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20/12/2023

Rosso Malpelo e la filiera tecnico-professionale

di M. Gloria Calì

"Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone. Sicché tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre, col sentirgli dir sempre a quel modo, aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo. Del resto, ella lo vedeva soltanto il sabato sera, quando tornava a casa con quei pochi soldi della settimana; e siccome era malpelo c'era anche a temere che ne sottraesse un paio, di quei soldi: nel dubbio, per non sbagliare, la sorella maggiore gli faceva la ricevuta a scapaccioni."
Questo è l'incipit di "Rosso Malpelo", la novella di Giovanni Verga scritta dopo la pubblicazione, nel 1876, dell'inchiesta Franchetti-Sonnino sullo sfruttamento del lavoro minorile, contenuta nel saggio “La Sicilia nel 1876”. 
Rosso Malpelo, comunque si chiamasse, era minatore figlio di minatore, categoria di persone sfruttate e tenuti in uno stato di schiavitù bestiale, poco sfumata da pochi spiccioli di salario. L'umanità di queste persone è garantita non dal sistema sociale ed economico, che nega loro ogni diritto, ma dai loro sentimenti reciproci: il papà, preoccupato per i rischi enormi di questa condizione di lavoro, esorta continuamente il ragazzo a stare attento ai segnali di cedimento della galleria. Quando crolla il pilastro esile che regge la galleria, lui muore schiacciato, e il ragazzo non sarà più lo stesso, diventando "cattivo": ribelle ad ogni comando, violento con i deboli.
Nello spaccato della società tracciato dallo scrittore siciliano, le classi sociali sono determinate per nascita, e chiuse ad ogni infrazione di questo determinismo. Dopo che muore il padre, Malpelo non vuole più lavorare in miniera, “però infine tornò alla cava dopo qualche giorno, quando sua madre piagnucolando ve lo condusse per mano; giacché, alle volte, il pane che si mangia non si può andare a cercarlo di qua e di là.”
In questo sistema c’è anche invece, per privilegio di casta avuto accesso all'istruzione e alla cultura: "l'ingegnere che dirigeva i lavori della cava", che, al momento del crollo è a teatro e, dopo un frettoloso sopralluogo, torna a sedersi in platea. La connessione tra potere culturale e potere economico è evidente, in questa narrazione.

Oggi, Malpelo sarebbe uno degli alunni della scuola media che si assentano spesso fino a diventare un disperso e, nella migliore delle ipotesi, avrebbe concluso la scuola media da "drop out, quindi con qualche formula di recupero e assistenza per il conseguimento del titolo di studio; sarebbe stato, quindi, indirizzato verso la "filiera tecnico-professionale", in modo da mettere a frutto la sua forza bruta, interiore ed esteriore, in un settore produttivo qualunque, giacché non è buono per i libri. 
O forse, dato che era di un sobborgo catanese, avrebbe optato per la più gratificante e remunerativa militanza nelle schiere della malavita organizzata. 

Anziché lavorare sui fondamenti del diritto all'istruzione (insegnamento-apprendimento dei saperi disciplinari, territorio e infrastrutture per la scuola, accesso all'istruzione terziaria) affinché ogni ragazzo e ogni ragazza possa leggere se stess* e il mondo, e scegliere come starci nel modo più giusto, il governo in carica anticipa questa scelta, canalizza precocemente, per decretazione rapida e unidirezionale. Lo sguardo verso l'umanità che popola le classi dev'essere unicamente quello economicistico: che lavoro potrà fare da grande? O meglio: da adolescente? Sì, perché il PCTO può essere anticipato a 15 anni, al secondo anno. Già l’introduzione dell’alternanza scuola-lavoro, poi rivestita della formula edulcorata del PCTO, quando è stata introdotta, ci è sembrata assestare un colpo duro al valore emancipante della scuola e alle strutture delle discipline, unico “portale” per una scelta consapevole per segnare la rotta del proprio futuro.

Che si tolga Verga dai libri di letteratura, allora, così come i paragrafi sull'industrializzazione da quelli di storia, tanto per cominciare. Ah sì: anche questo è previsto dal decreto: l'intervento sui curricoli, che, fino ad ora sono pericolosamente finalizzati allo sviluppo delle possibilità di scelta individuale attraverso strumenti culturali, sia specialistici che generali. 

La libera e consapevole espressione della volontà individuale, l'auto-orientamento verso un impegno attivo e responsabile nella società, attraverso i saperi, vanno repressi, e vanno tradotti in un allettamento non verso il lavoro, che è forma necessaria di partecipazione alla collettività e di sostegno alla dignità personale, ma verso il guadagno, possibilmente sotto padrone.
Così s’è ottenuto un risultato doppio: anzitutto, mortificare il ruolo della scuola come istituzione che rimuove gli ostacoli al pieno sviluppo della persona, l’articolo 3 comma 2 che è stato cacciato via dal dibattito politico, dagli interventi normativi, dall’idea stessa di stato moderno. In secondo luogo, erogare un’istruzione povera di stimoli culturali, finalizzata unicamente all’inserimento inconsapevole in un sistema produttivo che garantisce realmente solo chi ha già una posizione economica solida, socialmente rilevante. Già, perché in una società di privilegi come quella italiana contemporanea, la sanità, per esempio, ha un volto amichevole per chi ha la possibilità di pagare, mentre mostra un volto inespressivo e incerto a chi, semplicemente, vorrebbe accedere al diritto alla cura.
In modo analogo, indurre un figlio o una figlia al percorso di studi liceali, significa avere una base economica familiare che possa garantire una prospettiva di scelte future certamente dispendiose. Gli “studi” (mettiamo le virgolette, dopo il decreto…) tecnico-professionali, almeno, garantiscono la scelta per una qualche forma di guadagno a breve scadenza.

E' stato evidenziato molte volte come questo processo fosse già in atto nella scuola ben prima di questi ultimi provvedimenti, ma possiamo senz'altro constatare che gli ultimi interventi sulla scuola secondaria siano senz'altro apertamente orientati verso la costruzione di una fabbrica, non il rafforzamento di un'istituzione. 

 

Immagine a fianco: Galleria d'Arte Moderna di Palermo, sala in cui è esposto il dipinto "I Carusi" di Onofrio Tomaselli (1905)

Scrive...

M. Gloria Calì Insegnante di lettere alla media da oltre 20 anni, si occupa di curricolo, discipline, trasversalità, con particolare attenzione alle questioni della didattica del paesaggio. Direttrice di "insegnare".