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18/03/2019

Per una didattica attiva tra scuola e realtà

di Mauro Baldassarre, Carla Sbrolli

Abbiamo cominciato ventisette anni fa, circa, con l’idea che il vissuto mobilitasse più senso del semplicemente appreso: con l’idea che le emozioni implicassero esercizi di ragione, laddove la sola razionalità non fosse sufficiente a garantire la valenza emotiva dei sedimenti culturali eventualmente acquisiti.

Abbiamo cominciato - noi, insegnanti di diritto ed economia politica - con il “mettere in scena” i lavori dell’Assemblea Costituente. Ogni ragazzo rappresentava un padre costituente: De Gasperi, Togliatti, Terracini, Mortati, Lucifero, Benedetto Croce, Nenni, Ruini, Calamandrei, ecc.; doveva leggere documenti, testi dei discorsi in Assemblea – in particolare, quelli relativi all’art. 7 della Costituzione ed ai rapporti Stato-Chiesa – e dare a essi la propria voce, in scena, in contrapposizione col punto di vista altrui.
Passammo, poi, ad affrontare la questione delle aspettative deluse degli anni ‘60-‘70 in Italia: della rivolta degli studenti e delle lotte dei lavoratori, schiacciate tra stragismo di Stato e criminale follia terroristica.
Aspettative deluse… e realtà sempre più drammatica: erano gli anni ’80, quelli delle ristrutturazioni alla FIAT e della robotizzazione della catena di montaggio, successivamente delle prime esternalizzazioni e dell’attacco alla “scala mobile”, al salario operaio e ai diritti conquistati dei lavoratori. Si cominciava a intravvedere il “riflusso” e la sconfitta politica delle antiche speranze, in una drammatica prospettiva di disoccupazione, di precarietà, di impoverimento.
Così, il nostro lavoro di insegnanti virò verso queste tematiche: l’analisi e le necessità di tutela delle condizioni di vita e i diritti dei lavoratori; l’analisi delle cause della disoccupazione e delle indicazioni di politica economica più utili a garantire il diritto al lavoro; l’analisi di una povertà sempre più estesa e delle possibili – e, tuttavia, sistematicamente inapplicate – politiche di redistribuzione del reddito e della ricchezza.

Sono venuti, poi, gli anni Novanta, dell’autonomia scolastica e della continuamente richiamata necessità di implementare il collegamento tra scuola e territorio. Esigenza logica e comprensibile, se fosse – come dovrebbe essere – convergenza sinergica di competenze allo scopo di modificare quel territorio – per qualche aspetto –e di farlo nel senso previsto dalla nostra Costituzione.
Abbiamo, dunque, virato verso l’analisi delle realtà locali: la Montedison di Bussi e le condizioni di lavoro e di salute di quelli che in quella fabbrica lavoravano (prima, molto prima che scoppiasse il caso – ancora irrisolto - della discarica tossica più grande d’Europa); la ex Merker Hishima (ora CIR: Compagnia Italiana Rimorchi), di Tocco da Casauria, e dell’indecorosa vicenda della sua chiusura a opera di un management implicato in vicende giudiziarie di corruzione e malversazione, con la complicità delle banche; la vicenda dei Laboratori dell’Istituto di Fisica Nucleare del Gran Sasso, della ventilata costruzione della “terza canna” nelle viscere della montagna e dell’inquinamento delle acque dell’acquedotto del Ruzzo (vicenda, anche queste, attualissima, e – basta leggere le cronache giornalistiche locali e nazionali - niente affatto risolta); l’indegno mercato della formazione – vero e proprio mercato delle illusioni – con le tante agenzie private di collocamento che operano anche dalle nostre parti.

