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31/07/2013

Il mio "cahier de doléances" sulla scuola italiana

di Oriele Orlando

Che cosa è necessario al sistema d’Istruzione italiano? Ritengo siano urgenti programmi di intervento costruttivi, fondati su solide basi di ricerca, ovvero capaci di combattere i pregiudizi dell’opinione pubblica, l’astrattismo, le generalizzazioni sulla base dei dati che rivelano talvolta esiti disastrosi. Diversi sono i soggetti che necessitano dei prodotti di una ricerca seria: dalle scuole agli insegnanti, dai politici agli amministratori, agli esponenti di altri settori sociali del nostro Paese (Vertecchi 2004). A differenza di paesi in cui questa necessità è stata ascoltata e messa in pratica, l’Italia ha cercato di allinearsi all’Unione europea solo negli anni dei dicasteri Berlinguer e De Mauro, in cui fu avviata una riforma della scuola, si svilupparono programmi interni e si ampliò la partecipazione a progetti internazionali. Con il cambio della maggioranza al Parlamento, nelle ultime legislature si è assistito alla strumentalizzazione della scuola, della formazione professionale, della ricerca, a fini governativi piuttosto che a una valutazione oggettiva dei risultati per mettere in atto azioni migliorative.

Esiste pertanto in Italia un difficile rapporto tra scelte politiche ed economiche da un lato e scuola dall’altro, con una conseguente disastrosa politica del risparmio nei confronti del sistema scolastico. La persistente difficoltà a vedere il sistema formativo nel suo complesso provoca una mancanza di valorizzazione della figura dell’insegnante e, non ultimo, il crescente aumento della popolazione scolastica non sembra essere fronteggiato tramite l’abbandono definitivo dell’idea di una scuola elitaria e a favore della realizzazione di una scuola capace di dare autonomia e cultura a tutti.

Confrontarsi con gli altri

In base a quanto emerge dalla comparazione e dallo studio delle indagini campionarie promosse dalla IEA e dall’OCSE è sempre maggiore la necessità di intendere la scuola di base e l’intervento educativo in senso continuativo, attraverso programmi e orientamenti che siano adatti sia alle esigenze dei vari settori scolastici, sia alle varie età della vita (Lifelong Learning), sia alle caratteristiche socioculturali della popolazione. I risultati delle indagini comparative sono stati inizialmente usati con intenti prettamente utilitaristici per assecondare un definito schieramento politico e successivamente sono stati del tutto ignorati poiché avrebbero condotto a intraprendere azioni ben diverse da quelle che l’allora Governo si era prefissato nel mettere in atto una nuova riforma scolastica.

In molti dei Paesi che partecipano alle valutazioni internazionali, i risultati delle indagini hanno indotto i governi locali ad attuare strategie importanti per risolverne le criticità. In Italia, invece, i risultati positivi emersi dalla ricerca PIRLS sono stati volontariamente ignorati per non creare difficoltà alla classe politica nell’attuazione della riforma Moratti della scuola primaria. Atteggiamento non produttivo, dato che il confronto è di per sé sempre fattore di crescita, incubatore di domande, non solo sulle prassi educative che si svolgono negli altri paesi, ma anche sull’organizzazione dei sistemi scolastici, sulle risorse, sulla valutazione, sugli spazi di autonomia; domande con una valenza duplice, di integrazione ma anche di opposizione e attrito che, per contrasto, aiutano nella comprensione dei nostri problemi di programmazione, di risorse, di organizzazione del sistema scolastico. Confrontarci con altri sistemi d’Istruzione è importante, tenendo ben presente però le differenze esistenti tra il nostro Paese e gli altri, quindi con discernimento vanno analizzate le prassi, i modelli, studiata la letteratura scientifica al riguardo e creato un modello che si adatti positivamente alla realtà dell’Istruzione italiana. Non si può mettere forzatamente un vestito estraneo al sistema d’Istruzione italiano senza aver valutato le differenze, le criticità, le “misure” giuste, per restare nella similitudine sartoriale. Quella che occorre perseguire è una qualità che possa verificarsi nel lungo periodo, ponendo l’insieme della popolazione nelle condizioni più favorevoli per partecipare in modo più consapevole alle trasformazioni in corso.

La ricerca educativa e la valutazione

In Italia i settori della ricerca educativa su cui è necessario investire per risolvere le criticità riguardano:
- l’accreditamento del sistema d’istruzione al fine di incrementare a) il riconoscimento a livello internazionale,  b) la comparabilità, c) la fiducia della società nelle istituzioni;
-   l’educazione permanente e strategie di lifelong learning, cioè i Profili di competenza di settori della popolazione stratificati in base all’età, le condizioni di lavoro, l’area geografica di appartenenza;
-   l’accertamento e la misurazione della qualità dell’organizzazione delle scuole (perseguire standard di alta qualità per tutte le scuole in ugual misura; passaggio da standard minimi a standard per la valorizzazione di buone pratiche e/o dell’eccellenza);
-  lo studio di serie diacroniche per misurare l’efficacia dei risultati dell’istruzione a medio e lungo termine.

