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di Antonella Tredicineappunti oltre il brusio ...

26/01/2018

Nel cuore della cultura immateriale

Seguendo percorsi imprevedibili

Appunti dalle lezioni con gli alunni e dalla lettura di Indaffarati di Filippo La Porta 

Mentre la verbosa semicultura dei social netwoork, del commento compulsivo su Twitter, della critica esclamativa nei forum, del chiacchiericcio febbrile dentro i blog, diffida di ogni maestro […] ed è incardinata su un assioma prioritario, però andato a male: uno vale uno [] gli individui formano una massa amorfa e litigiosa, paradossalmente ciascuno con pari dignità. Le “due culture”, un tempo contrapposte, sono chiamante ad allearsi contro un nemico inafferrabile e pervasivo.  [1]

Premessa necessaria. Chi scrive non è su Facebook, non ha particolare confidenza con i social network se non per la necessità che la spinge, come insegnante, a conoscere il contemporaneo per poter dialogare con i suoi studenti ed è indubbio quanto i social rappresentino una componente fondamentale delle loro vite.
Proprio per questo, dallo scorso anno lavoriamo su un progetto che, muovendo dalla definizione di “social”, neologismo introdotto nel 2010, dalla disanima delle sue caratteristiche, aspetti positivi e negativi; in particolar modo continuiamo a interrogarci se la parola sia ancora il fine della comunicazione o se lo siano le nuove tecnologie, se l’innegabile dilatazione dell’accesso all’informazione sia sinonimo di qualità, oppure ci renda sempre più manipolabili. Agendo con i miei alunni, riflettiamo e proviamo a dare un ordine ad appunti presi qua e là che, seguendo percorsi imprevedibili, aprono vie di fuga a chiuse rappresentazioni e ci aiutano a leggere il presente. 

Il titolo del progetto, neanche a dirlo, è una domanda: “Ma i social socializzano?”.
Allora, provo a raccontarvi quanto emerso finora, dialogando idealmente anche con gli Indaffarati di La Porta. Il confronto tra due culture, umanistica e tecnologica, così dicotomiche, intriga e suggerisce strade per interpretare il mondo che vivo quotidianamente, quello dei nativi digitali e, nel farlo, conoscere meglio me stessa e la realtà. Allora proviamo a “far parlare le due culture”, muovendo innanzitutto dalla definizione di cultura che, scrive Eliot, “include tutte le attività e gli interessi politici di un popolo […]. Il lettore può fare da sé la sua lista”. [2]
 Secondo tale assunto le reti sociali virtuali, di tipo professionale o basate su relazioni di amicizia, sono parte integrante nella “lista” del XXI secolo, scandendo la routine delle esistenze di centinaia di milioni di persone, un “rito quotidiano”, un’estensione della vita reale. Addentrandoci “nel cuore della cultura immateriale”, siamo portati a chiederci quale sia il nuovo potere dal quale, come marionette inconsapevoli, sembra ci lasciamo uniformemente orientare. Un aspetto del “potere senza volto”, di cui Pasolini aveva smascherato la pervasività che aveva “profondamente trasformato i giovani [toccandoli] nell’intimo, [dandogli] altri sentimenti”  [3]: le sue denunce vibrano dentro e guidano la lettura del presente. Torniamo all’affermazione di Eliot, affiancandole quella di La Porta: “cultura è comprensione, è capacità di scegliere e valutare”.  [4] Allora, è vero che ogni acquirente-lettore può compilare liberamente la sua lista, o no? Può andare oltre gli inganni del mercato globale nel quale rientra anche “la cultura da casinò” evocata da Steiner, il “culturame” di cui dibatteva Pasolini? 

Mi sono altrove interrogata, tentando di allontanarmi dalla struttura che incorpora ogni verità, sui rapporti tra apparire ed essere, tra uomo-consumatore-automa e uomo che si riappropria della sua sacralità e la condivide con quella degli altri, chiedendomi quali siano i dispositivi contemporanei, come agiscano e quali strategie adottare per sottrarci alla loro apparente neutralità. [5] La Rete è un apparato o, come indica La Porta, una “geografia che possiamo attraversare e abitare in modi diversi?”. Certo è che se le sue lusinghe sono un rischio acclarato, è altrettanto azzardato liquidare il pericolo che essa rappresenta con le parole consunte e abusate di coloro che difendono ad oltranza la tradizione culturale dai nuovi media, spesso perdendo la possibilità di una critica che restituisca, rinvigorendola, un’analisi proficua delle odierne “tecnologie morali”. 

