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17/10/2016

Una situazione contraddittoria

di Elisa Trovò

Dopo settimane di incontri, riflessioni, confronti sul tema del ‘panino a scuola’, sia interni che esterni all’associazione, vorrei provare a fare alcune considerazioni.

Le motivazioni che hanno portato molti genitori a scegliere che i propri figli non usufruiscano del servizio di ristorazione scolastica possano essere di tre tipi:
· economiche: il servizio è ritenuto troppo caro rispetto alle disponibilità economiche delle famiglie e/o rispetto alla qualità offerta;
·  ​qualitative: la qualità percepita del servizio è spesso bassa;
·  di principio: la famiglia ritiene di avere il diritto di decidere cosa far mangiare ai propri figli anche quando questi sono a scuola.

Credo sarà doveroso da parte degli enti preposti lavorare nei prossimi mesi per aumentare la qualità e, ove possibile, abbassare i costi, ma non penso che l’avvio di questo percorso potrà modificare di molto i termini della questione: sono già molti i Comuni che applicano tariffe differenziate in base all’ISEE, la situazione finanziaria dei Comuni è quella che tutti conoscono e la qualità costa.
Fino a quando il servizio di ristorazione scolastica sarà per legge definito ‘a domanda individuale’ sembra inutile discutere sul diritto, da parte delle famiglie, di scegliere se usufruirne o meno.
Solo una modifica della legge, che lo definisse servizio collettivo essenziale collegato al tempo scuola di 40 ore, potrebbe cambiare i termini della questione, ma anche se ciò dovesse accadere non sarà in tempi brevi e comunque non ci esimerebbe dalla necessità di riflettere su come questa sentenza e la tanto sbandierata quanto ormai legittima libertà di scelta delle famiglie incideranno sulla questione educativa e sul rapporto scuola-famiglia.

I genitori che rivendicano il diritto ‘al panino’ rivendicano anche il diritto per i propri figli di consumarlo negli stessi spazi utilizzati da chi usufruisce della refezione scolastica, perché, come ribadito anche dalla sentenza del tribunale di Torino, quello in cui si consuma il pasto è tempo scuola durante il quale gli insegnanti di classe propongono percorsi di socializzazione e di educazione alimentare, e non si vuole che i propri figli debbano rinunciare a questo importante momento della vita scolastica.

Quello che non possiamo non chiederci è che tipo di educazione alimentare ci si immagina quando gli alunni mangeranno alimenti, su cui nessuno, oltre alla famiglia, ha potere di controllo, quando la necessità di dare ai propri figli cibi non facilmente deperibili dovrà necessariamente prevalere su quella di dare loro cibi freschi e senza conservanti… Educazione alimentare è anche imparare ad assaggiare cibi che non conosciamo, mangiare, almeno un po’, anche il cibo che non ci piace…

Quello che non possiamo non chiederci è che tipo di socializzazione sarà possibile fare quando nel piatto di alcuni bambini ci sarà un pezzo di pane o poco più, e in quello di altri invece succulenti e, dal punto di vista nutrizionale, equilibrati pranzetti preparati dalle mamme o dalle tate. È già capitato che arrivino a scuola bambini senza il pasto, in questi casi che si farà?

L’integrazione parte anche da un dato di uguaglianza che i pasti ‘domestici’ negano necessariamente: la scuola pubblica dovrebbe promuovere e garantire questa uguaglianza.

Credo che ci sia molta ipocrisia da parte delle famiglie nel pretendere un'azione educativa della scuola durante il tempo del pasto anche quando i bambini mangiano cibo portato da casa, e credo che la scuola abbia il dovere, anche per onestà intellettuale, di non prestarsi a questo gioco.

Stiamo assistendo a una contrapposizione tra diritti individuali e diritti collettivi cui bisogna porre un termine per la serenità di tutti i bambini che troppo spesso sono stati utilizzati come armi per la difesa delle posizioni di principio dei genitori.
Di sicuro bisognerà vigilare affinché il garantire i diritti di alcuni non metta in discussione quelli dei molti che ancora credono nel valore della refezione scolastica collettiva.

Stupisce da questo punto di vista la dichiarazione dell’Ufficio Scolastico piemontese che ha annunciato la disponibilità a destinare personale ATA aggiuntivo per garantire la pulizia delle aree destinate al pasto domestico (la pulizia dei refettori è compresa nel costo della mensa), in una situazione in cui il ministero non riesce a soddisfare le esigenze ‘ordinarie’ delle scuole che segnalano carenze di personale, per garantire vigilanza, assistenza e pulizia, a tutti i bambini.

É ora di riportare la questione fuori dalle aule di tribunale e dalle pagine dei giornali e di ridare ruolo e legittimità ai luoghi preposti a definire l’offerta formativa delle scuola: Collegi docenti e Consigli di Istituto dovranno definire come rimodulare la propria offerta formativa e rivedere  l’organizzazione del tempo scuola per soddisfare le esigenze di tutti i bambini e di tutte le bambine senza discriminare nessuno, ma chiarendo anche i limiti della propria azione educativa ed organizzativa nel caso in cui le famiglie scelgano il pasto domestico.

È necessario riconoscere che la rivendicazione del ‘diritto al panino’ è l’ennesimo colpo che ciò che resta dell’idea di tempo pieno riceve, e che, se dovesse ulteriormente crescere il numero di famiglie che ad esso aderisce, dovremo dichiarare definitivamente tramontata una idea di scuola e il conseguente modello organizzativo in cui abbiamo creduto e che abbiamo tanto difeso in questi ultimi 20 anni.

Forse a partire da ciò che sta accadendo, questa potrà essere l’occasione, che mi auguro molte scuole vorranno cogliere, per rilanciare i propri progetti di educazione alimentare con gli studenti, ma anche e soprattutto con i genitori, per creare occasioni di incontro e di confronto in cui riflettere sul ruolo e sul significato non solo del tempo mensa ma anche della scuola e del rapporto scuola- famiglia, nella consapevolezza che la contrapposizione ‘sorda’ tra due posizioni differenti può solo danneggiare i bambini e le bambine e compromettere il successo formativo cui scuola e famiglia devono tendere insieme.

Scrive...

Elisa Trovò Presidente del CGD (Coordinamento Genitori Democratici) Piemonte