Vogliamo e dobbiamo scommettere che questo incontro (nella seconda giornata del Seminario interassociativo "Per una scuola incubatrice di futuro", 14 aprile 2021) sappia fondare una sinergia di intenti, di pensiero, di proposte. Il valore particolare dell’iniziativa sta proprio nell’aver colto la sfida strategica che oggi si impone se si riconoscono la vastità della materia scolastica e la profondità delle ferite e delle contraddizioni che l’affliggono. Il fine va ben aldilà della riapertura sollecita, riguarda il cambiamento radicale che urge: occorre tracciare una mappa di percorsi convergenti che conducano al nuovo. Il cuore esigente della scuola ne ha bisogno, non solo per sopravvivere ma anche per crescere.
All’iniziativa erano naturalmente presenti le voci degli insegnanti, attraverso i dirigenti delle associazioni che in questi anni hanno tentato di tenere dritta la barra della civiltà scolastica ossia il confronto, l’ indagine paziente del problema didattico nello studio disciplinare, nella cura degli studenti, nella critica/autocritica delle procedure e dei loro effetti. Le loro relazioni hanno fatto luce su alcune questioni di fondo:
Le questioni poste dai docenti sono naturalmente rimbalzate negli interventi successivi: i rappresentanti di sindacati ed enti locali le hanno rielaborate sottolineandone gli aspetti più significativi, in presenza di un interlocutore privilegiato quale la delegata del ministro, apparsa attenta alle istanze avanzate.
Da più parti si è riflettuto sulla delicatezza del momento: la crisi pandemica, l’esperienza della “dad” hanno di certo provocato uno scossone nel sistema scolastico, rinforzando d’altra parte la consapevolezza dei suoi compiti costituzionali: la sottrazione dello spazio relazionale comune, l’aula scolastica, luogo fisico di condivisione, improvvisamente sostituito da ambienti privati differentemente attrezzati, ha sintetizzato efficacemente le carenze, vecchie e nuove, dell’inclusione e delle pari opportunità. Ma una scuola inclusiva, è stato detto, è quella che garantisce ambienti idonei e sicuri, che riduce il numero degli alunni per poter seguire davvero ciascuno nella sua differenza, che si organizza esercitando una collegialità funzionale alla ricerca didattica; una scuola che predispone e offre tempi prolungati, che si fa carico della formazione in tutti i luoghi della penisola, in tutte le fasce d’età, compresa la prima infanzia, così da non discriminare le famiglie disagiate; infine una scuola che coopera con enti e associazioni per sviluppare intese progettuali non estemporanee ma di lungo respiro, aderenti ai bisogni dei cittadini: questa istituzione appartiene solo a loro. Ed è evidente che non sarà certo l’autonomia oggi diffusamente vigente quella che potrà realizzare scelte adeguate: qualunque ipotesi di cambiamento democratico impone come condizione necessaria l’abbattimento dell’autonomia della dirigenza e dello staff, figlia del neoliberismo competitivo.
Dunque, come è stato detto espressamente e appassionatamente, “le risposte ci sono”, o almeno l’incontro in questione di certo ha saputo dissodare un terreno su cui far germogliare risposte. Se questo è vero, il problema resta il come? : come proseguire efficacemente un laboratorio plurale, capace di produrre il “futuro” annunciato anche nel titolo dell’iniziativa, consapevoli che, nel caso si osi immaginare un tempo socialmente più avanzato in senso democratico, la scuola torna la questione centrale, riconosciuta infine come primo motore di cittadinanza.
Ma un futuro ha bisogno di progetto: di qui l’urgenza di una piattaforma che raccolga le analisi critiche della realtà in atto e di conseguenza elabori concretamente, e quanto più possibile puntualmente, proposte rifondative. Occorre prospettare con chiarezza/concretezza un piano di cambiamento verso cui chi ha potere decisionale possa/debba prendere posizione assumendosene la responsabilità, particolare e forse unica in un passaggio come questo, non solo per la drammaticità della crisi che lo caratterizza ma anche per l’opportunità che i fondi europei a breve disponibili rappresentano: opportunità da non perdere assolutamente.
In effetti le associazioni, i sindacati, gli enti locali, soggetti animatori di questo intenso pomeriggio, possono mettere a disposizione un patrimonio di provate competenze tecniche, una tradizione secolare di lotta per i diritti, una pratica politica di servizio al cittadino: possiamo/dobbiamo ragionevolmente scommettere, come si accennava in apertura, che questi soggetti siano capaci dell’ “incubazione” invocata. Diversamente, non è facile intravedere un’alternativa convincente.