In Indaffarati, il rapporto cultura e social viene affrontato facendo dialogare homo videns e homo sapiens non prima di aver chiarito che ognuno di noi è “indaffarato” nell’inviare o decifrare un messaggio, nel connettersi e che questo può avere una valenza negativa quando ci fa perdere confidenza con la solitudine e l’otium, rendendoci schiavi della comunicazione compulsiva, positiva quando ci impegna nel mettere in circolo buone pratiche. Il critico letterario si rivolge a quegli adulti spesso alquanto frettolosi e superficiali nel dare “per scontato di non aver nulla da apprendere dalle nuove generazioni e dal mondo nuovo”.  [6]

Capovolgendo la scontata immagine che vuole i giovani disadattati, vuoti social-dipendenti, La Porta non liquida la generazione videns come peggiore della sapiens ma ne propone una lettura all’insegna di punti di vista diversi che si interrogano sull’esistenza, insistendo sulla corrispondenza tra il dire e il fare, spesso tradita da una cultura libresca che non si traduce in uno stile di vita conforme. Nel pamphlet c’è un capitolo, “I nuovi media come ponte con la tradizione?”, che offre buone lenti per osservare ed intravedere uno spazio terzo in cui riappropriarci di una neolingua per comunicare, anche attraverso i nuovi media.
Proviamo dunque a ripensare il rapporto tra cultura e moderne mitologie attraverso un percorso di domande interrelate con  parole-chiave che problematizzano pericolosi, infiltranti, assiomi. 

  • Frattura o continuità?                                                                               Democrazia

Un esempio chiarificatore. Per la sua peculiarità un tweet è breve, non più di 140 caratteri, di impatto, arguto come un aforisma anche se con questo, appartenente a un filone eretico-problematico, sembra aver poco in comune per il suo far parte di una cultura omologante e massificante, legata all’ansia di apparire a ogni costo. A suo favore, d’altra parte, è il suo “democratico” rivolgersi a tutti, senza distinzioni classiste. Insomma, concordando con La Porta, pare che, pur ispirandosi a logiche utilitaristiche, un tweet “nel suo Dna trattenga la memoria del genere aforistico, della sua spiazzante, puntuta agudeza”.  [7]
Potremmo dunque optare per “cambiamenti di sensibilità” che riguardano tutti? 

  • Riempire un vuoto: rischio o potenzialità?                                             Amicizia 

Affido a un mio alunno l’illuminante.

Mi viene da ridere quando sullo schermo vedo un nome con a seguire il messaggio “ho fatto la richiesta di amicizia”. Ecco, ragioniamo sulla parola amicizia, una parola così facile da dire ma cosi difficile da dimostrare e se lo è per una persona che conosci come può esserlo uno sconosciuto? Partendo da questa piccola riflessione possiamo dire che i social ci fanno perdere diversi valori. Allora servono per conoscere, d’accordo, ma l’incontro per caso? Il diamante nel fango? Perdiamo noi stessi, la magia dell’incontro, il sudore delle mani, ti tremano le gambe…ti illudi di emozioni vere ma sono solo miraggio nel deserto. Perdiamo la dignità perché pur di vedere quei like siamo disposti a tutto. Consapevoli allora perché illuderci? La risposta è molto semplice, talmente facile da racchiudersi in una parola sola: dolore, un dolore che ti arde dentro, invisibile agli occhi degli altri, che dentro di te cresce sempre di più. Un dolore dovuto alla solitudine. Noi tutti siamo delle imponenti montagne, ma la solitudine ci scava, penetra dentro e ci riduce in sabbia, sabbia che si disperde ovunque e tu non riesci più a trovarti. La solitudine, un uccello senza ali (Jeremy).

