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17/08/2022

Ruolo chiave della formazione?

di Maurizio Muraglia

Posto che la stessa politica, con il suo iter parlamentare, farà giustizia del grottesco insito in questa norma del docente esperto, appena pubblicata in Gazzetta Ufficiale, e posto che non vi è proprio bisogno di scomodare chissà quali argomenti per confutarne l’insensatezza, val la pena mettere insieme qualche riflessione suscitata da recenti dichiarazioni trionfalistiche del ministro pro tempore, che enfatizza la nuova centralità dei docenti ed il ruolo-chiave della formazione.  

La formazione non ha mai smesso di avere un ruolo-chiave. Nei discorsi, s’intende. La "Buona Scuola" sette anni fa ne fece un cardine della sua riforma, fu emanato addirittura un Piano nazionale con nove priorità formative e furono avviate le formazioni di ambito, con annesso investimento di risorse pubbliche. Ottantotto pagine, soltanto sette anni fa. Più ruolo-chiave di così. Purtroppo però la formazione di ambito si rivelò un fallimento ed il celebre attributo di obbligatoria, strutturale e permanente non ebbe mai seguito perché nessun docente si è mai sentito obbligato da niente a da nessuno ad alcunché per i ben noti veti sindacali. L’altrettanto mitica piattaforma Sofia si è rivelata, e si rivela tutt’ora, un gigantesco supermarket di offerte che non incide di una virgola sulla qualità del sistema scolastico.

Quindi al ministro pro tempore qualcuno dovrebbe ricordare che la formazione non ha mai cessato di rivestire un ruolo-chiave nei discorsi, nei documenti e nei progetti, e sarebbe paradossale pensare che lo rivesta adesso perché un manipolo di insegnanti potrebbe incassare tra dieci anni 3500 euro, pensati col valore d’acquisto di dieci anni prima. La verità è che la formazione ha un ruolo chiave nei discorsi, ma non nella vita reale e nello sviluppo professionale degli insegnanti, per una ragione elementare che richiede però un preliminare concettuale.

Formazione è parola ambigua. Occorrerebbe sostituirla con Studio e ricerca. L’attività di studio e ricerca sugli apprendimenti e sui saperi, prevista peraltro dal Regolamento sull’autonomia scolastica, può attirare concettualmente un insegnante perché sollecita la sua dimensione propositiva facendogli balenare la possibilità di scoprire nuove strategie di insegnamento e magari di pubblicarle, insomma di diventare protagonista intellettuale del suo lavoro. La parola formazione invece evoca ancora una volta, checché se ne dica, assetti in cui qualcuno ne saprebbe di più e qualcun altro si siede ad ascoltarlo o al più a fare quel che l’esperto, che non conosce gli alunni dei suoi formandi, gli suggerisce di fare. Il rapporto resta asimmetrico e comunque si ha la sensazione di continuare a fare gli scolaretti a 40, 50 o 60 anni. Fin qui la premessa.

L’attività di studio e ricerca dovrebbe riguardare tutti gli insegnanti come dimensione costitutiva del loro stato giuridico, non ha niente a che vedere con incentivi finanziari stanziati per compensare la stasi della condizione stipendiale e, a fronte del fatto che il centralismo burocratico-ministeriale della formazione è già ampiamente fallito, andrebbe gestita dalle singole scuole come si gestisce l’assegnazione delle ore di servizio: si tratta di lavoro necessario, nessuno ne è escluso. Bene ripeterlo: nessuno. Sarebbe come non dare cattedra a qualcuno. Non sarebbe neppure oggetto di discorso come non sono oggetto di discorso la campanella, la cattedra o i banchi. Difficile immaginare che un collegio e il suo dirigente non siano in grado, anche unendosi in rete con altre scuole, di trovare al proprio interno o al di fuori figure o enti capaci di ispirare e sostenere le attività di studio e ricerca dei docenti. L’esperienza lo dimostra. È già prassi. Le scuole sono di per sé enti accreditati di ricerca. Facesse un passo indietro il ministero nel costituire commissioni di guru, dare bollini e creare piattaforme supermarket o albi di formatori. Non funziona, perché non funziona il paradigma di fondo.  

E il paradigma di fondo è quello di individuare dall’alto presunte priorità formative cui si deve aderire per ottenere aumenti di stipendio e qualifiche distintive. Se almeno in questo non si pratica l’autonomia scolastica, meglio dismetterla e chiuderla con questa finzione giuridica. I contenuti dell’attività di studio e ricerca hanno a che fare con ciò che si ritiene assolutamente urgente studiare e ricercare in quel contesto specifico in base a ciò che si è rivelato carente o potenziabile: potrà trattarsi di competenze matematiche oppure di assetti relazionali o ancora di metodologie cooperative, insomma sarà quel contesto che, sulla base di linee guida nazionali che prescrivono il numero di ore così come lo prescrivono per le cattedre, attiverà quanto è necessario. Questo lavoro rappresenta il processo dell’insegnamento, e pertanto non è una sua aggiunta da incentivare. Sarebbe come dire che ad un allievo si dà una valutazione per le prestazioni ed una per lo studio. La prestazione incorpora e rende visibile lo studio, come per un calciatore la partita incorpora e rende visibile l’allenamento. Per questo l’ordinaria condizione stipendiale dei docenti dovrebbe incorporare la riflessione organizzata sull’insegnamento. E quindi lievitare in modo significativo.

Come disse un cantautore, "tutto il resto è noia!". Politica demagogica, prosopopea ministeriale, didattichese in libertà, trattativa economica di piccolo cabotaggio. Tutta la condizione docente va ripensata e riscritta a partire dall’indissolubilità tra insegnamento e ricerca sancita da una condizione stipendiale nettamente superiore all’attuale. Finché gli stipendi degli insegnanti prevedranno solo l’insegnamento e qualche riunione collegiale - inevitabilmente routinaria in assenza di studio e ricerca ordinaria sugli ambienti di apprendimento -, la cosiddetta “formazione” dovrà trovarsi spazi residuali e generosi volontari che ci credono, affinché il ministro di turno possa premiarli con qualche soldino e qualche qualifica che li distingua dalla platea dei colleghi. 

Scrive...

Maurizio Muraglia Docente di Lettere nei licei, formatore, già Presidente del Cidi Palermo