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02/05/2021

Summer school

di Caterina Gammaldi

Alla voce scuola estiva  di Wikipedia si legge che essa “è una scuola o in generale un programma sponsorizzato da un istituto, un’Accademia, ma più in generale una Università o un college che svolge corsi dentro e all’aperto durante le vacanze estive, in particolare nei mesi estivi….”. Parto da questa definizione  per leggere la circolare ministeriale inviata alle scuole il 27.04.2021 ,  “Piano scuola estate 2021. Un ponte per il nuovo inizio”un piano dettato  dall’esigenza di dare risposte a un tempo lungo e  difficile per la scuola tutta.

Non affronto qui la complessità delle questioni che hanno segnato gli ultimi due anni scolastici fra  aperture e chiusure, distanziamento fisico e sociale,  difficoltà di varia natura  segnalate da  dirigenti, insegnanti, genitori, studenti che  hanno  dovuto gestire problemi culturali e organizzativi per garantire il diritto allo studio, oggi documentato anche dal  “Rapporto Svimez 2020 a Mattarella” . Un impegno a cui la scuola-istituzione,  che non vuole lasciare indietro nessuno, non ha mai rinunciato. Non si può essere ingenerosi con il personale scolastico che ha dovuto lavorare con misure contraddittorie, costose,  senza che si riuscisse a risolvere i problemi strutturali accumulati nel tempo con azioni di supporto efficaci. Le scuole non sono state accompagnate nell’azione quotidiana, favorendo, talora alimentando l’idea che l’istruzione  sia un servizio a domanda individuale.

E siamo giunti faticosamente a un mese dalla conclusione del secondo anno scolastico fra nuove chiusure e aperture legate ai contagi ancora consistenti. Soprattutto siamo arrivati all’assegnazione di risorse per prolungare l’anno scolastico con azioni discutibili.
Diciamolo subito: la proposta della C.M. non è  scuola, anche se richiede la progettualità collegiale delle scelte.   Le “sirene della   descolarizzazione“ riprendono a cantare: risorse finanziarie dello Stato sono messe a disposizione  di soggetti individuali e collettivi esterni che sarà possibile coinvolgere nei mesi estivi.    

Considero particolarmente rischiosa la scelta su base volontaria degli insegnanti, dei genitori e degli studenti. Sostenere la fragilità, le nuove forme di povertà educativa non può essere una scelta che isola gli aventi diritto in gruppi omogenei con obiettivi diversi, di istruzione e ricreativi, personalizzati e laboratoriali, fra stage, imprese simulate, sportelli di ascolto e visite guidate.  Ognuna di queste modalità richiede un esercizio progettuale attento, un’analisi delle proposte pervenute alla scuola prima di dar luogo alle iniziative.

Nel merito  sulle azioni  riconducibili agli apprendimenti che si pensa di dover recuperare nel primo e secondo ciclo dal 10 al 30 giugno e quelle riferite alle competenze disciplinari e all’orientamento, proposte in fase di avvio dell’anno scolastico e che  possono trovare spazio in moduli di circa 20 ore, penso che sia lecito domandarsi quanto e se siano alla valutazione finale prevista a partire dal primo giugno. Si dirà che gli insegnanti del primo ciclo sanno chi ha bisogno di recuperare in italiano, matematica e inglese. Il problema rimane il come per bambini e ragazzi oggi in seconda o in prima della primaria, in seconda o in prima nella scuola secondaria di primo grado. Infatti, le competenze linguistiche e matematiche vanno esercitate in contesto e privilegiando metodi cooperativi. La qualità  delle attività è tema di non poco conto, a meno che non si pensi a un numero di esercitazioni imprecisate per risolvere i problemi di apprendimento non risolti.

Ai bambini e ai ragazzi non è mancato il precettore, è  mancato l’imparare facendo insieme.
Nel secondo ciclo le attività proposte privilegiano esplicitamente summer school, stage, imprese simulate …,  spostando di fatto le proposte sulle competenze disciplinari e sull’orientamento ad inizio d’anno fra attività di accoglienza, sportelli di ascolto e incontri con esperti.
Siamo, è inutile nasconderlo, in una fase difficile. I dirigenti, gli insegnanti, i bambini e i ragazzi sono stanchi di DaD e DID. Il 34%  per motivi diversi non si è connesso. Se, invece, le azioni sono dedicate a chi ha perso in termini di istruzione, l’interessato/a non tornerà alla scuola che ha arrecato disagio. Penso, inoltre, ai tanti ragazzi che evadono l’obbligo per fare i garzoni e sostenere le loro numerose famiglie in affanno perché senza lavoro.  

Come ben descritto nel romanzo Il treno dei bambini di Viola Ardone, subito dopo la guerra migliaia di bambini meridionali per iniziativa del Partito comunista furono sottratti alla miseria per vivere  un tempo di vita normale ospiti di famiglie del Nord. Utilizzo le metafore del treno e della guerra per dire che libereremo la scuola dagli affanni solo se sapremo proporle un viaggio che sappia riconoscere il valore della conoscenza ogni giorno. La normalità vince sulla straordinarietà, ma occorre che la politica sappia fin d’ora interpretare il qui e ora. Mentre scrivo so di plessi chiusi o accorpati, classi prime di 27 alunni, e purtroppo non abbiamo ancora sconfitto il virus. Negli ultimi venti anni abbiamo voluto ignorare che la prospettiva non era quella della modernizzazione, delle mode educative, della frenesia dell’apprendimento. È aumentata la separatezza a scuola e nella società. Forse varrebbe la pena mettere a tema la questione principale: l’istruzione pubblica è un bene comune. Eviteremmo così repertori che fanno vivere un’idea di scuola diffusa subalterna a istanze sociali che meriterebbero altra visione.

Va individuata una impostazione che guardi alle trasformazioni necessarie per la scuola purché capaci di accompagnare davvero la vita dei cittadini, dei lavoratori, delle persone.

 

Scrive...

Caterina Gammaldi A lungo docente di scuola media; già componente del CNPI