Le reti sociali costituiscono un ipertesto che cattura le diversità culturali, tuttavia se le diversità sono la ricchezza delle Rete il pericolo è che i soggetti si adattino al suo potere facendo sì che i social diventino protesi di una coscienza individuale e appendici tecnologiche dell’esistenza.

Lei andava molto su Facebook, le piaceva, era rilassante. Ritrovava i vecchi amici, i compagni delle elementari, conosceva qualcuno di nuovo, si raccontava ogni volta agli altri: le spiegò che il bello era proprio che su Facebook potevi reinventarti ogni volta, costruirti una vita nuova ad ogni contatto. Questo soprattutto le piaceva: costruirsi! Diventare una persona diversa, ripartire da zero.  [8]

Facebook è una nuova chiesa e lo smartphone il suo confessionale [Certo, si intravede] il rischio della Rete come sfogatoio universale […] ma davvero nei social netwoork [ci troviamo di fronte ad ] una gigantesca simulazione [o non è anche vero che] le comunità online sono aggregazioni basate sulla condivisione, su un aiuto reciproco disinteressato. […] Né i social netwoork ci costringono a qualche outing. [9]

Nell’era digitale le relazioni con gli altri sono sempre più web-mediate, tanto da farci chiedere che fine abbia fatto il vecchio, segreto diario intimo, ormai sostituito dal profilo su Fb  che offre ai suoi iscritti una duplice occasione: la performance su una piattaforma espressiva virtuale e il tentativo di una riflessione sui desideri e pensieri più nascosti, magari con l’obiettivo di ricevere molti “Mi piace”. Se oggi la tradizione umanistica appare svuotata non è certo tutta colpa dei social; andando più a fondo forse è conseguenza dell’incapacità di rispondere ai bisogni dei giovani con il rispetto, la centralità dell’esempio: occorre che si parli e si agisca in concreto perché le azioni qualifichino il presente. E’ condivisibile che gli adolescenti non si appassionino tanto alle idee quanto a chi le esprime (si veda il successo dei youtuber) e questo riflette il loro dissenso, forse inconsapevole, alla cultura libresca della vuota retorica espressa da un “linguaggio conformista e polveroso” che spesso snatura ogni forma di memoria di cui i libri sono depositari. Contro messaggi assordanti e naturalmente allettanti il Web, la discussione su un blog possono diventare una contagiosa malattia “formativa”. Da twitter a facebook, la lettura si fa sempre più social, stimolando  l’interesse dei più giovani, generando una cultura vissuta. Ricordo un Flashmob proposto da “Caffeina” nel 2014: molti lettori hanno acquistato un libro, come richiesto dall’iniziativa e hanno postato la foto con l’hastag #facciamovincerelacultura per condividere l’acquisto e dimostrare la propria partecipazione. Nel Mercato del Tempio, la ferita inferta dai social, una sorta di “rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali” questa ferita può diventare azione trasformativa del reale cominciando ad opporsi al consumo in serie delle idee.

Insomma, siamo in ascolto e partecipi di “una cultura che emigra verso nuove forme”?

  • Vero o falso?                                                                                                        Identità

Siamo veramente ciò che scriviamo su FB? È un continuo mostrarsi e cercare approvazione attraverso fotografie video e quant’altro. Le fotografie che postiamo rispecchiano veramente ciò che siamo? In parte sì e in parte no. Spesso infatti cerchiamo di far emergere qualcosa di diverso, apparire come vorremmo essere o come pensiamo che gli altri vorrebbero. (Corinna)

Ora sul Web tutto sembra vero, anche il falso – con effetti rischiosi di spaesamento – eppure sono migliorati i modi di verifica attraverso confronti incrociati, riscontri di fatto e indagini di ogni tipo, sono aumentate le risorse individuali e di comprensione e valutazione e soprattutto le fonti a nostra disposizione.  [10]

