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di Margherita Fratantonionoi e loro

17/03/2015

La scuola come sogno ricorrente

Un invito: provate a chiedere ai colleghi se sognano la scuola e come. Risponderanno elencando subito i loro desideri e ve la ridisegnano, in un attimo, come tutti la vorremmo.
Chiarendo poi che ci si riferisce ai sogni notturni, in molti dicono che non gli capita affatto di sognarla, perché basta già quanta se ne vive durante il giorno. Oppure, che ci devono pensare: è evidente che un sogno ricorrente non ce l’hanno, e che la scuola, contrariamente alle mie previsioni, non vuole farsi teatro delle nostre visioni da dormienti.  Fritz Perls, il fondatore della Gestalt Terapia, sosteneva che ogni sogno riflette una situazione inconclusa: anche solo per questo dovremmo incontrarla, nel sonno, di più e più spesso.

Qualcuno giustamente non affida il suo sogno alla rete e me lo racconta per telefono, tanto lo ritiene prezioso. D’altra parte, James Hillman sosteneva che “Le immagini oniriche sono ombre, maschere, che svolgono ruoli archetipici. Simulacra”, che, tradotte  nel linguaggio diurno,  si sviliscono, perdono tutto il loro mistero.
Nessuna intenzione quindi di interpretarle, né le nostre, né quelle dei colleghi, né tanto meno quelle degli studenti. Solo una curiosità iniziale, un’idea di partenza che è  stata sorprendentemente smentita.

In questa ricerca, che più artigianale non si potrebbe, ho sentito circa una cinquantina di  docenti, e ho ottenuto pochissimi racconti.    
Storie incredibilmente semplici, tra l’altro. Una decina di colleghi mi ha restituito il mio stesso,  identico sogno:  non riuscire a raggiungere l’aula, in una sorta di labirinto che noi sappiamo essere la scuola, ma che è del tutto deformata. Corridoi lunghi e tortuosi, piani che si confondono, e nessuno disponibile ad aiutarti, mentre si fa sempre più tardi e l’angoscia sale. O incontrare mille impedimenti. Oppure entrare in classe e nessuno ci saluta, come non esistessimo. O aver dimenticato la borsa con tutti i nostri materiali. 

 Beh, che sogni sempliciotti! Potremmo trovare conforto solo nelle parole di Freud quando afferma sicuro che: “i sogni ingenui dei sani contengono spesso un simbolismo molto più semplice, più trasparente e più caratteristico dei sogni di persone nevrotiche, nelle quali questo simbolismo è spesso tormentato, oscuro e di difficile interpretazione”.
I sogni ingenui a cui Freud si riferisce sarebbero un po’ come quelli dei bimbi che senza filtri soddisfano i loro desideri. Un giorno (era il suo compleanno), il suo nipotino Hermann fu incaricato di porgergli un cestino di ciliegie; lo fece molto a malincuore e la mattina dopo, al risveglio, disse raggiante “Hermann mangiato tutte le ciliegie!”.
Nell’Interpretazione dei sogni, Freud, con lo humour della sua scrittura, dice: “Tutta la  teoria del sogno come soddisfazione del desiderio è contenuta in queste due frasi: Che cosa sognano le oche? -domanda il proverbio- Il granoturco. “ Aggiunge però che il sogno è la realizzazione velata dei desideri inibiti, ma anche delle ansie, delle paure.

Dove sono i veli, dove i simboli, nelle poche storie che sono riuscita a raccogliere? L’amica che insegna matematica, nel sonno, dimentica i numeri mentre sta spiegando; un’altra si ritrova nuda davanti alla classe; una maestra  schiaffeggia il bambino più ribelle, mentre altri ancora, tra i pochi che ricordano i sogni, si affannano nel dedalo di costruzioni assurde, accumulando ritardi o scoprendosi più smemorati della realtà.  Possibile che si somiglino così tanto e  siano  così poco fantasiosi? E così diretti?
Poi, un classico: dover rifare gli esami o sostenere interrogazioni. “Chiunque abbia concluso con l'esame di maturità i suoi studi superiori si lamenta dell'ostinazione con cui è perseguitato dal sogno angoscioso di essere stato respinto, di dover ripetere un anno, ecc. Per chi invece possegga un titolo accademico, questo sogno tipico è sostituito da un altro, che gli rinfaccia di non aver superato l'esame di laurea; contro di esso già nel sonno egli vanamente obietta che ormai da anni esercita la professione... Sono i ricordi indelebili delle punizioni inflitteci nell'infanzia per le nostre malefatte che si sono così ridestate nel nostro intimo, in corrispondenza dei due punti cruciali dei nostri studi... e ora sogniamo la maturità o l'esame di laurea... ogni qual volta crediamo che l'esito ci punirà perché non abbiamo fatto bene, o non siamo riusciti a fare, una cosa; ogni volta che sentiamo la pressione di una responsabilità...”, lo dice sempre Freud, ma anche la nostra esperienza.

