Leggendo le recenti linee guida per l'educazione civica, sono rimasto colpito dalla frequente ricorrenza della parola "identità". Questa lettura mi ha spinto a riflettere su una questione che mi sta particolarmente a cuore: nella nostra storia recente di italiani, questa ricerca di un'identità nazionale nella matematica è stata davvero importante o ha finito per limitare il nostro contributo alla ricerca?
La matematica italiana ha sviluppato nel corso dei secoli caratteristiche distintive. Tra fine Ottocento e inizio Novecento, si è particolarmente distinta per la sua scuola di geometria algebrica, con figure di spicco come Federigo Enriques, Guido Castelnuovo e Francesco Severi. Quest'approccio univa il rigore formale all'intuizione geometrica, come evidenziato nei lavori di Giuseppe Peano sui fondamenti della matematica e di Tullio Levi-Civita sulla geometria differenziale.
Un altro elemento caratterizzante è stata l'attenzione alle applicazioni fisiche e ingegneristiche, testimoniata dai contributi di Vito Volterra sulle equazioni integrali e di Enrico Betti sulla topologia algebrica. La scuola italiana ha inoltre espresso una forte tradizione nell'analisi matematica, con matematici del calibro di Guido Fubini, Leonida Tonelli ed Ennio De Giorgi, distinguendosi per un approccio creativo al problem solving.
Forse potremmo affermare che questa "identità matematica" affonda le sue radici in precise circostanze storiche: l'eredità rinascimentale di Fibonacci, Tartaglia e Cardano, la rifondazione delle università post-unificazione e la creazione di centri d'eccellenza come la Scuola Normale Superiore di Pisa.
Nel contesto del fermento matematico di fine Ottocento, che vedeva importanti innovazioni in Germania (Dedekind, Weierstraß, Riemann, Cantor) e in Francia (Poincaré, Lebesgue, Borel), il 2 marzo 1884 venne fondato il Circolo Matematico di Palermo per iniziativa di Giovanni Battista Guccia.
La svolta internazionale del 1888, che permise l'adesione di membri stranieri, trasformò il Circolo in un centro matematico di rilevanza mondiale. I suoi Rendiconti divennero una pubblicazione di riferimento, ospitando nel consiglio direttivo figure come Henri Poincaré, David Hilbert, Felix Klein e Federigo Enriques.
Mi sembra di poter dire che il successo del Circolo si basava su due principi fondamentali: l'attenzione ai grandi problemi della matematica e all'unità tra i suoi settori e l'apertura a tutte le tendenze matematiche, inclusi i lavori di giovani ricercatori non ancora affermati. Ecco cosa afferma il matematico tedesco Edmund Landau, per il 30º anniversario del circolo matematico:
"Ciò che ho da dire mi viene profondamente dal cuore ed è per dirlo che sono venuto a Palermo. Noi celebriamo il giubileo di una società che non ha che la grande minoranza dei suoi membri è una città dove ha sede, ma che ha riunito quasi 1000 matematici di tutti i paesi del mondo e, tra di loro i più grandi illustri studiosi d'Italia, di Germania, d'Inghilterra, di Francia, degli Stati Uniti, d'Ungheria e di tutte le nazioni dove si coltiva la nostra scienza. (…). È la sola organizzazione internazionale permanente che abbiamo: così consideriamo Palermo come il centro del mondo matematico. (…) la ragione principale sta principalmente nel giornale, il Rendiconti, che il Circolo Matematico pubblica sotto la direzione del suo fondatore. (…) il rendiconti sono ora il miglior giornale matematico del mondo."
La crisi del Circolo iniziò con la morte del suo fondatore Guccia nel 1914 e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Il suo successore, Michele De Franchis, tentò di resistere alle pressioni nazionalistiche, come testimonia la sua lettera del 1919, in cui sottolineava i danni che le discriminazioni basate sulla nazionalità avrebbero causato alla scienza.