Nella realtà digitale 2.0 nasce #spreadyourculture, dove tutti possono condividere il sapere, postando sul proprio profilo FB contenuti frutto sia di esperienze personali che di fonti esterne. All’origine l’idea di diffondere cultura applicando le regole dei social: velocità, simultaneità, circolazione di contenuti interessanti, sintetici, duttili e alla portata di tutti. La realtà digitale se da una parte annulla il tempo perché in pochi secondi si può pubblicare qualcosa, dall’altra eternizza i contenuti, contribuendo ad arricchire la società globale, costantemente interconnessa, creando legami, diffondendo informazione. Il comportamento su Facebook è ormai un quotidiano metro di giudizio delle persone che si costruiscono anche su e grazie ai social; proprio per questo credo non dobbiamo smettere di riflettere sull’assunto di Castells: “Le nostre società sono sempre più strutturate sull’opposizione bipolare della Rete e dell’Io”.

  •  Forme di resistenza quotidiana.                                                                Poesia

Vi parlerete e vi vedrete per immagini finte, mai vi sarà dato di vedervi davvero, pena la vostra perdizione! Non era grave, bastava saperlo. E non fare l’errore, non trasgredire l’ordine, la Legge. Non disobbedire al dio di Facebook. [11]

Contro quella che Pasolini definiva “una atroce afasia, una brutale assenza di capacità critiche, una faziosa passività” [12] occorre addurre un pensiero critico e quindi creativo, un métissage aperto a nuove rappresentazioni e ibridazioni: qui la letteratura, la poesia costituiscono forme di resistenza alla “chiacchiera culturale” al “culturalismo” asservito al potere, attivando legami sociali.
Un esempio tra i tanti: nell’ambito dell’educazione interculturale vorrei ricordare le riviste online che dagli anni Novanta promuovono iniziative sulle tematiche dell’immigrazione e testi di scrittori migranti. Una responsabilità civica che in Italia ha visto il costante e coraggioso impegno di Armando Gnisci: lo studioso, andando oltre la chiusa cultura accademica, ha dato un volto, una voce a tutti gli “invisibili” curando una Banca Dati della letteratura della migrazione che ha aperto la strada alla transculturalità. [13]  Riflettendo sul rapporto cultura-social occorre “sospendere il senso” e all’univocità del vedere/sapere preferire multiple interpretazioni, squarciando il velo dell’evidenza, sfidando la mancanza di ogni perplessità, scegliendo di essere provocatoriamente indipendenti. Se “chi pensa è reo”, frequentare il pensiero nomade ci rende coscienti dell’imperante assordante mutismo: fare esperienza delle pratiche quotidiane diventa il paradigma contro i modelli imposti.
Aver appreso che “su Facebook un autore molto seguito è Pasolini, proprio per la trasparenza della sua opera, che sempre rivela la concretezza di emozioni e istinti, di moventi e scelte esistenziali”  [14] mi rassicura, perché gli utenti hanno, avranno, gli strumenti per pensare e non lasciarsi usare da “un nemico inafferrabile e pervasivo”. 

“Ma i social socializzano?”. Sì, quando manifestano onestà, emozioni, input per riorientare scelte. Ai detrattori dei nativi digitali vorrei ricordare che accanto a chi lamenta “non ho abbastanza like”, a chi chiede preoccupato “quanti contatti hai?”, accanto a loro c’è un’umanità significativa che ha solo bisogno di incontrare la Poesia: 

I poeti ci donano la chiave per aprire la porta della fratellanza, entrando nel mondo del rispetto reciproco. Per far sì che questo avvenga, occorre quel mezzo di trasporto essenziale: l’aiuto corrisposto. Saper affrontare questo lungo e inevitabile viaggio, che comunemente chiamiamo vita, non è affatto semplice. L’uomo è nato libero, ma da sempre è  in catene [Con la poesia] ho trovato un modo per esprimermi liberamente, come se qualcuno volesse ascoltare le mie riflessioni e rispondere ai miei dubbi. Ho scoperto un’opportunità, un punto di partenza, una pista di decollo per l’aereo della consapevolezza di se stessi. Viviamo in un mondo in cui siamo etichettati per ciò che sembriamo, che si ferma alle apparenze coprendosi gli occhi attraverso i pregiudizi. Viviamo in un mondo vuoto, circondati dal buio. È quindi fondamentale, a mio parere, trovare un modo per sfuggire all’oscurità che cerca di impadronirsi delle nostre menti. I Poeti, coloro che ci esortano a riflettere, ci insegnano quindi come “illuminare”, ci indicano la strada da seguire, che talvolta non è quella più facile, ma sicuramente la più educativa […] Molti di noi si credono indifferenti. Molti di noi credono di essere immuni ad azioni e parole. Molti di noi ingannano se stessi. C’è chi è bravo a controllare le proprie emozioni. C’è chi è negato ma non se ne vergogna. C’è uno scambio reciproco tra noi e il Poeta. Noi ricambiamo, quindi, “entrando” nella poesia, lasciandoci catturare da ogni parola. Penso che ogni cosa sia mutabile nel tempo, perché il tempo concede il privilegio di cambiare. [15]