Ognuna delle parti intervenute potrebbe darsi un compito: convogliare le energie a disposizione per la definizione di una bozza da confrontare con le altre parti, in vista di una elaborazione comune: una sintesi interattiva, intreccio plurale, “meticciato” di ascolti, di commenti, di proposte. E vanno concordati tempi strettissimi affinché quanto prima risulti chiaro un progetto di rifondazione totalmente alternativo a quello auspicato da più parti e pubblicizzato dai media. Quando infatti l’attenzione si scosta dal tema del rientro e della sicurezza, il nuovo della scuola, invocato come tratto saliente dell’era postpandemica, viene meccanicamente associato all’invasione massiccia delle tecnologie, percepita come una necessità ineluttabile, meritevole di prosciugare le risorse annunciate. L’impianto tecnocratico della vigente autonomia, lungi dall’essere sottoposto a un esame critico rigoroso, viene piuttosto confermato come trampolino ideale per il lancio di una nuova era, piegata verso la digitalizzazione forzata, l’imposizione, resa ormai esplicita, della didattica integrata, il filtraggio di ogni sapere attraverso le maglie dell’informatica: il tutto in assenza di una qualche riflessione critica sulle motivazioni di questa opzione, sui sensi della sua pervasività, sulla portata delle modificazioni che ne deriverebbero rispetto alle pratiche didattiche e alla stessa natura epistemologica dei saperi disciplinari. Insomma il principio di imitazione/assimilazione, che appaia la scuola ai settori della produzione, dell’ amministrazione, dell’informazione, sembra emergere come unica motivazione plausibile.
Tuttavia, se dopo un anno di didattica a distanza, integrata e non - esperienza oggettivamente demistificante - ci chiediamo quali siano gli orientamenti dei docenti, la risposta è che, rispetto alla scorsa primavera, molti entusiasmi si sono spenti: al fideismo tecnologico dei nuovi credenti, stile XXI secolo, si contrappone oggi una schiera discretamente folta di malumori che tuttavia, anche sulla base di innumerevoli pregresse esperienze, possiamo prevedere che con ogni probabilità non evolveranno verso prese di posizione coerenti, neanche nelle sedi collegiali deputate, peraltro assai rare in era covid e poco motivanti, data la proliferazione sfiancante dei webinar. A essere realisti, queste insoddisfazioni imploderanno nel consueto ripiegato silenzio che accompagna l’autonomia della dirigenza e dello staff.
Dunque un progetto di rifondazione, condiviso fra scuola, sindacati e enti locali, servirà a riparare gli errori stratificatisi nell’arco di più di venti anni e mai soggetti, peraltro, a un serio bilancio critico, ma al contempo, recuperando le ragioni di fondo di una scuola autenticamente formativa e democratica, questa proposta favorirà scelte coerenti anche nell’ambito dell’innovazione tecnologica che di certo non sarà sufficiente legittimare sulla base di un criterio di pura autoreferenzialità o di imitazione. In ogni caso è fondamentale sottolineare che, ammesso si giunga alla formulazione di questa piattaforma condivisa, soltanto se finalmente si saprà suscitare un vero e partecipato dibattito, prima di tutto fra gli insegnanti, ma possibilmente anche fra tutti gli interessati al progresso civile del nostro Paese, si potrà sperare in una sua qualche effettiva applicabilità ed efficacia. Come si accennava prima, il silenzio, il ripiegamento, un sentimento di insufficienza/impotenza sono le esperienze più diffuse e condivise fra i docenti di questa autonomia dove è ormai tradizione, perpetrata anche in questa tragica realtà pandemica, una sorta di scandalosa divisione del lavoro fra un ristretto gruppo che impartisce direttive e una massa che le esegue senza averne condiviso la gestazione e spesso anche le ragioni.
Dunque è auspicabile un impegno serio affinché un’eventuale proposta plurale, prima ancora di essere inviata al ministro, possa figurare all’ordine del giorno delle assemblee sindacali e, meglio ancora, dei collegi. Considerando la pregressa esperienza degli ultimi venti anni, solo questo passaggio potrà offrire garanzie di effettivo cambiamento oltre che, naturalmente, consentire la raccolta di idee per interventi migliorativi in merito ai contenuti.
Dall’incontro in oggetto è emersa un’indicazione forte che va colta: vogliamo sperare che sia il bandolo giusto, che ne nasca un movimento sapiente capace di sbrogliare la peciosa matassa di silenzi e menzogne che avvolgono un cuore, pur ancora pulsante di vita, educato ai sensi problematici e forti della nostra Costituzione. Speriamo che infine il richiamo di quel battito ci guidi a realizzare il progetto di libertà che questo frangente, o forse questo passaggio epocale, richiede.