"Insomma, che non si voglia aver contatti con persone sentimenti ignobili è giusto, ma che debba esserci anche il peccato originale nel luogo di nascita, non mi pare che possa sostenersi. Ma queste sono idee mie e posso anche sbagliare. Ciò che però è fuori di dubbio è che le distinzioni che si vogliono fare tra gli scienziati a seconda del paese di origine, toglieranno per lungo tempo alla scienza il carattere internazionale, togliendo ad una parte dell'umanità i frutti del lavoro di un'altra parte. E badi che dopo ciò, tra qualche anno, la collaborazione scientifica è fatale che si reattivi, ma intanto la nostra società sarà morta."
La situazione peggiorò drammaticamente con le leggi razziali in tutto il territorio nazionale. Un documento della commissione scientifica dell’U.M.I. (Unione Matematica Italiana) del 1938 tentava di minimizzare l'impatto dell'esclusione dei matematici ebrei,
"La scuola matematica italiana, che ha acquistato vasta risonanza in tutto il mondo scientifico, e quasi totalmente creazione di scienziati di razza italica (ariana). (…) Essa, anche dopo la eliminazioni di alcuni cultori di razza ebraica, ha conservato scienziati che, per numero e qualità, bastano a mantenere elevatissimo, di fronte all'estero, il tono della scienza matematica italiana, e maestri che con la loro intensa opera di proselitismo scientifico assicurano la nazione elementi degni di coprire tutte le cattedre necessarie."
ma il presidente Luigi Berzolari ammetteva privatamente il grave danno inflitto alla matematica italiana "in quantità e in qualità".
"La commissione si è molto preoccupata della ripercussione che i recenti provvedimenti sulla razza possono avere sulla matematica italiana, la quale, come ben sapete, è stata gravemente colpita e in quantità e in qualità. Non si deve dare, né in Italia né all'estero l'impressione che l'allontanamento degli elementi ebraici abbia prodotto un declino dell'attività matematica italiana!"
Il culmine di questa deriva si manifestò nel discorso del ministro Bottai nel 1940, che celebrava una presunta "purificazione" della matematica italiana.
"La matematica italiana non più monopolio di geometri di altre razze, ritrova la genialità e la poliedricità tutta sua propria (…) e riprende con la potenza della razza purificata e liberata il suo cammino ascensionale."
Nell'insegnamento dell'educazione civica, ogni disciplina scolastica può e deve dare il proprio contributo, inclusa la matematica. La storia della matematica italiana del secolo scorso, e in particolare l'esperienza del Circolo Matematico di Palermo, ci offre importanti lezioni su come l'enfasi sull'identità nazionale possa essere dannosa per il progresso scientifico e culturale.
L'esperienza storica suggerisce che il vero motore del progresso, non solo scientifico ma anche democratico, sociale ed economico, risiede proprio nel superamento dei concetti di identità nazionale e nell'apertura verso l'internazionalizzazione del sapere. La conoscenza matematica, per sua natura universale e transnazionale, può dimostrare come la verità scientifica trascenda i confini nazionali e le barriere identitarie.
In questo senso, la matematica può contribuire all'educazione civica insegnando:
Come suggeriva John Lennon in "Imagine"[1] possiamo aspirare a un mondo senza confini, dove la conoscenza e il progresso scientifico non siano limitati da barriere nazionali o ideologiche. La storia ci insegna che quando la scienza si chiude in confini nazionali, non solo perde la sua universalità ma rischia di diventare strumento di discriminazione e oppressione.
Questo messaggio risulta particolarmente rilevante oggi, in un'epoca in cui si assiste a tentativi di riproporre visioni nazionalistiche della cultura e della società. L'insegnamento della matematica, attraverso la sua storia, può aiutare a comprendere l'importanza di mantenere vivo lo spirito di collaborazione internazionale e di resistere a ogni forma di chiusura identitaria.
Ecco allora che uno dei possibili contributi che può dare la matematica all’educazione civica è proprio attraverso una pagina della sua storia recente: la vera forza di una comunità scientifica, e più in generale di una società, risiede nella sua capacità di dialogare e collaborare a livello internazionale, superando pregiudizi e barriere culturali. Solo attraverso questo approccio aperto e inclusivo possiamo sperare di affrontare le sfide globali che ci attendono.
[1] In questo video la presidente del Consiglio Giorgia Meloni parla della canzone di John Lennon “Imagine”.