Gli insegnanti sentono il peso della responsabilità più di altri e sarebbe interessante fare una ricerca, meno approssimativa di questa, per scoprire se, a parità di titolo di studio, vivono l’incubo notturno degli esami con più frequenza degli altri lavoratori.
Poi, sempre secondo Perls, “tutti i differenti elementi del sogno sono frammenti della personalità”. Siamo noi gli autori di sceneggiatura, scene e scenografia; alcune immagini sono più in figura, altre più sullo sfondo, come in una vera e propria sequenza teatrale. L’ambientazione  non è altro che la personalità tutta, il contenitore delle diverse parti del Sé. Anche secondo la teoria gestaltica non sognare mai la scuola sembrerebbe pressoché impossibile, e nemmeno rappresentarsela in modo così semplicistico e trasparente.  

E gli studenti? Beh, anche loro di notte sono alle prese con ritardi, dimenticanze, verifiche impreviste,  scadenze che li trovano impreparati, un po’ come succede agli adulti nella scuola. Niente di strano, visto che l’inconscio è del tutto atemporale., non è soggetto alle categorie di spazio e tempo, così come non conosce mezze misure. Ma con l’avanzare dell’età, dal sogno delle ciliegie di Hermann a quelli degli adolescenti, ai nostri, per quanto sani si possa essere, le rappresentazioni oniriche si fanno sempre più complesse, enigmatiche;  il sospetto è che quei sogni così espliciti, simili a quelli degli studenti, siano solo di comodità, e che la scuola compaia altrove, in maniera così camuffata che solo un grande maestro, e una efficace  psicoterapia,  riuscirebbero, forse, a stanarla. 

Serge Ginger, un altro grande della Gestalt, dopo il racconto del sogno (sempre, rigorosamente, al presente) da parte del paziente, gli propone di continuarlo, agirlo, fino alla sua conclusione, per liquidare la tensione psichica inconscia legata a una situazione incompiuta. Questo sì che sarebbe un lavoro molto interessante, per scoprire come e con quali strategie, chi si perde disperato nei meandri della scuola, riuscirebbe poi a ritrovarsi. 

Di che cosa parliamo

Noi e loro: le nostre stanchezze, e gli entusiasmi che sopravvivono; i loro linguaggi, sempre nuovi e sempre gli stessi.
Noi e il filo sottile dell’autorevolezza, i saperi, i dubbi, le certezze; loro e la ricerca di individuazione, i modelli che li  rassicurino, così evidenti e indecifrabili.  
L’intento della rubrica è l’assunzione di uno sguardo rinnovato sui rimandi quotidiani,  per stare un po’ meglio a scuola, tutti, e più consapevolmente: osservando, insieme, nell’apparente immobilità,  le relazioni e i piccoli, grandi cambiamenti; ascoltando e auto-ascoltandoci, per stabilire confini via via  più efficaci.

L'autrice

Ha insegnato Italiano e Storia negli Istituti tecnici. Specializzata in counseling ad orientamento gestaltico, ha gestito lo sportello d’ascolto a scuola e corsi sulla genitorialità, avvalendosi della vita di  classe e degli incontri individuali come occasioni di riflessione sul nostro relazionarci con gli adolescenti, sul nostro modo (e il loro) di vivere quotidianamente la scuola.
 Lasciata la scuola, è in pausa di riflessione sulla sua vita e sulle eventuali modifiche alla rubrica.


Scrive di cinema e psicologia per Cinema Free e per Taxidrivers (rubrica Luci e ombre).