L’argomento valutazione è posto con forza al centro del dibattito culturale e non potrebbe essere altrimenti, data la congiuntura storica che viviamo, ma si tiene ancora ai margini del discorso pedagogico la riflessione sui dati connessi ai risultati dei vari test internazionali e italiani, in questo modo privando le scuole delle opportunità che derivano dal provare, misurare, confrontarsi nel vivo della propria esperienza. L’enfasi sociale, i confronti, inevitabili, che scaturiscono dalle valutazioni internazionali, pongono con forza i risultati delle rilevazioni al centro del dibattito culturale, ma la valutazione di un sistema non richiede certo che il campione sia rappresentato da tutti gli studenti di tutte le scuole e su modelli esportati. Ciò che serve è definire meglio il progetto.
La scuola italiana, già in ritardo su questi temi, è costantemente tediata da altro, che non aiuta ad affrontare il cuore del problema. La valutazione dovrebbe essere vissuta come la condizione necessaria per leggere e migliorare la qualità dell’Istruzione, individuando in essa la leva strategica per riformare e rilanciare il sistema di istruzione e formazione senza che sia asservito alla maggioranza politica di turno. D’altra parte la progettazione di un sistema di valutazione non è una attività neutra, ma apre un terreno di confronto tra valori: il decidere le finalità, gli obiettivi, gli indicatori rispetto al target, il peso che si attribuisce ai fattori di contesto, alla correlazione tra valutazione esterna ed interna, all’interpretazione dei risultati, ai processi decisionali per il miglioramento nell’allocazione delle risorse, senza generare conflitti e competizione tra le scuole, come invece si è ventilato di fare, ma ricordando che «i criteri di valutazione sono soggetti ad un aggiustamento parallelo alle trasformazioni socioeconomiche e culturali del contesto in cui la scuola opera» (Vertecchi 2003).

 

I dati del ritardo

Ruolo e funzione della scuola trovano una definizione condivisa nel dettato costituzionale. È necessario mantenere la struttura unitaria del sistema scolastico. Semmai si devono contrastare le forme di varianza e di differenziazione tra regioni e all'interno di uno stesso territorio definendo i correttivi necessari, perché ciascuna scuola migliori l’azione formativa.

Una scuola di alta qualità richiede di curare il contesto per un buon apprendimento. Ma l’attuale sistema scolastico assicura le conoscenze necessarie per un sistema sociale che si evolve e si trasforma in tempi veloci?
Riesce a creare la conoscenza di cui abbiamo bisogno?
È in grado di ridurre le differenze di condizione sociale e familiare?
Riesce a contrastare le criticità scolastiche ed educative: abbandoni, bullismo?
A ogni allievo sono offerte eguali opportunità di realizzare le sue potenzialità?

Non è così purtroppo, e dall’analisi della situazione specifica si evidenzia lo stato di malattia del sistema d’Istruzione del Paese. Le ultime politiche attuate hanno ridotto le ore di insegnamento delle discipline, istituito classi numerose fino a 35 studenti, includendo in esse anche uno o più studenti DSA*, diversi studenti ripetenti, studenti non italofoni appena arrivati in Italia per ricongiungimento familiare e quindi con nessuna competenza sia in “ItalBase” che in “ItalStudio”. Si sono chiuse diverse strutture, accorpando. Il lavoro per le pratiche burocratiche è divenuto la parte più consistente dell’attività che si svolge a scuola.

Chi fa le spese di tutto sono gli studenti, in particolare quanti provengono da un background socio economico e culturale più svantaggiato, come i non italofoni sia di prima che di seconda generazione. Il Rapporto della rilevazione degli apprendimenti 2012 a opera dell’Invalsi riporta come la variabilità dei risultati è per lo più spiegata dalla difformità del background socio-economico-culturale soprattutto nel Mezzogiorno. L’incidenza del background familiare sulle competenze sia in lettura che in matematica, ci dice il rapporto, tende ad aumentare principalmente nel passaggio alla scuola secondaria di secondo grado.

Importante è anche leggere quanto la situazione familiare incida non solo a livello individuale, ma anche nella media della classe. Cosa dire degli ultimi dati pubblicati delle prove PIRLS e TIMMS, che confermano, nero su bianco, quanto le azioni intraprese in questi ultimi anni abbiano inciso nel rendimento degli studenti italiani per le competenze in lettura?

Fino a qualche anno fa i nostri studenti al quarto anno di scolarizzazione riportavano punteggi migliori. Dal 2001 al 2006 vi era stato un miglioramento. I dati delle rilevazioni del 2011 ci dicono che siamo retrocessi. Sono confermati invece i dati meno soddisfacenti degli studenti italiani nei domini cognitivi, in quelle prove che implicano sforzi di ragionamento e argomentazione. Altri dati, altre statistiche, ci dicono che è aumentato il tasso dell’abbandono scolastico, sono ridotti considerevolmente i numeri di quanti si iscrivono all’università. Il CUN ha denunciato il fenomeno e ha paragonato i numeri alla scomparsa di un intero Ateneo. Eppure la Strategia Europa “Istruzione e formazione 2020”, siglata anche dagli italiani, fissa al 10 per cento il livello entro il quale dovrebbero essere contenuti gli abbandoni scolastici prematuri. Per gli studenti non italofoni il tasso di abbandono è del 43,8 per cento, a fronte di un valore del 16,4 per cento dei coetanei italiani. L’ISTAT redarguisce sugli effetti negativi che questo fenomeno ha sull’occupazione e sulla mobilità sociale poiché sugli abbandoni precoci pesa il basso livello d’istruzione dei genitori, che in questo modo si perpetua generazione dopo generazione.