Praticare la Poesia, il pensiero, forme di resistenza all’ansia di normalità, all’adesione totale e senza riserve all’effimero. Seguire percorsi imprevedibili, viaggi in libertà caratterizzati da un inesausto sentimento d’amore, nutriti dalla consapevolezza che “forse [basta] una sola piccola diversa esperienza nella vita [dei giovani], un solo semplice incontro, perché il [loro] destino [sia] diverso”. [16] Lasciandoci guidare da un brusio di fondo, traducendo sguardi, piccole cose, voci in segni significativi, confrontandoci con la cangiante esperienza umana e agire affinché non prevalga “la cultura impotente che non emancipa nessuno”, scegliendo, responsabilmente, di essere demiurghi di cultura critica e condivisa.
E, continuando a dialogare con i nativi digitali dai quali ho avuto e ho il privilegio di imparare, “twittare” le parole di un mio alunno:

Quando ascolti le poesie tutto tace, ciò che ti circonda è muto. Ascolti quella voce profonda pronunciare parole che non riesci a capire ma che il cuore riesce a sentire

Esattamente 140 caratteri…

 

Note

1. F. La Porta, Indaffarati, Bompiani, Milano  2016, pp. 131-132. 
2. T.S. Eliot, Appunti per una definizione della cultura, tr. it. di G. Manganelli, Bompiani, Milano 1967.
3. P.P. Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975, p. 233.
4. La Porta, Indaffarati, cit., p. 65. 
5. A. Tredicine, Pensando “con la cieca testardaggine della poesia”, in "insegnare", 19/07/2017.
6. La Porta, Indaffarati, cit., p. 141. Sulla generazione dei nativi digitali, educati più sulle immagini che sul pensiero concettuale e la “generazione di carta”, si vedano in particolare le pagine 45-52.
7.  Cfr., Idem, p. 104.
8. P. Mastrocola, Facebook in the Rain, L’Espresso, Roma 2011, p. 37.
9. F. La Porta, Indaffarati, cit., pp. 133, 135-136.    
10. F. La Porta,  cit., pp. 165-166.
11. P. Mastrocola, Facebook in the Rain, cit., p. 101.
12. P.P. Pasolini, Scritti corsari, cit., p. 231.
13. La banca dati BASILI, consultata da studiosi nei cinque continenti, dopo un’interruzione di quattro anni, oggi trova nuova linfa nella forma di BASILI&LIMM che include anche i dati della Nuova Generazione di scrittori nati e/o scolarizzati in Italia da genitori immigrati e/o da coppie meticce. L’acronimo, Letteratura Italiana della Migrazione Mondiale, aggiunto a quello esistente, ne evidenzia l’azione transculturale, ovvero planetaria di incontro delle civiltà e di azione umanistica. 
14. F. La Porta, Indaffarati, cit., pp. 152-153.
[15] A. Tredicine, Dalla trincea al cuore. Per una lettura di Giuseppe Ungaretti, in "insegnare",  21/02/2017.
16. P.P. Pasolini, Scritti corsari, cit., p. 69.
 

Riferimenti bibliografici.