Abbiamo operato e collaborato con una miriade di enti e di associazioni del nostro territorio: dal Comune di Pescara e quello di Montesilvano, alla Camera di Commercio di Pescara, alla Confindustria, alla Confcommercio, alla Cgil, alla CNA, alla Caritas.
Abbiamo garantito continuamente il pluralismo dei punti di vista ai nostri studenti, invitando personaggi locali e nazionali scomodi o di differente orientamento rispetto al nostro: da Maurizio Landini a Don Luigi Ciotti, da Altero Matteoli (ministro dell’ambiente di Alleanza Nazionale, ex MSI) ad Alberto Franceschini (fondatore delle BR) a Sergio Flamigni (presidente della Commissione Parlamentare sulle stragi); dal giurista Michele Ainis alla scrittrice Dacia Maraini…
Abbiamo portato i nostri studenti nei luoghi topici del confronto e dello scontro delle idee e degli interessi: dentro le fabbriche, all’interno dei Comuni, dentro le sedi delle agenzie per il lavoro interinale, dentro ai laboratori del Gran Sasso… portando sempre il punto di vista della scuola: non andando semplicemente ad ascoltare quanto altri avevano da dirci, ma andando ad interloquire, a volte anche aspramente.

Ed è venuto il tempo delle migrazioni in Italia e della reazione sovranista.
Contemporaneamente, siamo entrati nel circuito nazionale delle scuole service learning. Abbiamo appreso che, l’analisi delle problematiche del territorio dovrebbe spingere… anzi, sarebbe opportuno che spinga ad avanzare proposte di soluzione, sia pure parziali.
E così abbiamo fatto.
Da due anni stiamo affrontando la questione del diritto alla casa sul nostro territorio: diritto negato, sempre di più, alle famiglie italiane, progressivamente impoverite dalla disoccupazione e dalla precarietà del lavoro; diritto negato alle comunità di nuovo insediamento sul nostro territorio, vessate dalla mancanza di lavoro, dalla clandestinità, dalla discriminazione, dai pregiudizi.

A questo proposito, due anni fa, in risposta a un bando nazionale abbiamo presentato il progetto biennale “MAI PIU’ SENZA… persone senza casa e case senza persone”, sulla base del quale diventammo scuola capofila per il service learning in Abruzzo.
Quel progetto prevede una proposta, facile, semplice, solo di buon senso, questa: che il Comune dia autorizzazione a costruire solo a quelle imprese che si impegnino a cedere in locazione al Comune stesso, su sua richiesta e a canone equo, le unità abitative non locate e non vendute a un anno dal rilascio dell’abitabilità. Sarà quindi compito del Comune trasferire i contratti di locazione, con identiche condizioni, a famiglie – italiane e straniere – prive di abitazione o in difficoltà nel reperirne una ai prezzi di mercato.
Una proposta semplice, appunto - ovvia, di salute pubblica, persino – se si pensa che quello di Montesilvano è un territorio ampiamente e disordinatamente edificato, pieno di costruzioni – anche recenti – da anni disabitate. La proposta è stata presentata al Comune di Montesilvano e alle organizzazioni e associazioni del territorio. Il Comune, per bocca del Sindaco, l’ha ritenuta “fattibile”. La Cgil ed il Sunia la sostengono.
Lo scorso febbraio una rappresentanza di due studenti delle classi coinvolte nel progetto (due terze ed una quarta) ha incontrato in Comune le autorità competenti  e si è istituito un tavolo tecnico volto a verificare la concreta possibilità e i criteri di attuazione della proposta.
Come insegnanti e come cittadini - come scuola - speriamo davvero che si possa fare qualcosa per mettere fine ad uno dei tanti scandali del nostro tempo: la pletora di case vuote e, nel contempo, di persone prive di casa.

Abbiamo raccontato tutto questo perché ci sembra importante poter dire che il ruolo ed il significato di una azione educativa, il ruolo ed il significato della stessa scuola stanno nella capacità di stare nell’agone del confronto degli interessi e delle idee: stanno nella capacità di prendere parte ai processi di trasformazione del territorio e della società, avendo come fondamento d’azione i valori della democrazia, della Costituzione Repubblicana antifascista. L’azione pedagogica e didattica è sempre azione politica.

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