di tutte le italiane,  e integrare  gli alunni stranieri  istruendoli davvero nella nostra cultura, pur nel rispetto della loro,    soprattutto  bisogna  assicurarsi(non solo con la formazione in servizio permanente, ma anche con dei controlli) che  gli insegnanti sappiano insegnare nel modo più efficace e adeguato possibile ai propri allievi. Ovviamente questa principale, fondamentale     funzione docente non esclude, ma solo   parallelamente,  lo svolgimento di altri compiti culturali e organizzativi   nella costruzione, cooperativa con i colleghi e le colleghe, dell’offerta formativa del proprio istituto.