È cominciato, l’anno scolastico che stiamo vivendo, con un divieto indiscutibilmente saggio: la proibizione del fumo, finalmente, in tutte le aree adiacenti le scuole da D.L. 12.09.2013, n. 104. Del disegno di legge abbiamo saputo a fine estate, ma i primi giorni di lezione, mentre si aspettavano le circolari applicative, si è fumato allegramente. Tra una battuta e l’altra, su chi sarebbe stato multato per primo, sul vizio “assurdo” che avrebbe fatto soffrire le persone così fuori moda da esserne ancora avvinte.
Gli studenti chiedevano lumi mentre consumavano la loro sigaretta all’intervallo, inconsapevoli di quanto la norma fosse ineluttabile, anzi quasi convinti che una soluzione si sarebbe trovata, abituati alle logiche tutte italiane del compromesso. Ma hanno intuito presto che non si trattava delle solite ramanzine della presidenza. Era qualcosa di più, era una legge e la legge va rispettata. Per un po’ (per poco a dire il vero) hanno chiesto un’area fumatori esterna, facendo finta di non capire che il divieto era assoluto, poi si sono adeguati. Solo pochi di loro se ne lamentano ancora, si dichiarano consumatori abituali, tanto da non poter resistere cinque o sei ore consecutive senza la sigaretta.
Nel mio istituto, per evitare fughe incontrollate in meandri esterni, abbiamo persino negato l’uscita per il bar che è a pianterreno, ora raggiungibile solo attraverso le scale interne. Neanche una boccata d’aria è concessa, né a loro né a noi, e su questo ci si aspettava la rivoluzione. Macchè, non è successo nulla!
Resta un gruppo insignificante di adulti (e io tra loro) che emotivamente non si rassegna (razionalmente, ovviamente, sì); che ha trascorso questi mesi in crisi ripetute di astinenza, pur nella convinzione che la legge sia giusta, più che giusta. Eviterà a tanti minorenni italiani di accendere la prima sigaretta proprio nel luogo educativo per elezione, e forse quella prima sigaretta non si accenderà più.
Le conoscenze sull’adolescenza ci dicono che si inizia a fumare per farsi notare dagli amici. Che fumano di più i giovani non sufficientemente gratificati in famiglia (e chissà se questo è vero) e ancora di più i figli di fumatori; una recente ricerca di Boston sostiene che i giovani di genitori separati sono più esposti degli altri (il 48% tra i maschi, rispetto a chi non vive l’esperienza del divorzio, il 39% tra le femmine). Di fatto, molti ragazzini di prima e seconda superiore da noi fumavano impuniti a scuola, di nascosto dai genitori, con la complicità degli insegnanti, che avrebbero dovuto imporsi, ma non lo facevano. Quindi, ben venga questa legge che vieta non solo il fumo, ma anche la colpevole contraddizione nella quale abbiamo vissuto finora. Io ricordo quando si fumava addirittura nei corridoi e non era certo un’abitudine degna di un paese civile.
Adesso però i fumatori adulti sono (siamo) davvero ridicoli: a consumare una brutta abitudine che, perso l’aspetto della condivisione, rimane quello che è: un vizio esibito pateticamente nel parcheggio della scuola durante l’ora buca. Sotto l’ombrello se piove, in completa solitudine, sempre, mentre chi passa ti guarda con una commiserazione altrettanto esibita, accompagnata spesso da una frase scherzosa di cui si farebbe volentieri a meno.
I ragazzi, loro, sembrano tranquilli. Semplicemente non fumano, non trasgrediscono in bagno, non fuggono alla ricerca di nascondigli segreti (e come potrebbero: lo spazio scolastico è tutto presidiato!). Si consolano con qualche brioche e coca-cola in più e parlano d’altro; l’argomento che occupava le conversazioni di settembre e ottobre, a novembre era già scaduto, tranne per quei pochi studenti che si aggirano inconsolabili e i pochi adulti che hanno la dipendenza dipinta sul viso.
Non fumare negli spazi esterni della scuola è una decisione che in Italia è stata presa in ritardo e non possiamo che abituarci alla vigilanza un po’ militaresca del mio e di altri istituti; d’altra parte, se sono veri i dati di Skuola.it, sembra addirittura che otto ragazzi su dieci abbiano provato il primo spinello a scuola senza essere scoperti dagli insegnanti ed era ora che si intervenisse anche su questo.
Verrebbe da dire che le imposizioni giuste e rivolte al bene, per quanto siano normative, poi vengono accettate senza tante spiegazioni, perché si spiegano da sé. Io avrei preferito però che fosse intercorso un po’ di tempo tra la legge e la sua applicazione, almeno qualche mese, da dedicare allo studio delle dipendenze. Che ne è stato di tutti i progetti di educazione alla salute? A scuola non si parla più di AIDS e e molti giovani sono convinti che è una malattia come tante, dalla quale si può facilmente guarire. Un’ignoranza drammatica verso la quale bisogna assumersi al più presto tutta la responsabilità.
Avrei preferito che gli studenti fossero coinvolti in un cambiamento importante che li rendesse più consapevoli della scelta. Noi, intanto, gli adulti che ancora fumano, avremmo potuto parlare con loro anche delle nostre debolezze, presentandole per quelle che sono; avremmo potuto confrontarci senza divisioni, vivere un’esperienza di crescita, insieme, fumatori e non fumatori, studenti e docenti. Un’altra occasione mancata, impedita da una legge che poteva essere pensata come opportunità educativa, e non come frettolosa ingiunzione.
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