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opinioni a confronto

18/01/2014

Un Invalsi né nostro né loro

di Giuseppe Bagni

Dopo la scelta della ministra Carrozza di nominare una commissione incaricata di individuare il profilo del nuovo presidente si è riacceso il dibattito sull'Invalsi. Ma que­sto mio incipit è solo di stile giornalistico: la discussione intorno a ruolo e funzioni del Sistema nazionale di valutazione in realtà non si è mai placata. La novità sta nelle reazioni che si sono avute di fronte alla composizione della commissione che hanno mostrato due atteggiamenti quasi opposti.

Da un lato alcuni esperti di valutazione e associazioni hanno scritto articoli e appelli preoccupati che essendo composta la commissione di alcuni membri storicamente critici verso l'Invalsi, essi possano forse promuovere qualche cambio di indirizzo nelle attività.
Dall'altro, una bella fetta di scuole ha salutato la scelta di istituire una commissione come un'occasione preziosa di riflessione, prendendone spunto per lanciare una petizione sulle funzioni che dovrebbe assumere l'Invalsi.

Utilizzo lo spazio di discussione che insegnare opportunamente mette a disposizione per chiarire subito che sono in piena sintonia con questa seconda posizione, pur se non ho sottoscritto il documento circolato per ragioni su cui tornerò.

Certo è abbastanza deprimente la levata di scudi anticipata di fronte a nomi di indiscutibile livello, come a palesare il solo desiderio che nessuno disturbi il manovratore. Evidentemente c'è qualcuno che vede la scuola già in movimento e pensa che basti continuare a esercitare la valutazione degli apprendimenti per spingerla verso il miglioramento. Questo è un atteggiamento miope: spingere una macchina può farle fare qualche metro, ma ciò è niente rispetto a dove può arrivare se si convince il conducente ad accendere il motore.
E il motore è l'autonomia: l'unica riforma necessaria, la più inattuata. Una scuola autonoma è una scuola che fa ricerca, innovazione, formazione permanente dei docenti, valutazione. Che cerca fuori di sé gli strumenti che le mancano, primo fra tutti quello offerto da un sistema nazionale di valutazione che fornisca dati, e aiuti la scuola ad acquisire le competenze necessarie alla loro lettura.
Un sistema di valutazione efficiente e condiviso può essere il volano capace finalmente di liberare l'energia delle scuole. Ma su questa strada siamo solo all'inizio: se c'è chi pensa che il più sia fatto, questi è qualcuno che si riempie la bocca di scuola senza conoscerla. 

Non ho firmato la petizione della "Cordata per la scuola" per una serie di ragioni legate ad alcuni aspetti di contenuto e per una mia valutazione del ruolo di presidente di un’associazione.
Questo non toglie che trovi il documento utile al dibattito e opportuno, visto soprattutto il risalto che hanno trovato sulla stampa gli attacchi alla commissione designata a individuare il profilo del nuovo presidente.
Nel documento si chiede (giustamente) che il sistema nazionale di valutazione vada oltre le prove Invalsi, sia inclusivo e condiviso dalle scuole, ma non condivido che ci si rivolga al presidente dell'Invalsi per esporre le proprie esigenze, invece che al ministro e al parlamento: quella che viene perorata deve essere la scelta del Paese, non di un ennesimo uomo solo al comando. Il sistema di valutazione è necessario ma insufficiente se non diventerà lo strumento con cui la scuola si valuta e il paese valuta la propria politica per la scuola.

Nel documento si fa una scelta di campo netta in favore della forma censuaria con la motivazione di non farne uno strumento di nicchia. Non sono d'accordo: l'OCSE-PISA è una rilevazione campionaria ma questo non l'ha resa di nicchia. L'efficacia della valutazione viene garantita dalla sua scientificità e dalla qualità ed estensione della ri­flessione che stimola. Bisogna aver chiaro il pericolo insito nella forma censuaria di perdere scientificità e di stimolare una riflessione a scopo puramente difensivo-ade­guativo.

Invece non abbiamo questa chiarezza, ne è prova il "pensiero sbrigativo" con cui si è brindato ai risultati della scuola nelle ultime rilevazioni sia italiane che internazionali. Pochi si sono chiesti come la scuola abbia potuto migliorare in un periodo in cui vedeva peggiorare tutte le condizioni di lavoro: calo dei finanziamenti; scomparsa del tempo pieno; ricomparsa del maestro unico; restaurazione del voto decimale nella primaria; cristallizzazione della didattica; frantumazione delle cattedre; precariato. La capacità di adattamento è una qualità importante, ma quella della scuola rischia di sconfinare nell'assuefazione: la forma peggiore perché la più passiva.

Io preferisco pensare a un sistema campionario di rilevazione con libertà delle scuole di aggregarsi al campione via via che esse maturano nella capacità di rispettarne i vincoli scientifici e di leggere i dati di ritorno. La qualità delle prove Invalsi è tale che da tempo mi sono convinto che le scuole che vi ottengono ottimi risultati sono ottime scuole (ma senza che sia vero il contrario), però il punto non è questo.

Il punto vero è come far migliorare tutte le scuole. Il principio dell'emulazione verso le scuole migliori è importante, ma non scatta facendo graduatorie sommarie sulla base dei soli risultati (e bene fanno i firmatari a richiedere prudenza nella loro pubblicizzazione). Piuttosto occorre diffondere le migliori pratiche didattiche, andando a scavare dentro i processi che la scuola ha attivato, che ne fanno un centro di ricerca e sperimentazione, sede di formazione permanente dei docenti.

Questi sono i processi che confido le nuove Indicazioni potranno attivare e che avranno bisogno di un buon Sistema Nazionale di Valutazione per essere validati e sostenuti, ma è illusorio pensare che si possano invertire gli addendi ottenendo lo stesso risultato.
Non c'è niente di più inutile di un sistema di valutazione che fornisce risposte a una scuola che non si pone domande.

In ultimo, credo che un presidente di associazione debba far uso con parsimonia della propria firma a titolo personale.
Qualunque associazione si fonda sul desiderio di sviluppare un pensiero condiviso che abbia più voce di quelli di ciascuno. Il presidente è quello di quei "ciascuno" con l'incarico di portare avanti il pensiero di tutti. La sua firma quindi, non è mai del tutto "personale" e la sua visibilità deve essere prioritariamente prestata all'elaborazione che ha condiviso.  Che è quasi sempre lenta e faticosa, ma proprio per questo preziosa. E non solo per l'associazione.

Scrive...

Giuseppe Bagni Insegnante di Chimica negli Istituti secondari, già Presidente nazionale del Cidi, già membro eletto del CSPI.