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di Maurizio Muragliastereotipando

16/09/2024

Estetica del Divieto

Vogliono vietare il cellulare ai minori di quattordici anni e i social ai minori di sedici. Nel frattempo gli over quattordici e sedici continuano ad ammorbarsi la vita con i cellulari e con i social. Per loro nessuna misura restrittiva. Ogni giorno il mondo degli over quattordici e sedici dà squallida prova di sé rischiando di uccidere le persone usando il cellulare alla guida oppure mettendo in rete la propria vita privata fatta di aperitivi, tramonti e amori, quando non contenuti indegni. I piccoli rischiano la dipendenza. I grandi invece sono del tutto padroni di sé. Si vede bene.

Finché a fare appelli sono le star dello spettacolo ci può anche stare, data la loro incompetenza in materia di educazione. Quando invece ad intestarsi la battaglia del Divieto sono illustri pedagogisti col corredo scontato di studi e ricerche, c’è da preoccuparsi, perché l’approdo allo stereotipo da parte loro non te lo aspetti. Uno strumento viene usato male, quindi vietiamolo. Con un coltello si può uccidere una persona. Vietiamolo. La scrittura digitale fa andare in soffitta il corsivo. Vietiamola. La minigonna incoraggia comportamenti sessisti. Vietiamola. Platone riteneva che la scrittura fosse un danno per la memoria. Meno male che non fu vietata. L’estetica del Divieto è dura a morire. La chiamo estetica perché dà la piacevole ebbrezza dello zelo educativo, della serie i no che fanno crescere ed altra retorica.  

Persino un ottocentesco come Giovanni Bosco capiva che in educazione o si previene oppure, quando la frittata è fatta, vietare non serve. Aveva elaborato il suo “sistema preventivo” fatto di tre erre: ragione, religione e amorevolezza. A parte la religione, su cui si può dissentire, gli si può dare torto? Quanta ragione e amorevolezza fanno parte dell’educazione in questo tempo?

Torniamo ai nostri proibizionisti, cui non è parso vero di accodarsi al meritevole ministro che con postura muscolare e popolare ha vietato i cellulari in classe nel primo ciclo anche per usi didattici. Appunto, gli usi didattici. Ma cos’è un uso didattico? Qualcosa che ha a che fare con l’apprendimento, con tutta evidenza. È abbastanza acclarato che la rete ha rivoluzionato i processi di apprendimento. Come avevano già fatto la tv, la stampa e la scrittura. Anche i proibizionisti senza la rete realizzerebbero un quinto di quel che realizzano. Della rete non si può fare a meno come non si può fare a meno del frigorifero. In rete si entra da smartphone o da tablet o da pc. Questi ultimi due sono visti come meno pericolosi del primo e quindi sono autorizzati, senza considerare che un bambino con tablet e pc può fare di tutto e di più, rendendosi comunque dipendente da quello che la rete gli offre. E se glielo vieteranno a scuola lo farà alle 14,01 al suono della campanella. 

Infatti il tema non è lo smartphone e neppure la rete. Il tema è il Bisogno. Di cosa hanno bisogno i nostri ragazzi? E chi è in grado di rispondere? Adulti a loro volta curvati sugli smartphone? Che già non hanno tempo per i più piccoli e per di più li beffano vietando loro quel che loro rimane per neutralizzare il bisogno inevaso? In classe tutte le mattine entrano bambini, ragazzini e adulti. E quando si è tutti in classe solo gli ingenui possono pensare che il problema sia lo smartphone. Lo smartphone diventa un problema quando deve riempire vuoti. Vuoti creati da adulti. Che vietano proprio perché temono la concorrenza. Quando spuntò il divieto del ministro ebbi modo di ragionarci e a quel ragionamento rimando senza dilungarmi. Ne riporto qui solo la conclusione ad uso dei neoproibizionisti: “L’alternativa alla proibizione è nota a tutti, ma ha scarso successo perché costa troppa fatica e forse esige una professionalità docente di un certo tipo. Il dispositivo da proibire va infatti guardato in faccia, tutti insieme, per capire dove ci frega e dove ci avvantaggia. Ci sono momenti della lezione in cui lo poseremo perché il focus è altrove, e anche questo riporre il cellulare sarà educativo, con un’enfasi quasi liturgica, perché tutti capiranno quando è il caso e quando non lo è. Poi lo prenderemo tutti insieme perché ci serve andare a cercare qualcosa che ci serve oppure perché vogliamo imparare il suo utilizzo per studiare meglio.

Essendo un dispositivo di uso quotidiano che poi, dalle 14 in poi, userebbero comunque, si tratterebbe di metterlo a tema in classe, come tutte le cose “pericolose” che a scuola vengono guardate in faccia per capire in cosa consista la loro pericolosità. Diventiamo dipendenti da qualcosa senza cui non riusciamo a vivere. Non è che toglierla dai radar vuol dire eliminare la dipendenza. Ti posso togliere la “roba” e farti impazzire dal desiderio di averla, ma non ho risolto il problema se non lavoro sulle ragioni della dipendenza. Significa mettere "la cenere sotto il tappeto”.

Parole chiave: responsabilità, tecnologie

Di che cosa parliamo

Traendo spunto da espressioni molto popolari negli ambienti scolastici, la rubrica scava nelle logiche implicite di certe affermazioni e lascia intravedere quale concezione di scuola e di didattica a esse soggiace. È un’occasione per rimettere a fuoco alcuni fondamentali della professione tentando di smascherare le pedagogie implicite che si annidano dietro i miti e i riti linguistici della scuola.

L'autore

Insegna Lettere in un Liceo di Palermo. In qualità di esperto di questioni educative e didattiche svolge attività di formazione per le scuole e scrive su riviste specializzate. È  anche opinionista de "la Repubblica" di Palermo sugli stessi temi. I suoi interessi riguardano soprattutto il rapporto tra curricolo, saperi e competenze. Sul curricolo nel 2011 ha pubblicato un libro per Tecnodid.

www.mauriziomuraglia.com