 

 

 

 

 

 




Fonte Istat: periodo di riferimento- anno 2009 (pubblicato il 27 maggio 2011).

Occorre superare questo vulnus, con l'urgenza dettata dalla gravità della circostanza e, contestualmente, provvedere a garantire a tutti i giovani presenti nel paese il diritto ad andare a scuola, a ricevere una istruzione adeguata. I discorsi su scuola, apprendimento, insegnamento, università, ricerca, formazione professionale, con relativi dati utilizzati in modo del tutto funzionale a scopi più o meno dichiarati da parte di chi agisce per ridurre la qualità dell’istruzione per tutti, sono all’ordine del giorno. Taluni discorsi sono fatti proprio per ridurre ulteriormente l’organico esistente nelle scuole e aumentare il monte ore di lavoro degli insegnanti a stipendio bloccato, invece di riflettere sui problemi di una professione che conta molte centinaia di migliaia di addetti impegnati su tutto il territorio: comprendere quali siano le condizioni normali di lavoro degli insegnanti, le difficoltà che incontrano, il disagio che deriva dalla perdita del riconoscimento sociale e dalla quotidiana emergenza di un progressivo complicarsi della funzione educativa della scuola. Docenti chiamati ad agire in contesti di grandi sfide hanno invece bisogno di una formazione continua per sviluppare proposte che qualifichino e arricchiscano l’azione educativa, di nuove correnti pedagogiche e di nuovi ambienti di apprendimento.
Non si riesce a vedere la correlazione tra una scuola rabberciata, una formazione professionale spregiata, un'università sgangherata, tassi di lettura desolanti e la loro logica conseguenza, cioè una bassa, molto bassa produttività.

Intanto le classi sono divenute campo di battaglia della scuola italiana. Gli studenti sono in guerra contro gli insegnanti, spalleggiati dai genitori che assolvono il ruolo di avvocati dei propri figli. Le famiglie non si fidano più degli insegnanti e non trasmettono più regole ai loro figli convinti di dover sopperire, secondo loro, all'educazione inadeguata, alla non preparazione degli insegnanti che svolgono un lavoro “leggero che assicura tre mesi di vacanze”. Questa è la falsa vulgata, avvalorata anche da affermazioni di discredito che arrivano da più parti, anche da chi ricopre cariche pubbliche. Va restituita dignità alla professione degli insegnanti, rinnovata la partecipazione dei genitori e degli studenti al patto formativo, altrimenti la conflittualità che si vive nelle classi è destinata a crescere. L’autonomia scolastica è stata fraintesa da parte delle famiglie che invece di essere parte attiva nella gestione, in relazione con il territorio nella creazione di una comunità educativa, interviene nelle prassi didattica rompendo il patto tra scuola e famiglia.

Che cosa serve, allora?

Serve fare una riforma che parta dall’analisi dell’esistente, senza dimenticare i cambiamenti intervenuti dall’Unità d’Italia a oggi, che veda collaborare il mondo della ricerca educativa, i politici e soprattutto gli specialisti della scuola vissuta. Questi ultimi possono fornire un punto di vista completo, dalle miserie alle ricchezze, dai punti deboli ai punti di forza, delle ansie, le preoccupazioni e anche le speranze che ancora abitano la scuola qui souffre et pleure dans tous les villages d’Italie. Occorre ricordare che la scuola non è solo degli studenti, delle loro famiglie, di quanti vi lavorano con compiti diversi. La scuola serve alla società e serve a promuovere cittadinanza consapevole, cultura, benessere. È di tutti e deve essere per tutti. Nella complessa società della conoscenza che viviamo la formazione del capitale umano è importante per il futuro del Paese. Trasmettere e acquisire conoscenze e competenze è decisivo per l’evoluzione, il benessere sociale, lo sviluppo. Lo capiranno prima o poi coloro che governano?


* Ora BES, in un delirio di sigle che non nasconde approcci sempre più improvvidi (NdR).

 

 

Riferimenti bibliografici


Vertecchi B., 2003, Manuale della valutazione. Analisi degli apprendimenti e dei contesti, Franco Angeli, Milano.

Vertecchi B., 2004, Le sirene di Malthus. Pensieri sulla scuola (2001-2004), Anicia, Roma.

 

Scrive...

Oriele Orlando Docente di storia e letteratura Italiana nella scuola secondaria superiore; si occupa di didattica e Tic ed è specializzata nell’insegnamento dell’Italiano L2.

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