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04/09/2020

Per una progettazione emancipata ed emancipante

di Marco Guastavigna

Un nuovo spettro digitale si aggira nei corridoi, nelle aule, nelle sale-insegnanti, nelle presidenze, quello del Piano della Didattica Integrata, formulazione totalizzante – soprattutto nell’impiego del singolare e della preposizione articolata – e assolutizzante, per altro accolta come tale anche dai suoi più fieri oppositori, che ne propugnano l’ostracismo totale, senza se e senza ma.
In questa occasione come in molte altre, troppi istituti rischiano di cadere nella tentazione di un approccio compilativo, considerato il fatto che circolano addirittura dei modelli, volti a trasformare il passaggio progettuale in scadenza burocratica, da assolvere con la minor fatica possibile.
Obiettivo è un documento che salvaguardi soprattutto l’aspetto procedurale e formale delle decisioni sulla eventuale didattica e sulle relative implicazioni logistiche e organizzative.

I modelli precompilati, quindi, raccolgono e assemblano le indicazioni e le piste di lavoro fatte circolare negli ultimi decenni dal Ministero in merito alla “scuola digitale” e sono da completare con i dati specifici della singola unità scolastica. 
Procedere in questo modo significherebbe però dimenticare che quegli stessi criteri sono stati spesso utilizzati dal Ministero medesimo per alimentare la competizione tra gli istituti, secondo la filosofia dei bandi di finanziamento selettivo e riservato.
Significherebbe cioè accettare e convalidare l’egemonia del Pensiero pedagogico unico veicolato dalle campagne istituzionali per l’impiego dei dispositivi digitali, destinate non alla costruzione di quadri concettuali emancipanti, ma all’acquisizione di skills adattive e di una forma mentis precocemente subordinata alla cultura estrattiva delle piattaforme del capitalismo di sorveglianza  e alla mercificazione della conoscenza e di ogni forma di lavoro.

Io sono invece convinto che, dopo il distanziamento forzato delle attività didattiche per quasi metà anno scolastico e in una situazione tuttora di emergenza, debba essere individuata, denunciata e contrastata ogni abdicazione da responsabilità istituzionali e da interventi politici e normativi di regolazione e garanzia nel campo della comunicazione equa e democratica.
Il ministero per parte sua ha fatto scelte ancora una volta molto chiare: partnership con le multinazionali digitali e rinuncia alla realizzazione di una infrastruttura pubblica, negoziata, flessibile e aperta a modifiche.
Si preferisce insomma adeguarsi allo scenario prevalente presentandolo come l’unico possibile senza metterlo in discussione e quindi scaricare sui singoli utenti il carico dell’autotutela e della adozione di comportamenti corretti, per esempio nei confronti della diffusione intenzionale e manipolatoria di campagne d’odio o di notizie false, ricorrendo alla già di per sé ambigua nozione di “cittadinanza digitale”, per di più ridotta a confusa forma di insegnamento.

Esistono però anche altri scenari e altre impostazioni, con intenzioni alternative a quelle dei dispositivi mainstream: dal software libero alle piattaforme destinate alla cooperazione non tracciata e ai motori di ricerca che non mettono in atto la profilazione degli utenti.
Ciò dovrebbe diventare patrimonio concettuale e operativo condiviso da parte di tutti coloro che si battono per un approccio critico alla “questione digitale” che non sia soltanto respingimento, ma progettazione alternativa, difesa della libertà di insegnamento come garanzia culturale, diritto collettivo e pratica dell'emancipazione professionale e intellettuale.

 

Scrive...

Marco Guastavigna Insegnante di Scuola secondaria di secondo grado e formatore, si occupa da quasi trent’anni di “nuove” tecnologie e rappresentazioni grafiche della conoscenza.