Aa. Vv., L’umanista digitale, Il Mulino, Bologna, 2010.
Breton, P., Elogio della parola. Il potere, Eléuthera, Milano, 2004.
Dal Lago, A., I nostri riti quotidiani. Prospettive nell’analisi della cultura, costa&nolan, Genova, 1995.
Eliot, T.S., Appunti per una definizione della  cultura, , tr. it. di G. Manganelli, Bompiani, Milano, 1967.
La Porta, F., Indaffarati, Bompiani, Milano,  2016.
Mastrocola, P., Facebook  in the Rain, L’Espresso, Roma 2011.
Pasolini, P.P., Scritti corsari, Garzanti, Milano, 1975.
Tonioni, F., Quando internet diventa una droga. Ciò che i genitori devono sapere, Einaudi, Torino, 2011.
Tredicine, A., Pier Paolo Pasolini e lo “stupendo privilegio di pensare” una diversa umanità, in "Sinestesieonline", 4/12, giugno, 2015.
-Dalla trincea al cuore. Per una lettura di Giuseppe Ungaretti, in "insegnare", 21/02/2017.
- Pensando, “con la cieca testardaggine dela poesiain "insegnare", 19/07/2017.

 

Sitografia


da LIBRERIAMO

da Artribune

Sagarana

BASILI&LIMM

ItacaNews

Di che cosa parliamo


La rubrica è animata dalla convinzione che dialogare con gli alunni insegna a ridefinire mappe etnografiche per ri-orientare l’Antropologia dell’Educazione dal piano della conoscenza a quello del riconoscimento dell’Altro, conferendole quella dimensione dinamica di rinegoziazione di punti di vista diversi, che decostruiscono nuove e più oculate forme di colonialismo culturale.
Dal brusio delle buone pratiche alla memoria condivisa, resistere alle tendenze omologatrici della  globalizzazione e promuovere un percorso, che, partendo dalle “alterità negate” e attraverso esperienze sul campo,  rappresenti una svolta etica interculturale. Promuovere e condividere la magia dell’educazione, che è un lavorare con e non sugli alunni, andando oltre la siepe della propria cultura, scoprendo il “filone d’oro”  che è in ognuno di loro. Gli alunni ci ricordano che non si può essere maestri se non si è sempre scolari, in un interscambio proficuo e sodale, verso un’educazione aperta ai riposizionamenti dettati dalle esigenze dall’umanità attraversata, prendendo appunti all’insegna di una possibile, rinnovata umanità, vedendo nell’Altro, che si sottrae all’invisibilità,  “qualcosa di buio in cui si fa luminosa / la vita” (Pasolini, La Guinea).

L'autrice


Laureata in Lettere e in Discipline Etno-Antropologiche, insegna Materie Letterarie a Roma. Dopo il conseguimento del Master in Filosofia e Interculturalità,  ha  ideato e promosso progetti di innovazione, di ricerca/azione, convegni e laboratori multiculturali anche in coordinamento con ONG e docenti dell’Università di Roma “La Sapienza”.
Collaboratrice di Alberto Sobrero all’Università di Roma “La Sapienza”, ha al suo attivo vari interventi saggistici su riviste di ambito letterario, poetico e filosofico. 

 

Antonella Tredicine, Pier Paolo Pasolini, “scolaro dello scandalo”, Verona, Ombre corte, 1975​,  pp.135, euro 13,00

Il lavoro nasce dalla convinzione che nell'opera di Pasolini vi siano gli strumenti critici per contrastare un processo di progressiva omologazione delle menti e per cogliere le "sfumature rischiose ed emozionanti delle differenze". In questa direzione la Scuola è il primo fronte contro il pregiudizio; su di essa grava il compito difficile ed esaltante di produrre uomini e donne uguali e diversi. In questo volume l'autrice, con le opere di Pasolini sotto il braccio, ci permette di seguire la sua pratica quotidiana nell'esperienza interculturale, fra ragazzi che spesso sono considerati, per usare un'espressione di Pasolini, poco più che "stracci della storia". È un percorso non breve, esposto a successi e fallimenti, che da parte dei docenti richiede una continua rinegoziazione della propria esperienza, e da parte della Scuola come istituzione, una piena consapevolezza del proprio ruolo nella costruzione di quella società diversa, che è ormai alle porte.
(Da www.ombrecorte.com)

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Leggi su insegnare la recensione di Alberto M. Sobrero